Ho trascorso parte dell’estate nei meravigliosi, benché un bel po’ luridi, Campi Flegrei e, da quel che ho sperimentato, debbo dedurre che la densità di monumenti classici – templi, teatri, terme, tombe, ecc. – deve costituire, oltre che una delizia per l’anima, una sorta di disinfettante antropologico. La gente vi è ancora umana, dignitosa anche nella povertà, amichevole.
Ma nel contempo ho dovuto anche percorrere varie volte la circonvallazione esterna di Napoli e la via Domiziana tra Giugliano, Patria, Varcaturo, ecc. E’ un’esperienza travolgente. Uno strano mondo di miseria ma anche di eccessiva ricchezza (visibile nelle architetture folli, di un inimmaginabile spreco di denaro) dove l’immondizia regna sovrana, a strati, a montagne, a fiumi, a mari; vi entra negli occhi, nei polmoni. E ad essa si aggiunge l’immondizia morale, che è peggio. I ristoranti hanno titoli che vi sbalestrano il cervello: ʺTaverna Salutame a sóretaʺ; ʺRistorante Mo’ te la faccio vedéʺ, ecc. S’è scoperto da quelle parti come si fa ad ingiuriare sempre tutti e tutto, anche quando si dovrebbe invece fare una cortesia, magari interessata. Ma ciò è noto: la risataccia sghignazzante è la perenne colonna sonora del plebeo.
Queste lande ormai prive di speranza, dove regna una immondizia che è più inesorabile di una condanna senza appello, è l’equivalente fisico d’una immondizia morale che è perenne derisione di tutto ciò ch’è degno, dileggio d’ogni umano sentire. Vi vive, o agonizza, una strana moltitudine grigiastra di individui amorfi, una popolazione che a forza di entropia e di anomia ha perduto ogni carattere comune, quella ʺstoffaʺ che genera un senso di solidarietà anche dal punto di vista solamente fisico. Non vedi che figuri diseguali, alti e bassi, ercoli e nani, mummie bionde e nerastre, barbe nere e grige, seni pendenti o troppo gonfi. Insomma, un mondo disorganico, senza un minimo di autocoscienza: è evidente che qui nessuno sa più chi è. Certo, la necessaria diversità tra uomo e uomo dovrebbe essere solo modulazione d’una permanente qualità, la ʺspecieʺ. Quando Leibniz teorizzò la ʺmonadeʺ, riconoscimento eccessivo della diversità, fu ben costretto, alla fine, a collegare tutte le monadi col concetto di ʺvincolo sostanzialeʺ.
Siamo ai margini di una grossa landa in preda allo sfacelo, che annunzia Napoli. E il peggio, bisogna pur dirlo, è che da Napoli in giù, questa disgregazione sociologica minaccia di invadere tutto il Meridione. Sgarbi ha avuto ragione da vendere quando, tempo fa, ha detto chiaro e tondo che ʺNapoli ormai è perdutaʺ.
Qui scopri che l’anomia è la versione morale dell’entropia. Bisogna venire da queste parti per comprendere fino in fondo che l’assenza di leggi condivise o rispettate porta subito seco molto di peggio. La ʺMorte dello Statoʺ, allude ad una realtà ben più grave di quanto solitamente si pensi.
Tu fissi orripilato questo quadro di sozzura e le prospettive che suggerisce. Ma ad un certo punto ti accorgi che l’occhio può tuttavia riposare su qualcosa di umano. Sì, ci sono centinaia e centinaia di ʺcoloratiʺ; uomini dallo sguardo triste, dignitosi fin dove possibile nel bel mezzo della sciagura, della miseria, della sporcizia. Molti di loro hanno al collo piccoli crocifissi di stagnola. Hanno un minimo comun denominatore: sono ʺbelliʺ perché ancora esprimono, esprimono qualcosa che è tristezza; dolore, ma dolore condiviso, sentito e sopportato con dignità e nostalgia; sventura, ma sventura che non degenera in escrementizi comportamenti terminali. Evidentemente, dalla loro patria africana si portano dietro il ricordo di un mondo guidato da qualche norma, da usanze rispettate, insomma da qualcosa che magari sarà barbarico, ma è meglio dello sghignazzante nulla. Persino le donne di malaffare, qui tutte imponenti donne di colore, portano con qualche dignità il loro destino di abiezione. Una prostituta gigantesca, simile ad una colossale statua scolpita in ricordo della malinconia, torreggia silenziosa nella grigiastra turba vociante.
