NÉ GIUSTI NÉ EFFICACI

La storia llorosa dei processi a Berlusconi può essere letta à rebours: una così lunga sequela di fiaschi, a cominciare da quelli di Di Pietro, il cui imputato-per-antonomasia è diventato addirittura più volte presidente del consiglio «alla faccia sua», parla forse di una magistratura efficiente, capace di svolgere i propri compiti?

Attenzione: dico «magistratura efficiente» con lo stesso spirito problematico col quale Eubulide mise fuori il suo famoso paradosso «del mucchio» o « del sorite». Munitevi d’un sacchetto di ceci e sedete accanto ad un tavolo. Cominciate a disporre un cece sul tavolo; poi due; poscia tre; indi quattro, etc.etc. Quando è che potrete finalmente dire di avere di fronte «un mucchio di ceci»? Al sesto cece? e perché non al quinto, allora? O forse dopo i primi dieci? Oppure il «mucchio» inizia ad esserci, ad esistere, solo dopo venti ceci? O, se è cosi, perché dopo venti e non dopo tre?

Sostituite ora al concetto «cece» l’altro concetto: «magistrato efficiente», o (con dicitura obsoleta, forse da scartare) «magistrato giusto». Quanti ce ne vogliono, di questi magistrati «ok», per poter dire che c’è un mucchio di magistrati efficienti? E ancora, ammesso che tale mucchio si formi, quand’è che – paradosso di Eubulide nel paradosso di Eubulide – la sua qualità di «mucchio ok» si trasmette all’insieme? In altri termini, quando è che ci si potrà finalmente sentire autorizzati a dire ore rotundo: «la nostra magistratura è efficiente»? Invece, perché mai la situazione è tale che si è piuttosto portati a dire, come se fosse cosa risaputa: « La nostra magistratura, ahinoi, è molto, ma molto inefficiente»? Il problema è assai serio: ci sono moltissimi magistrati di prim’ordine, efficienti, intelligenti, onesti (ne conosco alcuni anche io, lo giuro; non faccio nomi per non metterli nei guai); ma perché non fanno mai «mucchio», perché il mucchio complessivo della magistratura tutta risulta sempre e poi sempre piuttosto loffio?

Si puo’ naturalmente dare all’importante quesito un ampio ventaglio di risposte. Cominciare ad esempio preludiando: si’, è vero, la magistratura è inefficiente, ma non è colpa sua. Bene; ma allora, di chi? Nostra forse, perché non somministrammo sufficienti dosi di sculaccioni ai magistrati, quando erano ancora piccoli? O perché abbiamo il vizio italico, sempre divertente, di dare sistematicamente torto a chi ha ragione, e viceversa, e poi abbiamo contagiato con questo cinico vizio i poveri magistrati? O perché, non appena ne vien fuori uno a tendenza demagogica, bisognava strangolarlo prima che propagasse all’intero ordine della magistratura questa trista lebbra?

Sarebbe divertente poter dare anche questa colpa a Napolitano, che ne ha già tante e se ne meriterebbe ancora una. Sarebbe bello, ma non si può: la magistratura no-good esisteva già prima di lui.

Io penso che, tra le molte cause, ce n’è una sociologica, precisa, ch’è quasi un luogo comune: siamo una società largamente inquinata dalla demagogia, prima di destra, ora di sinistra. Questa demagogia di sinistra coincide con l’ideario della classe emergente, che è la plebe. Questa mentalità plebea, ormai endemica, ha prodotto, produce e produrrà ancora a lungo – spero non sine die – i magistrati che si merita. A ben vedere, le altre spiegazioni proposte (la magistratura è stata captata dalla sinistra perché la sinistra, in cambio di certi favori che sappiamo, le ha dato mano libera, et similia) sono tutte già contenute nella suesposta spiegazione sociologica. E’ in corso una «guerra» non più tra classi, ma tra strati sociali e professionali; e à la guerre comme à la guerre. La situazione è perennemente conflittuale. Anzi: come mai la società moderata, liberale, o i pochi stracci che di essa restano, sebbene inquinata e avvelenata da tali ispirazioni demagogiche, riesce ancora (riesce? – e per quanto tempo ancora?) a resistere? A ben vedere, la vera drammatica domanda è questa.

