Non si parla di Elémire Zolla, di tantra, religione o razionalità, ma molto più prosaicamente di parassiti di Stato e della (im)possibilità di uscirne con le ossa intere.
Sperare che la classe politica faccia delle riforme per limitare i loro stessi poteri e privilegi è piuttosto ingenuo. Anche così fosse, anche ci fosse una maggioranza autonoma e omogenea decisa a limitare sprechi e ruberie (Grillo al 51%, per esempio), si infrangerebbe su funzionari, travet, commis e bubez di Palazzo. Non sapete cos’è il “bubez”? Dialettale, triestino, letteralmente significa apprendista e per estensione è divenuto il passacarte o il mezzemaniche.
Questi signori hanno un potere immenso perché sono i gran Custodi della Burocrazia, sanno dove sono imbucate le carte (perché sono loro stessi a nasconderle), all’improvviso tirano fuori un codicillo che nessuno conosceva e che paralizza un subconto pingue, impedendo di pagare pletore di fornitori. So di un sindaco di una cittadina che ha passato i primi sei mesi del suo mandato a cercare di capire dove l’amministrazione precedente avesse depositato i denari, finché, come per miracolo, il segretario del Comune, mosso da pietà, lo ha preso per manina e condotto tra numeri, banche e conti correnti fino al tesoro. Più che per pietà, sospetto lo abbia fatto perché rischiava di rimanere senza stipendio pure il segretario.
Sono una massa immensa, la mole dei PDP (Pubblici Dipendenti Paraculati): 4,5 milioni, parrebbe, ma nessuno in realtà conosce il loro numero esatto, perché qualche burocrate non lo ha mai voluto comunicare: Segreto di Stato, omissis. Masse grigie e informi, indistinte, disperse tra milioni di fantasiosi Uffici di Stato. Poi ci sono le Società Controllate, paraculifici istituzionalizzati per trombati di turno, amici, parenti, serpenti, dementi però dai ricchi emolumenti. Strane scatole, vere e proprie black sand box, dove dentro si può fare di tutto e nessuno ne saprà mai nulla.
E voi vorreste che una bicameramelina due (perché c’è chi ci spera e la vorrebbe), versione tacchino-beghelli (soprannome di Alfano in quel di Agrigento evocante la forma del suo cranio tal e quale la nota lampadina), riedizione di quella già fallita, allora presieduta dal Signore delle Scossette e dal Solito Puzzone, possa cambiare qualcosa in Italia? Sarebbe solo materia per dar aria ai denti dei comici della Costituzione, modello Rodotà o Scalfari.
Ci sono solo tre vie per risolvere la questione. La prima contempla le picche, le teste e tutto il resto. Una rivoluzione, insomma, con tanto di fucili, un po’ di sangue, qualche pubblica esecuzione. Il problema delle rivoluzioni, però, è che di solito c’è un “comitato rivoluzionario” e in questo, immancabilmente, ne entrano a far parte ampie schiere dei boiardi stessi che si vorrebbero scacciare. Eppoi, avete mai visto l’Italiano fare una rivoluzione? Non è per noi. Siamo capaci di andare per tutte le russie con le scarpe di cartone, siamo capaci di perdere eroicamente come a el Alamein (“Ariete cincondata – carri Ariete combattono”), ma poi non siamo capaci di cacciare a pedate gli arroganti, ignoranti, ladri politici di turno.
La seconda possibilità è quella di emigrare. In questo siamo bravi, apprezzati all’estero (salvo qualche problemuccio di mafia qui e là) e ci siamo specializzati come pochi. Difatti, non contando solamente i connazionali iscritti all’Aire, ma anche le innumerevoli stratificazioni di generazioni che nel tempo si sono formate, siamo quasi più numerosi all’estero che in patria. E il motivo è che c’è sempre stato un Monti, un Casini, un Andreotti, un D’Alema, una Camusso o una magistratura che si fa le sue leggi a paralizzare la parte produttiva di questo Paese.
La terza via sarebbe quella preferibile e potrebbe portare alla prima, ma per un periodo più breve e meno cruento. Si tratterebbe di non pagare più le tasse, tutti. Affamare questi pubblici parassiti, far saltare il sistema. Caspita, c’eravamo quasi riusciti, ma poi Monti si è fatto prestare altri soldi da Draghi per tenere in piedi la baracca. Solo quando non ci saranno più denari per pensioni e stipendi dei PDP cambierà qualcosa in questo Paese. Solo allora.
Qualcuno ha già cominciato. Non perché sia un eroe, non per calcolo politico, ma solo perché ha finito i soldi.
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