Il gravissimo disagio economico che ci attanaglia, centinaia di famiglie che non sanno come salvarsi dalla fame; pensionati che guardano agli ultimi giorni del mese con terrore; artigiani, commercianti, piccoli imprenditori che meditano il peggio nei negozi sforniti, nelle officine deserte, nei capannoni abbandonati, tra i depositi vuoti di operai e di materie prime -, spingono a chiedersi fin dove Maio Monti immagini di arrivare. E anche a chiedere a noi stessi se sia morale, o ragionevole, innanzi a tanta sventura e sofferenze, continuare ad occuparsi di cattiva ammonistrazione, mala giustizia, architettura istituzionale impropria, etc.
Nietzsche e Svevo, ognuno a modo suo, fanno una medesima osservazione: non è la fame, il dolore, che spingono alla rivolta, al pianto; è invece il ricordo del vissuto di fame o di dolore cio’ che spinge alla ribellione e alle lacrime. Io penso che questo sia molto vero, perché tra cosa e coscienza della cosa corre realmente un certo spazio, forse di auto-persuasione psicologica. Ma entrambi gli autori dimenticano di notare che questa sorta di amara maturazione della consapevolezza, da loro implicitamente teorizzata, molto spesso non si produce. E, in ogni caso, dov’è l’anello di congiunzione tra sofferenza e coscienza della sofferenza? Io penso che esso evidentemente ci sia, ma penso anche che non si deve scherzare troppo a lungo col fuoco, specialmente con quello che cova sotto le ceneri. L’anello di congiunzione, che è poi quella possibilità di congiungere in una due diverse preoccupazioni, la sofferenza e lo sdegno, sta ad esempio non tanto e non solo nelle follíe settarie di Ingroja, nell’inerzia vergognosa dei politici, nella latitanza di Napolitano, etc., quanto in quel piatto di spaghetti che Lusi ha pagato 200 euro, non so dove. «Ma non sapete che, per i finanziamenti ai partiti, si fa cosi’!?», e : «Se parlo io, li mando tutti a carte quarantotto!…» Questo è tutto quel che Lusi sa rispondere a chi osa stupirsi. C’è veramente da augurarsi che i «periodi di latenza» teorizzati da Nietzsche e da Italo Svevo siano piuttosto lunghi!
La vergognosa storia di Lusi fa lampeggiare nelle nostre menti varie ipotesi e sospetti… Il ricatto è cosa assai ripugnante, ma quando è «incrociato», come qui sembrerebbe sia, ripugna ancora di più perché rivela un inveterato costume d’inciviltà. Nel testo già da me citato tempo fa, Gli ossessi di Dostoevskij, questo tema viene trattato in modo chiaro e terrificante. Lo schema del ricatto-tipo è semplice: costringere qualcuno a commettere un delitto per privarlo della sua libertà etica. Nel suddetto romanzo, la vittima utile è il personaggio Sciatov. Nella vita reale, purtroppo, a questo genere di ricatto si ricorre spesso, anche se con mezzi meno recisi; e cio’ da quando hanno assunto importanza l’opinione pubblica e, di conseguenza, la persuasione occulta di cui tale opinione è in balía. Contrariamente a quanto potrebbe credersi, il clima mentale democratico è meno spregiudicato e più moralista di quanto non fossero, fino al secolo scorso, quello aristocratico e poi quello borghese. Moralista a modo suo, pero’, perché si avvale di codici etici bislacchi, come quello, ora assai in voga, che impone di badare non alle cose ma alle parole con le quali le cose vengono denominate. In complesso, la società odierna è estremamente ipocrita, e retorica. Per cui sarebbe anche comica, se non fosse tragica.
