Dicono che non soltanto il comunismo ha tirato le cuoia, anche il socialismo nobile, o socialismo riformista, è in via di estinzione: con la deprimente conseguenza che a sinistra dello schieramento politico italiano regna un arido deserto, dove non germoglia una, sia pur pallida, idea per il governo della società del terzo millennio.
Certo, sono sempre in voga le note bandiere di “progresso” (se non più del sole dell’avvenire che è definitivamente tramontato) e di “democratico”: ma sotto di esse non c’è alcun progetto che dia risposte concrete ai bisogni della collettività, non c’è nessuna illusione di un mondo nuovo, la speranza di un avvenire migliore, quella illusione che circolava ai tempi di Baffone e che ha sedotto miliardi di uomini.
E‘ restata, però, la teoria della conquista del potere da attuare costi quel che costi, è restata la nomenclatura parruccona, che qualche giovanotto tenta di rottamare, senza peraltro abbandonare il comunismo e senza nuove idee.
Insomma, allora si coltivava l’illusione del paradiso terrestre, ora quella illusione non alberga più dalle nostre parti e forse neppure in ogni altro luogo in cui esiste ancora il regime retto dall’ideologia comunista.
Indagando sulla nascita dell’illusione e del suo percorso storico scopriamo che essa è coeva alla nascita del capitalismo ed in contrapposizione allo stesso, considerato, non a torto, generatore di guasti e lacerazioni del corpo sociale. L’illusione era quella di far prevalere sugli interessi del capitalismo gli interessi della società; onde il sorgere del socialismo, nel quale gli individui sono tesi di continuo al miglioramento delle proprie condizioni di vita. In questo senso il socialismo si opponeva sia al liberismo (al laissez-faire) sia, all’opposto, all’individualismo, ponendosi invece come regime solidaristico, senza classi. Il socialismo, dunque, tendeva all’eguaglianza sociale ed economica di tutti i componenti la società.
Già questa impostazione teorica, però, finiva con il costituire anch’essa una vera e propria illusione, atteso che in natura gli uomini non sono tutto eguali: realizzare una totale uguaglianza si rivelava e si rivela tuttora non più che una vera utopia, ancorché alberghi nell’animo degli uomini da sempre.
Ma la teoria socialista si articolò, pur nella comune contrarietà al liberismo, in diverse costruzioni o correnti di pensiero, la più importante delle quali fu, indubbiamente, il marxismo, che ebbe origine da Karl Marx, autore del Capitale, il quale sosteneva che l’unico socialismo era quello comunista, che costituiva un diverso modo di affrontare la questione della trasformazione della società capitalistico-borghese.
Anche Frederich Engels nel Manifesto del partito comunista – che aveva stesso assieme a Marx – precisava che tale partito non si sarebbe potuto mai dire socialista perché con questo termine già nel 1847 s’indicavano “da una parte i seguaci delle varie scuole utopistiche – dai fourieristi agli owenisti -, che avevano però esaurito la loro carica rivoluzionaria, dall’altra, i molteplici ciarlatani sociali, i quali volevano combattere il capitalismo senza rinunciare al capitale ed al profitto”.
Una nuova lacerazione si ebbe con la rivoluzione di ottobre (1917) e relativa nuova ortodossia, marxista-leninista, il cui apparato teorico costituì il patrimonio ideologico di tutti i partiti comunisti, compreso quello italiano.
Da allora la contrapposizione comunismo-socialismo divenne definitiva ancorché i comunisti continuassero a chiamare socialiste le repubbliche sovietiche ed ancorché comunisti e socialisti avessero stretto tra loro un patto, nel 1934, di una comune azione al fine della lotta al fascismo.
Per i comunisti l’abbattimento del capitalismo non poteva realizzarsi che con la rivoluzione cruenta, che abolisse la proprietà privata dei mezzi di produzione e creasse l’uomo nuovo; per i socialisti, a differenza dei comunisti, il capitalismo non si sarebbe estinto, sebbene trasformato nelle strutture; onde la tendenza a realizzare una società nella quale le sperequazioni tra gli uomini, generate dal capitalismo, si fossero ridotte. Inoltre e soprattutto, mentre per il comunismo il mondo nuovo si doveva realizzare mediante l’assoggettamento di tutti al “principe”, cioè al partito comunista ed alla relativa nomenclatura, per il socialismo – come teorizzava Eduard Bernstein – l’uomo doveva essere libero di operare le sue scelte, non solo sul terreno economico, ma anche su quello politico; di qui la necessità del suffragio universale.
In altri termini, il socialismo non esprimeva soltanto la necessità dell’uguaglianza e non si connotava soltanto per l’impegno a combattere gli effetti perversi del capitalismo, ma rivendicava il rispetto della dignità dell’uomo, considerato perno attorno al quale deve ruotare tutto l’ordinamento giuridico.
Perciò il socialismo occidentale ha tenuto sempre fermi i principi della democrazia liberale, ancorché di origine borghese. Diceva il suddetto Bernstein che “non esiste idea liberale che non possa essere considerata propria anche del socialismo”.
In conclusione, comunismo e socialismo, pur essendo forze di sinistra, esprimevano due mondi ideali tra loro inconciliabili: l’uno il mondo della costrizione, sia pure nel miraggio della società nuova, l’altro il mondo della giustizia sociale, ma nella libertà.
Con la caduta ingloriosa del “socialismo reale” (alias comunismo) e quindi del muro che divideva i due mondi, quello sovietico e quello occidentale, alla sinistra sarebbe dovuto restare solo il partito socialista, mentre il partito comunista, orfano della ideologia marxista-leninista, senza più identità, sarebbe dovuto scomparire dallo schieramento politico o tornare tra i socialisti dai quali si era staccato nel 1922.
Ecco però il paradosso: il partito comunista, sconfitto e senza identità, non solo è sopravvissuto, come un’araba fenice, pur cambiando l’imbellettamento, ma senza autocritica ha rifiutato di unirsi al partito socialista, che poi ha annientato attraverso i pubblici ministeri, autori della falsa rivoluzione giudiziaria (un giorno approfondirò lo studio di questa vicenda che mise fine alla prima Repubblica).
Oggi, ad occupare la sinistra sono in preminenza i comunisti, vetero e post, in unione ai postdemocristiani di sinistra: il compromesso storico post mortem. Tra zombi.
Ma il fatto negativo non è tanto l’ammucchiata senza identità a sinistra, al fine di agguantare il potere, quanto la mancanza di una identità, che dia ad essa una patina di novità ideologica, adeguata ai tempi moderni, per fare uscire l’Italia dal pantano nel quale si trova anche per loro colpa.
Perciò: una sinistra senza qualità e senza stella polare, un po’ giustizialista, arrogante.
Il vero problema è allora la mancanza di senso critico di molti nel leggere la storia nel suo reale svolgimento. Necessita quindi la crescita culturale degli italiani, capace di ben discernere quando si tratta di scegliere.
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