Finalmente è finito il circo mediatico di Sanremo, un festival che ricorderemo per le nudità viste e non viste di Belen e Ivanka e i monologhi del Re degli Ignoranti, Adriano Celentano. In un momento in cui si chiede una condotta sobria nei comportamenti e negli sprechi, in un momento nel quale si continua a mettere le mani in tasca agli italiani, Sanremo, con i suoi eccessi, ne è rimasto esente divenendo una valvola di sfogo. I tempi cambiano, e cambiano in fretta in Italia, soprattutto se cambiano i governi e non c’è più un presidente del Consiglio di nome Berlusconi, che forse avrà gradito le performance delle due ragazze al teatro Ariston.
Dove sono finiti i moralisti che si stracciavano le vesti per i modelli di donna-oggetto, propinati – a loro dire – dalle reti Mediaset e per le ragazze disinibite pronte a concedersi al Drago? Dove è finito il movimento femminista Se non ora quando? Forse le paladine della moralità, barricadere dure e pure contro la mercificazione del corpo delle donne non hanno avuto tempo di guardare Sanremo, non accorgendosi così che mai come quest’anno si è ricorso ai metodi più sicuri e collaudati per alzare l’audience: la nudità femminile. Il quotidiano La Repubblica e i soliti tromboni che in altre circostanze hanno versato fiumi di inchiostro intriso di morale questa volta hanno perso la verve bacchettona. Morto il Drago, liberi tutti.
Adriano Celentano per due sole due puntate ha strappato un lauto compenso, che devolverà in beneficenza, pagato da noi Italiani con il canone Rai. Il Re degli Ignoranti è riuscito a fare quello che solo Berlusconi, con il suo comportamento disinvolto nella vita privata aveva fatto: far infuriare il mondo cattolico. Ha attaccato Avvenire e Famiglia Cristiana chiedendone la chiusura. Proprio lui che in un’altra trasmissione, anch’essa targata Rai, RockPolitik, pubblicò la classifica della libertà di stampa delle nazioni attaccando il nostro Paese, affermando ce ne fosse poca per colpa del regime berlusconiano.
Sempre Celentano negli ultimi anni è diventato il paladino del qualunquismo più becero che questo Paese abbia mai visto. Un moralista che pretende di spiegare chi sia veramente Gesù Cristo, cercando di accreditarsi maître à penser di una nazione che però non riesce a comprenderlo e che lo vede solo come uno dei tanti saltimbanchi. Ottimo cantante, pessimo opinionista. Anche perché un opinionista non dovrebbe indispettirsi d’essere contestato o fischiato, fa parte del gioco. Si chiama democrazia, la stessa che permette a lui d’esprimere le sue Verità. Pretendere pure di ricevere solo applausi e pura arroganza, delirio d’onnipotenza.
L’anno scorso vinse Roberto Vecchioni con una canzone impegnata, “Chiamami ancora amore”, “che questa maledetta notte dovrà ben finire”. Benigni entrò in scena con un cavallo e una bandiera italiana – uno dei momenti più belli di quella edizione -, peccato che il tricolore sembrava usato non per unire, ma per dividere. E rimane ancora – a distanza di un anno – il mistero del compenso per quella performance promesso in beneficienza all’ospedale Meyer e, a quanto sembra, mai pervenuto. Nel frattempo la notte cui alludeva Vecchioni è finita, ma l’alba della nuova Italia non trasporta nulla di quanto sperato o promesso, ma lacrime e sangue.
Sanremo dovrebbe essere canzoni e musica e quindi, al netto dei monologhi del Molleggiato e dalla farfalla di Belen, quel che risulta evidente è che ancora una volta Mediaset ha vinto il Festival: Emma è una creatura di “Amici”, il talent-show di Maria De Filippi. Quindi o la Tv spazzatura non lo è affatto oppure è un modello vincente.
Il bilancio finale è di totale cortocircuito, di doppiopesismo ipocrita, sommerso dal chiasso delle polemiche pretestuose create ad arte per far parlare di un evento del quale altrimenti non ci sarebbe stato nulla di cui parlare, lasciandoci solo dei motivetti da fischiettare. E, di certo, sarebbe stato molto meglio.
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