Ma vediamo a che cosa conduce, concretamente, questa situazione conflittuale di progressiva sconfitta delle ispirazioni liberali.

Che ne direste, voi, d’una squadra di calcio che non mette mai in rete un pallone, mai, neppure se un raccattapalle glie lo porta in rete a piedi, voglio dire a mano, al di là dell’iracondo portiere? Sono sicuro che le tagliereste i viveri; mandereste a casa i costosi calciatori senza indugi, dopo averli presi a calci nel sedere ad uno ad uno. “Te li faccio vedere io, i calci!” Ma vediamo ancora.

Di un meccanico che mai, neppure una volta, riesca a far muovere di mezzo metro la vostra automobile, che pure amate tanto (di questi tempi, capita anche a me: non c’è molto altro da amare) e che avete pagato fior di quattrini? Sono sicuro che alla fine cerchereste di fargli un occhio «al burro nero» come dicono i Francesi, così impara a prendersi i vostri soldi a vuoto.

E d’un medico, vediamo, che direste d’un medico che, invece di curarvi comme il faut, vi mandasse ogni volta all’ospedale; anzi, se gli riesce, al cimitero? Lo so che cosa fareste in questo caso: pur di salvare un minimo di ofelimità, come direbbe Vilfredo Pareto, affidereste alle sue cure un amico, per esempio un magistrato. Ma penso che in casi simili bisogna frenarsi; la persona civilizzata riesce a trattenere anche i suoi impulsi più sacrosanti.

Questa casistica può continuare a lungo, anzi a libito, tanto il succo dei vari esempi è sempre lo stesso: voi, anzi noi, non vogliamo impegnare buoni sentimenti, speranze e, perché no, soldi, per persone o cose, che non rispondano adeguatamente a quel che ci promettono e che pertanto siamo autorizzati a pretendere da loro. Per meglio dire – siccome siamo brava gente piuttosto comprensiva – la prima volta, e la seconda pure, saremmo disposti ad abbozzare, ma come si dice est modus in rebus, dopo le prime due o tre, diciamo quattro fregature, cominceremmo a sentire un po’ di prurito alle mani.

Orbene, la «magistratura», ammesso che noi Italiani si sappia ancora, per vaghi ricordi di tempi andati, che cosa fu e che cosa dovrebbe essere, consiste in un insieme di individui che qualcuno paga (penso, noi) affinché rendano il duplice servigio («divisione delle carriere») di reperire chi si comporta o sembra comportarsi da mascalzone, dimostrare questa cattiva qualità col metro del come del quando e del perché e, in caso positivo, liberarci temporaneamente di questi mascalzoni e magari dei risultati delle loro inique gesta.

Tutto ciò, come diceva il mio elegante amico Mario Tramontano, salace proprietario del maestoso hôtel omonimo di Sorrento, finché il magistrato è ancora arzillo, in età d’intendere e di volere. Dopo gli ottant’anni, invece, «‘o miett’ mbacci’a furnacella a vutà ‘o rragù». Traduzione dal partenopeo: lo metti seduto accanto ai fornelli a girare il ragù, operazione che dura ore perché il buon ragù dev’essere stracotto, ma non deve «azzeccarsi» sul fondo della pentola. Per cui, a voler squadernare tutto il nostro cahier de doléances relativo ai difetti della nosta magistratura, dovremmo aggiungere anche il fatto che oggi il magistrato decrepito di girare il ragù non ne vuol più sapere, vuol continuare a romperci le scatole con le sue teorie sinistroidi autoritario-eversive. Uffa, veramente un bel guaio! E noi che già pregustavamo un buon ragù! Heu, Marx, Marx, redde ragù!

Un tempo si sarebbe detto che è bene, è giusto liberarsi dei mascalzoni. Oggi che «bene bello vero e buono» sono valori (?) che fanno ridere persino i polli, in una con l’ «Italia» dei medesimi, diremo invece che liberarsene è «utile». Dizione estremamente plebea, perché riduttiva: il giusto è talmente utile alla nostra qualità di uomini, che sarebbe giusto anche se fosse inutile. Ma questa sono chiacchiere da violinisti dell’anima, oggi del tutto superflue in una moltitudine che fa la sua musica a forza di putipù, scetavajasse e caccavelle. Cio’ non toglie che sarebbe utile anche liberarsi dei magistrati inutili.