Ho scoperto così che io sono un razzista alla rovescia. Sono forse gli Africani quelli che ci ricorderanno quanto segue: non è vero che il fatto di essere morfologicamente uomini – testa, braccia, gambe, etc. – basti, in sé, a farci tutti umanamente uguali. Queste sono scemenze degne di chi si occupa di… politica, ovvero di chi cerca non uomini, ma elettori. Umanità è concetto non ʺanatomico-esterioreʺ, ma bensì ʺqualitativo-interioreʺ.
Certamente, io sono d’ accordo con chi afferma che questa è una verità pericolosa: appellandosi ad essa, infatti, si potrebbe sempre discriminare un uomo che per ingiusti motivi non ci va a genio. Basterebbe affermare che ʺnon ha qualità umanaʺ.
Ma questo, non lo si fa già, abbondantemente? Che cosa abbiamo noi fatto per anni, per decenni, dando del ʺfascistaʺ a chi ci è antipatico solo perché ci è antipatico? O, peggio, giudicando allegramente democratica ogni persona di sinistra, ogni mascalzone che a noi conveniva far entrare nell’emetico ʺsalotto buonoʺ della stima sociale? Bisogna invece farsi forza, proclamare la verità e poi sorvegliare che anch’essa verità non sia utilizzata per opprimere il ʺdiversoʺ, come oggi si usa avvalendosi delle menzogne alla moda.
Passando dal particolare al generale, bisogna dunque affermare con coraggio che il razzismo che separi la razza dei buoni – buoni neri, buoni bianchi, gialli, rossi, verdi, viola etc. -, dalla opposta popolosissima razza dei mascalzoni, è un razzismo non solo lecito, ma obbligatorio.
Il concetto di democrazia, polisenso quanti altri mai, si presta estremamente bene alle truffe oggi richieste, introducendo quei falsi concetti che negano tutte le sacrosante differenze che la realtà presenta, e che anzi deve presentare, perché danno carattere (vita, peculiarità, umanità,) alle cose ed agli uomini.
Attualmente si nega la razza, così come si nega addirittura il sesso (che cosa altro, se non questo, è il ʺfemminismoʺ? Si crede di difendere ʺla donnaʺ facendola quanto più possibile simile all’uomo), pur di affermare l’unico valore riconosciuto, l’uguaglianza intesa alla maniera del risentimento piccolo-borghese di Federico Niezsche, ovvero come obbligatoria non-differenza. Per questa esteriore uguaglianza si va sacrificando tutto il resto: la intelligenza, la peculiarità, la specificità, insomma tutto ciò che costituisce l’umano. Fu questo il sogno dissennato di ingenui alla maniera di Jean-Paul Sartre. Come profetizzava quasi cent’anni fa Ortega y Gasset, il motto della nuova umanità ,ʺser diferente es indecenteʺ,che basta ad identificare questa inedita versione, e perversione, della democrazia .
Sotto questa universale odierna sete di non-diversità, si cela non un sentimento di giustizia, ma solo una oscena, irreprimibile tendenza a cancellare e distruggere tutto ciò e tutti coloro che sono ʺmeglio di noiʺ. E’ questa la malattia del plebeismo. Alla quale risponde una ʺfilosofiaʺ: quella che un intelligente pittore e scrittore napoletano, Ezechiele Guardascione, (ne faccio il nome perché egli, scomparso molti anni fa, non può esser messo nei guai), definiva la ʺfilosofia della cammareraʺ.
Io non andrò mai a pranzo al ristorante ʺSalutame a sóretaʺ. Chi voglia, se la saluti da sé. Ma che schifo! Plebs docet. Dove stiamo andando a finire!
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.