Il ventesimo secolo sarà ricordato come ʺil secolo dell’ingegneria socialeʺ. O, esplicando: ʺil secolo della teorizzata criminalità politicaʺ, ʺdel crimine terapeuticoʺ. Non per darmi le arie d’un Margolin, diró che è stato un secolo di sperimentazione costato alla progenie di Adamo almeno 300 milioni di cadaveri (calcolo molto minimizzante).
Sulla base d’un comune denominatore di demenza collettiva, talmente diffusa da costituire il carattere antropologico del secolo, tutti coloro che hanno partecipato a questa grandiosa sperimentazione sono stati: 1) degli illusi; 2) degli sciocchi; 3) dei criminali sanguinarî; 4) dei delusi; 5) dei simulatori o yesmen, tali per salvarsi la pelle.
Ho conosciuto molte persone per bene che sono passate dallo stadio 1 a quello 4, perché le loro personali riserve di fosforo erano ancora in corso di formazione. Invece, dallo stadio 2 a quello 4 sono andati avanti e indietro quasi tutti, pendolarmente, per finire poi, indecorosamente, nello stadio 5.
Il suddetto secolo di insania ha lasciato al nuovo secolo una eredità perniciosa. La capacità di ʺnon vedereʺ. Questo si capisce: se ne son viste troppe, di tutti i colori. Ma non vedere è non capire.
Quando un paio di settimane fa il nostro Presidente ha fatto a Napoli le sue brevi allocuzioni per il 60° anniversario della morte di Benedetto Croce e per la lapide apposta a villa Ruffo di via Crispi in ricordo del grande scrittore ed eroe polacco Gustavo Herling, ha avuto ad un certo punto l’idea di dedicare una nota di biasimo a coloro che, nel secolo del crimine, al crimine aderirono ʺfuorviati da teorie fallaciʺ. L’ha detto, proprio così, anche se le parole non furono esattamente queste; e ciò gli farebbe onore… se non avesse dimenticato di dire che tra quegli sviati da teorie fallaci c’era anche lui. Un presidente della Repubblica, sia pure ʺdelle bananeʺ come è la nostra, non dovrebbe usare simili foglie di fico. Ci ha presi per fessi?
Egli, dico lui Napolitano, ʺfuʺ nel novero suddetto, ai punti 1, 2, e ex officio 3, e non ci sono cetrioli da appendere, come suol dirsi (uso un doveroso eufemismo). Gli vogliamo affibbiare, per bontà d’animo, per umana comprensione, o per altro che si voglia, un conclusivo punto 5? Beh, diàmoglielo e facciamola finita, è un punto sotto il quale ci siamo riparati quasi tutti; ma lui non dimentichi che quando si dà arie di essere supra partes, c’è sempre chi ricorda ciò che per esempio ricordava Vàclav Havel. Giorgio! Giorgio! sei un ʺportogalloʺ anche tu!
Tutto ciò che precede va detto per salvare ʺl’esteticaʺ, ovvero ʺla facciaʺ, della Repubblica delle Banane, e anche nostra. ʺChi non ha arte, abbia almeno religioneʺ, come più o meno diceva il poeta-filosofo Goethe, quello che Barbey d’Aurevilly, bel fesso, credeva potesse esser menzionato come ʺl’ingenuo Goetheʺ.
Ma ora veniamo alla parte ʺtostaʺ di queste nostre meditazioni. Il mai abbastanza lodato Re Giorgio (o ʺRe Bananaʺ, come pare comincino ad addimandarlo a Roma) ha un passato da ʺapparatchikʺ comunista dei più ʺchicʺ. Anzi, da ʺapparatchikkoneʺ dei più cicconi. Ed è pur vero che il proverbio recita: ʺViest’a Ciccone: pare barone!“; ma qui no, no c’è niente da fare; puoi vestirlo da barone, da conte, da duca o da marchese, il nostro Ciccone sempre Ciccone è, e tale resta.
Ma ora c’è un fatto nuovo. Il magistrale Ingroia, di lungi (ovvero dal Guatemala), gli ha tirato un morso, al nostro presidente. Sulla faccenda delle intercettazioni, come sapete. Ma che diavolo sta succedendo? Non sarà che il Giorgio va in qualche modo dispiacendo alla onnipotente Magistratura? Che si stiano preparando a sostituirlo con uno ancora più Yes di lui? O lo strigliano prima di riconfermarlo? Come dire: ʺSí, ancora un giro, ma obbedisci meglio, perdinci!”
Oppure ci sono sobbollimenti anche nella caldaia del PD? Vedremo. Piace proprio a tutti, la prospettiva di una Repubblica Bersani? Munita del già famoso ʺMetodo TAVʺ (=comanda il popolo)? Va bene così, o forse nella foga, nonché nella fogna, il Bersani è andato un po’ troppo oltre? E come va che il PD tutto sommato, anche se finge dissenso, il ʺPorcellumʺ lo accetta? Teme sorprese quanto a scelta dei parlamentari?