Nel malcostume di noi Italiani d’oggi è molto utilizzato il ricatto su «calunnia per colpe immaginarie»; è diventato quasi uno sport nazionale. La magistratura favorisce questo triste vizio. Padroneggiare una società di ricattati è più agevole. Intercettazioni telefoniche, prego. E poi, non ci vuol niente: un cane abbaia, ed ecco tutta la muta si mette a strepitare. Io propongo d’introdurre nel nostro lessico politico la nozione di «complesso Sciatov» per designare questo folto gruppo di infamie che hanno i caratteri del coinvolgimento coatto. Il caso Craxi, ad esempio, fu un chiaro esempio di quel che puo’ accadere ad un galantuomo che intenda sottrarsi alla triste legge. E’ pero’ da precisare che -, mentre il caso descritto seguí il metodo: ricattarne uno per salvare il gruppo -, oggi si coltiva anche lo schema opposto: ricattare tutto il gruppo per salvarne uno. Vedi appunto il caso Lusi. Insomma il «dispositivo Sciatov» puo’ funzionare anche a rovescio, allorché il complice più esposto, avvalendosi d’un ricatto «di rimando», costringe al silenzio l’intera cricca. Ma in situazioni sociali eticamente malandate come quella italiana, si produce più spesso un terzo tipo di mascalzonata: quello dei ricatti incrociati. Tutti contro tutti, e silenzio generale!
Poniamo che un tale distragga un mare di quattrini dai conti di una amministrazione statale, magari col meccanismo del finanziamento dei partiti (il quale, sia detto di passata, è già un ricatto del terzo tipo: quando a magnare sono più di due, la legge del silenzio si produce da sé: dei tre compari, il terzo tace per paura degli altri due, etc.). Ad un certo momento qualcuno, avvalendosi del cattivo funzionamento di qualche pedina del dispositivo, snida il primum movens del meccanismo, che ovviamente è di solito l’anello più debole, e magari pretende di mandarlo, possibilmente ammanettato, innanzi ad una «cosca» di magistrati. O forse il pesce preso all’amo, se è abbastanza avvertito, ha già pensato a tirare nella «rete Sciatov» qualcuno di quei messeri agghindati con cappa nera, cordone d’oro e tocco col ponpon, che noi poveri ingenui usiamo chiamare «magistrati»? Ipotesi poco fondata: si è già varie volte constatato che i magistrati sono supra partes: nel senso preciso, e amaro, che non hanno più paura di nessuno. «Responsabilità civile»? Macché!
Hé bien, chers amis, les jeux sont faits! Un silenzio di tomba scende, a mo’ di mesto sipario, sulla scena. Tutti i partecipanti alla rappresentazione, protagonisti, comprimari, comparse, suggeritore e buttafuori, ora tacciono con aria distratta, meditabonda; a domanda, rispondono col silenzio. Sono stati forse toccati dallo Spiriro Santo? Macché, è tutta fifa.
Dostoevskij, conoscitore impavido della fogna umana (I demoni, disse una volta Pietro Citati, sembra un testo scritto dal Male stesso), predispone “per ogni chissà”, come si diceva una volta, una valvola di sicurezza magistrale che si chiama Kirillov. Costui, strano personaggio misticheggiante che sta sul punto di suicidarsi «per dimostrare che Dio non esiste», viene convinto dai cospiratori a stendere un documento-testamento in cui si dichiari autore dell’assassinio di Sciatov. Direte voi: esagerazioni letterarie! E invece no: vi ricordate di un certo Greganti, eroe degno di miglior causa, che “salvó” con una sequela di atti moralmente suicidi certi colpevoli del tempo? Bene, Greganti è un Kirillov all’italiana: in realtà, la differenza che corre tra i due dimostra solo che anche il ricatto, oggi come oggi, è diventato un’arte piccina. Come tutto il resto.
Io penso che i riferimenti colti siano chiarificanti: costituiscono una specie di dizionario di termini abbrevianti: basta una parola per descrivere un mondo. Ad es. tu dici «Stendhal», o «Svevo», oppure «morale alla Cardinale de Retz», «rimorso alla Re Lear», «Swann e Odette de Crécy», e tutti coloro che hanno fatto un buon liceo classico e un po’ di storia della letteratura ipso facto, senza bisogno di apporre chiose o spiegazioni, capiscono a quale «ambiente» culturale, di sensibilità e di pensiero, intendi riferirti. Diremo dunque «situazione Sciatov» o «situazione Kirillov» per descrivere in due parole certe nostre ripugnanti situazioni di ricatto; «processo alla Josef K.» per caratterizzare il processo del tipo «nostrano», in cui, somma vergogna, la condanna sia termine a quo, e non invece, come dovrebbe, ad quem (vedi p.es. il processo Dell’Utri). E cosi’ via: «eleganze alla Mme Verdurin» per mettere a fuoco, e marchiare a fuoco, le pose di alcune ninfe egerie, come la «nostra» Carla Bruni ed altre ispiratrici delle Sinistre; o infine «eloquio alla Bouvard, ragionamenti alla Pécuchet», o magari «propositi alla Panurge», talora «alla Tartarino», certe sbrodolature ebdomadarie di alcuni nostri barbuti (e ormai anche spelacchiati) editorialisti, etc. etc. Naturalmente a questo scopo sarebbe utilissimo il ricco «dizionario» di Dante Alighieri, se costui non fosse stato proprio di recente riconosciuto un imperdonabile reazionario, eterosessuale, razzista, e peggio.