Oppure: smettiamola di lagnarci in nome del bene e del male, del giusto o dell’ingiusto, del fas e del nefas, del Gut e del Böse, dell’OK e del KO, categorie e/o coppie di opposti ormai invecchiate, roba che si pretende sia da vecchie zie del secolo scorso. E’ triste constatarlo: ma a chi volete che oggi importi più che tanto la giustizia o l’ingiustizia? Chi se ne frega della bilancia di Dike?

Giudicare allora col metro up-to-date, con il metro dell’«utile», del rapporto qualità/prezzo, ovvero della preparazione professionale, giudicando il magistrato come si giudica un pescivendolo? Da un pescivendolo volete voi che sia un uomo buono, giusto? No, macché, manco per sogno! Voi volete solo ed esclusivamente che vi venda del buon pesce a prezzi modici. Il buon casca l’asino: qui non so che dire, perché abbiamo deciso di non parlar di giustizia. Che cosa dire in luogo di «pesce» quando si parla di magistrato ?

Reductio ad absurdum. Mettiamo, ad absurdum, che il compito d’una magistratura degna del nome sia quello di portare a buon fine comunque i processi: con un proscioglimento se l’imputato è incolpevole, con una condanna se è reo. Ebbene, anche in casi favorevolissimi alla categoria, i magistrati d’Italia si rivelano dei professionisti problematici: ad esempio, non riescono a condannare neppure gli innocenti. Diro’ in chiaro: se come pare Berlusconi, ad esempio, è colpevole, come mai non riuscite a metterlo in galera? O il giudice serve solo per «dar fastidio», come se fosse una mosca?

Che direste di un psichiatra munito di altrettanti fiaschi terapeutici; di un preside di liceo con tanti somari bocciati; di un rettore di università con tale numero di fuori-corso; di un comunista con tante rivoluzioni fallite e tanti capitalisti non accoppati; di un boia che non riesca a decapitare neppure al terzo colpo di mannaja il decapitando; di una donna di malaffare (pardon, volevo dire: una operatrice di buoni affari) che non vi restituisca i clienti indenni da quella che una volta si chiamava “la goccetta militare”; etc; etc.? Tutta questa brava gente è da bocciare per manifesta incapacità professionale, dico: da bocciare in quanto incapace di svolgere con un minimo di ofelimità, di piacevole efficacia, la propria professione. La pro-fes-sio-ne, capite!? I vostri sol-di…!

Ma, come si è visto, i magistrati sono incapaci anche di svolgere male (cioè, dal nostro punto di vista: bene) la propria professione. Dunque, professionisti floppisti su tutta la linea. E allora, dov’è il famoso rapporto qualità/prezzo? Dov’è il mucchio di ceci? Dove, il buon pesce del pescivendolo?

Possibile! Con stipendi ragionevoli, immersi a bagno-maria in ambiente politicamente favorevolissimo, aiutati da ogni sorta di Mammasantissima del giure (vedi ad es. Borrelli, D’Ambrosio, Caselli, etc. etc.), manco così sono riusciti a tirar fuori un ragno dal buco!? Ma che roba è questa!? Ma dove siamo!? Non giusti, non buoni, e mo’ nemmanco utili!

Giuliano Ferrara saluta con sollievo la fine del violento bipolarismo che ci ha tormentati fino a ieri. Ciò è vero, ma solo in parte. Resta questa piaga della magistratura politicizzata: presenza che imperversa imperturbata e funesta, e che obliquamente dimostra che i nemici della democrazia sono ancora all’erta, pronti ad addentarci. Dimostra, dico, che il violento bipolarismo e la vecchia merda (scusate, è dicitura di Marx) non sono finiti affatto. Anzi, le fogne si abbuffano, possono scoppiare da un momento all’altro! Ogni tanto si sentono certe zaffate…! Aiuto…!


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