LA “BUONA” SOCIETÀ

Un amico giorni fa mi ha chiesto: come fai a dire che Guglielmo Ferrero riprende e chiarisce Machiavelli e Rousseau? Non è affermare un po’ troppo? E del giudizio negativo di Croce, pensatore al quale tieni tanto, che ne dici?

Di Croce, dico che il positivismo fu qualcosa di soffocante, e che Croce faceva bene a combatterne gli immaginarî automatismi. Ma col tempo, è noto, anche le diatribe teoretiche si smussano.

Quanto al merito, rispondo: credo di non esagerare. Detto alla svelta, Ferrero sostiene: 1°, la società è il felice risultato della somma di due paure: la paura dell’orrendo stato di natura dal quale siamo riusciti a sgusciar fuori, e poi la paura che ci incutono (e anzi debbono incuterci) le stesse leggi con le quali abbiamo costruito la società. Orbene: se Machiavelli sostiene che la paura è l’arma più utile al Principe (il quale deve ʺesser temutoʺ), Ferrero non fa che estendere la giurisdizione e dettagliare il funzionamento di questa legge. 2°, Rousseau teorizza che il frutto della volontà generale è il patto; Ferrero illustra il meccanismo (ovvero, l’effetto della paura) che ne rende permanente la vigenza nell’animo del singolo. Tralascio altre ʺpaureʺ particolari, come quella che anche il potere prova nei confronti dei soggetti, che potrebbero ribellarsi… Una sorta di generalizzata, ma non per questo inverisimile, visione ʺalla Hobbesʺ.

Naturalmente questa specie di ʺequilibrio di forzeʺ o, in negativo, ʺdi debolezzeʺ, crea la struttura della società, non la sua qualità. Allo schema suddetto, infatti, potrebbe ben corrispondere anche una ripugnante società che si regga sulla violenza, come avvenne con le società basate sull’ideologia marxista di cui si è fatta triste esperienza nel secolo scorso. Di per sé, la sociogenesi non è garanzia di equità e di giustizia. Anzi: spesso è già sul nascere che l’organizzazione sociale cade nelle mani dei più forti.

Ben consapevole di questa circostanza (cioè che la coesistenza delle paure è condizione sufficiente a instaurare l’equilibrio sociale, ma non a istituire la società buona), Ferrero avverte che poi è indispensabile uscire dall’ingegneria sociale ed entrare nell’etica della convivenza. Il patto sociale deve non solo ispirarsi, ma essere perennemente emendato in tal senso.

Io penso che questa descrizione ʺstoricaʺ della società buona – modalità della costruzione, continua revisione etica del costruito – sia magistrale. Essa fa della sociologia di Ferrero quanto di meglio possa dirsi sulla teoria della società. È la ragione per cui egli è famoso all’estero, ed anche la ragione per cui non lo è da noi in Italia. È lo stesso destino di Vilfredo Pareto. Per il gusto italiano, le teorie di entrambi i sociologi-filosofi hanno un grave difetto: sono laconiche e asciutte, non si prestano alla demagogia. Ma un discorso scarno, non demagogico, è il perfetto contrario dell’ideologia. A noi Italiani piacciono le ideologie, perché queste consentono di farla lunga mediante la mozione dei sentimenti, pertanto di instaurare la fabbrica della chiacchiera, e dunque di pescare nel torbido. Quando Mussolini proponeva agli Italiani di andare a riscattare non si sa da che cosa i poveri Africani, e magari a mostrare alle disgraziate Africane quanto fosse ammirevole l’uomo littorio; e quando i Comunisti spiegavano ai medesimi Italiani che per essere felici bisogna ammazzare tutti i capitalisti e proibire a ciascuno di pensare quel che Dio vuole e non quel che Marx comanda -, ebbene queste balle piacevano e forse ancora piacciono più di quanto occorra e si speri.

Si dirà: esagerazioni! Io penso non tanto, se ancor oggi, a distanza di 70 anni circa, per celebrare un 25 aprile qualsiasi bisogna ogni volta prendersi a calci nel sedere e ricominciare con le vecchie solfe. In altri termini: agli Italiani bisognerebbe sempre raccomandare, giorno dopo giorno: ʺcalma! meno parole e più fattiʺ. Più serietà. Cosa che a noi e ad essi è ben chiara, ma solo allorquando, circostanza tristissima, le pensioni scendono tra i 500 e i 600 euro al mese. È una vergogna, ricordarsi della serietà della vita solo quando la vita si fa seria. Il pensiero non è, e non deve essere, un ʺriflesso pavlovianoʺ.

Lo stesso discorso qui fatto a difesa dell’asciuttezza tutt’altro che demagogica delle teorie di Ferrero, va fatto a maggior ragione nel caso delle teorie pungenti ed alquanto ironiche di Vilfredo Pareto: che nientedimeno viene a spiegarci quanto segue: il 90% dei contenuti dei nostri cervelli è fatto di ʺresiduiʺ e di ʺderivateʺ (qui, riconosco, semplifico un po’ troppo) -, ovvero, di pure chiacchiere generate da passioni, abitudini, convenienze. Q.e.d.

In generale, sembra destino degli Italiani quello di non simpatizzare per le verità asciutte, espresse senza tanti complimenti. La sobrietà è una bella cosa, perché è nemica delle utili giravolte retoriche. Vedi il caso del giovane Benenetto Croce, che al Filomusi Guelfi, il professore di Filosofia del Diritto che gli chiedeva di illustrare il concetto di diritto naturale, ripondeva sereno che non poteva perché ʺi diritti naturali non esistonoʺ e, se proprio se ne vuole uno, ebbene c’è: ed è il diritto della violenza, che si illustra da sé.