Quanto detto finora per esprimere alla rovescia cio’ che segue: come sarebbe bello, invece, dire pane al pane e vino al vino, come consiglia il filosofo Ortega y Gasset! In fin dei conti, il parlar sincero si rivela politicamente più efficace di tutte le astuzie di questo mondo. Proprio l’altro ieri è accaduto qualcosa di assai importante. Una delle menti più lucide di cui oggi disponga l’ Italia, Giuliano Ferrara, ha detto chiaro e tondo che il Presidente Napolitano vien meno alla sua precisa funzione di capo della Magistratura: Ingroja ci regala 15 o 20 anni di ingiustizie sul caso Dell’Utri? O manda all’ospedale, e si teme peggio, un Contrada? E lui, il Presidente, se ne sta zitto, lascia correre anche quando Iacoviello dimostra, carte alla mano e autorità gerarchica all’occhiello, che s’è trattato d’una oscena manica di bugie. O di scemenze ( = bugie espettorate male). Esplode la canèa dei partigiani di Ingroja? E lui niente, zitto.
Ma si sente bene, il Presidente? Si è fatta misurare la pressione arteriosa? Il «sensorio» è a posto? Noi non vogliamo certo immaginare e pertanto insinuare che Napolitano si comporti a questo modo per imposta collusione, dico per obbedire ad un ricatto. No e poi no! Ma… la psicologia di noi mortali è cosa assai complessa; i personaggi della commedia umana sono stupefacenti. Ce n’è di quelli che si «autoricattano», che «autocolludono» per precauzione: sono dei Kirillov di nuovo genere, è come se si suicidassero moralmente pur di rimanere in vita, ed in sella. E allora?
Come mai Napolitano, lui che funzionava probabilmente assai bene quando si trattava di compiacere Gromyko, di tener bordone a Togliatti, di trovarsi d’accordo col tremendo Višinskij, di approvare certe faccende ungheresi e finezze affini, oggi che si tratterebbe solo di biasimare severamente Ingroja e altri 150 come lui, se ne sta zitto tra i suoi impalati granatieri? Anzi, no: altro che zitto! Perde tempo (o: prende tempo) proclamando, con voce stentorea, luoghi comuni di quelli che non fanno male a nessuno – né a chi li ascolta, né a chi li dice -, come il «fate i buoni!» di quel tale che vende panettoni in TV.
Lasciamo stare le sfumature e le supposizioni, e dichiariamo quel che si vede subito a occhio nudo: Napolitano è un presidente della Repubblica poco utile. Non funziona. E’ un giocattolo (« giocattolo»!?) rotto. E’ stato rotto da qualcuno? Chi l’ha rotto? Che fare? Metterlo «‘nnanz’a furnacella a vuta’ o ’rragù », come proponeva il mio caro amico Mario Tramontano? Non certo ucciderlo, per carità! Io proporrei di regalargli una sontuosa dacia sul lago di Garda, p.es., nei pressi del Vittoriale, con un appannaggio abbastanza ricco, due cameriere e dieci granatieri in pianta stabile (preciso, in ossequio alla nuova morale: due cameriere maritate tra di loro, dieci granatieri gay). Premiarlo ut amoveatur. Levarselo di torno con liberale magnanimità. Con eleganza! Neminem ledere! Ma anche, non farsi ledere (o, come dicono i sempre ottimisti Napoletani, lesionare) le scatole da nessuno, presidente o non presidente che sia.
Tra tante spese inutili questa, utilissima, la si potrebbe ben fare. Non risulterebbe affatto dissonante, tra tanti tristissimi problemi economici di fine mese, tragedie di fame, di disoccupazione, di integrale assenza di solidarietà sociale. Sempre meglio che gli spaghetti di Lusi.
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