E poi c’è un’altra notizia. Pare che il ʺbuonʺ Casini abbia scocciato tutti, destra e sinistra. È inservibile da tutte le parti: ormai, come si dice, s’è sputtanato. Sarebbe un grande vantaggio, liberarci del lumacone d’Italia! ʺGnè, gnè!” commenta lui imperterrito. Quanto tempo prezioso ci ha fatto perdere! E se lo contraddici, ecco ancora uno ʺGnè gnèʺ di rincalzo! Le scatole ce le ha ʺlesionateʺ sul serio.
Tra le tante, c’è anche la notizia folle, ma buona (come spesso sono le follíe): il ritorno in campo di Berlusconi. Qui mi sono già espresso; sarò breve: il meno peggio è meglio del peggio, ed io nel Berlusconi – l’ho già detto e ridetto – vedo tutti i caratteri del realizzatore d’una vera rottura col passato. Infatti, ha la visione chiara dell’intoppo maggiore: lo strapotere della magistratura. La prova: non appena s’è diffusa la buona novella, ecco che la Boccassini ha ripreso con le sue crisi di ʺcrescenzielliʺ. Coliche ad orologeria! E Re Banana zitto, non trova nulla da eccepire! Che vegogna: se ne sta zitto come fa la scimmia, che continua a grattarsi e a fingere di nulla!
Tutte le altre considerazioni di politici e tra politici sono, oggi come oggi, considerazioni di tattica partitica. Considerazioni, pertanto, anch’esse invereconde. Che mostrano ancora una volta, una ennesima volta, che lassù nel ʺPalazzoʺ, dei contenuti concreti dell’attività politica, e dunque di noi tutti, se ne fregano altamente. Ad ogni volta, dopo aver promesso di occuparsi finalmente di contenuti – lavoro, patrimoni mafiosi e non, sprechi da eliminare o almeno ridurre, pensioni, sanità, etc; etc. -, quasi tutti i nostri politici ricadono nel vizio puramente formale dei giochi di potere. Mentre la gente muore di fame, loro continuano a tirarsi per i capelli e a farsi lo strascino. È una vergogna inaudita, un male incurabile, che potrebbe condurre ad un finale cruento: finale che, se continua così, finiremo per augurarci anche noi, perché non ne possiamo più di continuare a vergognarci per essere dei poveri non abbastanza poveri da non doverci vergognare. Napolitano a questa tragedia non sembra pensarci; innanzi ad una moltitudinaria platea di pensionati, di esodati, di espulsi, continua ad insistere con le raccomandazioni generiche sul modo corretto di ʺessere Italianiʺ. Fingit creditque, dicevano i Romani, che noi a torto immaginiamo fossero rozzi. Innanzi ad una tragica marea di affamati, egli letteralmente ʺnon vedeʺ la stupida pazzia della cosa, e la figura di fesso che ci fa lui medesimo. Ah, la paura, che cosa costringe a fare!
Questa mancanza di sensibilità, ovvero di fantasia, si è via via generalizzata. Camus diceva che si comprendono solo le cose che si è previamente riusciti a ʺsentireʺ (a ʺsognareʺ, diceva lui, con una enfatizzazione un po’ pacchiana): ed è qui il non peregrino legame tra sensibilità artistica, intelligenza, e retto modo di agire. Perforare l’opercolo che separa l’immaginare in astratto dal sentire in concreto, è difficilissimo. È facile sentire genericamente pietà per gli affamati -, ma ciò è ben diverso dallo sperimentare la cruda realtà della fame.
Ma si badi, non sto affatto parlando della trita, ben nota e stravecchia considerazione: ʺpensare non è sperimentareʺ. Feuerbach già diceva che risolvere il pensiero d’una cosa non è risolvere la cosa. Ma qui è peggio. Ci sono ʺi problemiʺ -, ma poi c’è ʺil problemaʺ: quello da risolvere stasera, a dispensa vuota, alle prese col neonato che piange di fame e di freddo, e che non riesce ad addormentarsi. Qui la distinzione è già nello stesso pensiero, ed è: pensare la cosa è un puro nulla, se non si pensa la cosa intuita. Io stesso, voi, tutti noi sappiamo, nel nostro intimo, quanta differenza corra tra questi due modi del ʺsapereʺ. La vita stessa presenta questa nota di crudeltà: quando occorre, pur di vivere ancora, ignora. E dimentica. Cova in noi, permanente, una sorta di ottimismo fesso, che è un puro e semplice ʺgesto di difesaʺ. È così che le teorie diventano schermi che nascondono le stesse verità che predicano. Qui epigoni marxisti come Losurdo finiscono coll’avere ragioni da vendere. Dire una cosa senza sentirla è peggio che non dirla: si va a finire nell’ottundimento dell’abitudine. Nel fondo della nostra coscienza c’è un grumo di egoismo che si sente giustificato dalle enunciazioni. Una ʺpsicologia del teorizzareʺ è ancora tutta da scrivere. Nessuno è immune da questa cecità difensiva. Che, elevata a sistema, oggi grandeggia e imperversa. Il Presidente Napolitano ignora l’implicito pericolo? ʺIgnora!” Quanta ignominia c’è in tutto questo! Si svegli! Non faccia come fa lo scimpanzé, che nel bel mezzo della giungla se ne sta sereno a sbucciare la sua banana.
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