Ma lasciamo queste valutazioni d’ordine generale e veniamo al concreto, ovvero al triste stato delle nostre finanze. Ogni osservatore veramente spregiudicato non puo’ non trarre dal terribile panorama che abbiamo di fronte la seguente constatazione: il nostro sentimento di umanità, che dovrebbe essere il cemento primo e comune della nostra Nazione, come del resto di qualsiasi altra, si è pericolosamente appannato. Abbiamo pensionati che cercano di sopravvivere con più o meno 500 euro al mese; piccoli industriali che si suicidano per l’amarezza di dover abbandonare moglie, figli e i pochi impiegati, alla deriva della miseria; imprenditori che fuggono all’estero dove si lavora con più profitto e meno retorica (le solite chiacchiere)… Ma non è che la coscienza dei privilegiati diventi per questo meno indecente e irresponsabile: onorevoli e senatori si ribellano violentemente all’idea di ridurre i propri compensi; i partiti si fanno finanziare a piene mani, sprecano i denari o, per pigrizia, li lasciano marcire; altri partiti continuano a percepire laute sovvenzioni pur essendo (grazie a Dio) defunti da parecchio tempo… (Ed è forse il caso di enunciare qui una legge tutta italiana: da noi, i ʺcorpi intermedîʺ tendono irreparabilmente a diventare… lobby, e buonasera al funzionamento della società ed alla sua etica). I sindacati continuano a difendere ʺpunti d’onoreʺ dottrinarî anziché concreti stipendi (vedi articolo 18, o caso Fiat); le alto blu diventano eserciti, e se ne progetta l’acquisto di nuove (qualcuno cerca di emendare: non sono spese già decise, sono solo progetti per futuri acquisti: senza rendersi conto che già parlare di auto blu, rosse o gialle tra tante migliaia di affamati è cosa per lo meno indegna); le spese correnti si duplicano e triplicano; le Maserati si acquistano a sei alla volta e, a proposito: a quando una patrimoniale seria?

E poi da noi c’è la piaga della ripetizione inutile e senza speranza. Da quanto tempo dichiariamo e ridichiariamo che i Sindacati la devono smettere di far politica e devono rientrare nell’alveo della pura e semplice difesa dei lavoratori? Un sindacato dovrebbe essere solo e soltanto un robusto patronato, come in USA. E da quando si continua a ripetere che la magistratura non deve far politica; che le intercettazioni telefoniche previe e a tappeto sono una vergogna; che fino a conclusione dei processi i giornali devono decentemente tacere; che un avviso di garanzia non è una condanna, etc. etc.? Quousque tandem…!?

Io, che sono un Italiano come voi e, temo, peggio di voi, innanzi a questo spettacolo dalle note tanto stridenti mi sento gelare. Una conferma di quanto detto qui sopra è facile trovarla nel sentimento piuttosto confuso che tutti noi Italiani proviamo nei confronti della nostra Costituzione. Metto da parte i difensori abbaianti della medesima, che poi, per ovvi motivi, sono le Sinistre. Tutti sappiamo in quale clima inadatto alla serena equità essa nacque. Invece di essere emendata, la dissonanza tra norme e realtà di fatto si va facendo insopportabile.

Intanto, con questi chiari di luna, si ricomincia già ad accapigliarsi per i costumi sessuali degli antagonisti, imperversa di nuovo la vesanica mania tipo ʺAnno Zeroʺ, tra migliaia di euro gettati in intercettazioni telefoniche e processi superflui. In un panorama siffattamente indecente (non per oggetti, ma per metodo), dove trovare l’unanimità ʺeticaʺ indispensabile ad iniziare una revisione o una modifica delle norme costituzionali? In un Paese dove è considerato un divertente sport nazionale dissentire da tutto e da tutti, salvo che dalle prepotenze dei conformisti (leggasi: della Sinistra)?

Un forte collante dell’opinione dovrebbe essere appunto il tremendo spettacolo offerto dalla attuale miseria non ʺdi tuttiʺ, come si continua a piagnucolare con generica ipocrisia, ma delle classi bisognose, che sono sempre le solite. Il sistema è noto: si dice troppo per non dire nulla. Senonché abbiamo proprio ora constatato che un salutare unanimismo, frutto non ancora di fratellanza e di umanità, ma di semplice decenza, esiste solo come retorico ʺpronto soccorsoʺ, sbandierato ad ogni pié sospinto nei commenti giornalistici, che pero’ si sospende da sé non appena all’orizzonte si profili qualche seria possibilità di ritornare dai verba generalia al concreto. Come sentirsi in pace con se stessi, al riparo della propria coscienza, quando si constata intorno a sé da una parte la sofferenza di tanti incolpevoli, di tanta umanità degna di rispetto e di aiuto; dall’altra tanta insensibilità condita di bugie e di retorica? Tanta svergognata determinazione – proprio da parte degli ʺonorevoli deputati e senatoriʺ, dei consigli di amministrazione di banche e grandi industrie, insomma dei ʺfortiʺ – di ignorare sistematicamente il terribile stato dei ʺdeboliʺ, che sono ormai la sola parte degna di rispetto della popolazione?


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