È decisamente sopra le righe il clamore mediatico sorto intorno agli scandali della Lega Nord. Una vicenda più fumo che arrosto, almeno sotto il profilo penale. Irrita profondamente, inoltre, l’ipocrisia di Antonio Di Pietro che si permette di spiegarci come bisognerebbe finanziare i partiti, quando la gestione dei fondi nell’Italia dei Valori – nomen omen – è sempre stata opaca e di stampo familistico: chi, da sempre, detiene la cassa è Di Pietro, sua moglie e Silvana Mura. Basterebbe ricordare le vicende legate ai rimborsi elettorali delle Europee di qualche anno fa, che videro Elio Veltri e Achille Occhetto protestare per i mancati rimborsi andati interamente all’Idv. Oppure la mai chiarita sovrapposizione del partito Idv e dell’associazione omonima – privata – che avrebbe incassato i fondi in vece del partito, come sarebbe stato logico. Non si può non ricordare pure lo scandalo (in sordina) dell’An.to.cri. – società immobiliare così chiamata dall’acronimo di Anna, Totò, Cristiano, i figli di Di Pietro – che, pare, comperasse case con i soldi del partito per affittarle al partito stesso. Niente di penalmente rilevante, stabilirono i giudici. Nulla da ridire nemmeno su partecipazioni in non meglio identificate società bulgare. Al pari di Bossi, pure Di Pietro ha il suo Trotino. Cristiano Di Pietro, in politica pure lui, finito indagato nel 2009 a Napoli. Vicenda dispersa nelle nebbie.
Non è l’unico però ad accorgersi solo ora che il finanziamento dei partiti è quanto meno eccessivo, opaco e profondamente iniquo, soprattutto quando si chiedono lacrime e sangue a tutti i cittadini. Più o meno tutti i leader politici si sono pronunciati al riguardo, mentre fino a solo una settimana fa avevano altro di cui preoccuparsi e facevano i classici pesci in barile. Bravi a pontificare, meno ad agire, ma non c’è da stupirsi: neppure la riduzione degli stipendi dei parlamentari ha avuto troppa fortuna.
Non è assolutamente mia intenzione assolvere la Lega perché “così fan tutti”, nemmeno per idea. Ben venga chiarezza e trasparenza, anche per sfatare ogni ipocrisia tra proclami di supposta purezza e comportamenti di segno opposto. Nemmeno vedo nulla di strano se Bossi, suo figlio o altri dirigenti hanno usato i soldi del partito per i loro scopi, anche se privati. Lo scandalo è a monte, nel dare tutti quei soldi ai partiti. Una volta dati, come spendono i loro soldi diviene una vicenda tutta interna, di pertinenza del movimento ed eventualmente ad incazzarsi dovranno essere i tanti militanti che si sono tassati e si sono sacrificati per convinzione, mentre i leader ingrassavano alle loro spalle. Credo che oggi si sentano giustamente dei poveri fessi, e se così non fosse significa che fessi lo sono davvero.
La vicenda però, analizzandola più in profondità, sforzandosi di guardare attraverso il polverone mediatico, presenta degli aspetti quantomeno sorprendenti. In primo luogo la miccia viene innescata dall’interno ed addirittura le dimissioni di Renzo Bossi sono la diretta conseguenza di dichiarazioni e testimonianze filmate del suo autista. Persona che avrebbe dovuto essere di fiducia, che per giustificare il suo outing ha dichiarato che “non ne poteva più” di essere “trattato come un giocattolo” e di “sentirsi un bancomat”. Strana vicenda, contornata da un altrettanto strano ed eccessivo entusiasmo di Roberto Maroni, che si è addirittura lasciato andare a sfottò su Facebook come un adolescente qualsiasi. Ma come? Stanno infangando il tuo partito e – con un sorriso a 32 denti – non trovi di meglio da fare che tirare fuori le scope, come una Befana qualsiasi? Inoltre fino a ieri eri ministro dell’Interno e non sapevi nulla di gestioni finanziarie considerate allegre nel tuo stesso partito? O sei in mala fede o sei poco furbo, tertium non datur.
Ad essere cattivi si potrebbe sospettare che la vicenda sia partita proprio da Maroni per liberarsi di un leader divenuto ormai un intralcio, ma che simbolicamente era troppo ingombrante da affrontare politicamente a viso aperto. Così fosse, l’ex ministro dell’Interno non ne uscirebbe con una immagine specchiata.
A margine escono dettagli sempre più curiosi, l’ultimo riguarderebbe la vicenda dei 5,2 milioni di Euro inviati da Belsito a Cipro e in Tanzania. In primo luogo non si comprende come una cifra simile possa essere stata movimentata all’insaputa dei vertici di partito – ma sono tesi fantascientifiche che abbiamo già sentito per il caso Lusi -, secondariamente sembra che questi denari siano stati inviati in Tanzania su consiglio di Giulio Tremonti, all’epoca ministro dell’Economia, il quale era convinto che l’Euro sarebbe saltato.
Ovvero, mentre da un lato a tutti gli italiani Tremonti imponeva una finanziaria che aumentava benzina, sigarette, irpef, ticket sanitari, assicurazioni auto, gas, elettricità, ecc., ai suoi amici della Lega consigliava investimenti fuori da un euro considerato a rischio.
Bisogna dire che Tremonti ha smentito e ha annunciato querele. Lo stesso Tremonti che pagava mille Euro/settimana di affitto a Marco Milanese per una prestigiosa abitazione romana. Denaro che passava di mano senza ricevuta alcuna, ma mica in “nero”, no, solo a titolo di rimborso spese ad un amico.
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