« A Milano, di sera… »
La tragedia del Costa e del suo comandante Schettino continuano a farmi lampeggiare nel cervello la seguente parafrasi dei cortesi versi d’avvertimento e raccomandazione («A Milano, di sera, / mutande di lamiera! »), che uno dei massimi scrittori italiani dedica ai formosi chérubi transitanti a sera sui trottoirs della città di Arrigo Boito:
Nell’«inchino», in crociera,
Mutande di lamiera!
Bella e poetica poesiola, che tradotta in pedestre prosa significa “Ehi, voi! e lei, capitano Schettino, stàtevi attenti, perché anche andando per mare ed eseguendo il famoso sciocco inchino potete prenderla (parlando con creanza) a quel servizio!…». «Ché chi va per mare questi pesci piglia!» Ed è appunto quel che è capitato al nostro capitan Schettino, che io continuo a ritenere non innocente, ma solo mediamente colpevole per… contagio ambientale (!).
E, ripeto, misteri si ammonticchiano su misteri. Perché la «bionda a bordo» continua a difenderlo, lo Schettino, come se fosse un san Gennaro? E davvero non c’erano altri clandestini, a bordo? Perché la scomparsa di un’altra bionda, quella col computer del capitano? Che mi significano tutte queste bionde!? Dove sta la vera scatola nera? Perché il ritardo, che ha tutto l’aria di esser stato calcolato quasi al cronometro, nell’iniziare i salvataggi? C’era qualcosa da sbrigare prima, in tutta fretta? Perché la curiosa circostanza di sbarcare, subito e prima di tutti gli altri, i «Russi»!? Sono forse comproprietarî segreti della baracca? Perché pagavano di più? Ma no. Si intendeva nascondere qualcosa? Probabilmente sí, ma quante cose? O forse alcune diverse cose, se ognuno degli attori del dramma magari faceva «qualcosa» per conto suo? E ancora: Schettino colpevole sí, va bene; il suo vero peccato è di essere moralmente piccino, di pessimo gusto e stile, bevitore di caffè mentre la « sua » nave affonda, bugiardo… Ma perché anche quelli dello «Stato maggiore» della nave scapparono tutti quanti, pare quasi per primi? E perché la Costa prima decide di difendere il comandante, e dopo invece lo scarica? Non è che ha «sgarrato» per cosi’ dire in corso d’opera, il comandante? Etc.
Ma, secondo me, il mistero dei misteri, il mistero numero uno, è il seguente : « Perché, tra tanti tristi guai e tragedie, tanti addebiti e terribili accuse, lo Schettino continua ad avere un’aria da bullo di periferia, quasi serena, come se tutta la pericolosa faccenda civile e penale non fosse affar suo? Non è che il brav’uomo, con la sua occultata documentazione e il parimenti occultato computer, ha in mano qualcosa di scottante che minaccia di scodellare all’attenzione degli inquirenti, se continuano a rompergli le scatole? E a proposito, che accade con quella «nera»? Cos’è questo strano arresto a domicilio? Una prima dose!? Un avvertimento? Che ci siano ricatti incrociati?
Vedete, questa non è dietrologia, perché non alludo a informazioni segrete né scopro segreti altarini. Faccio solo domande e, come si dice, «chi domanda non fa errore».
Anzitutto, c’è il solito mistero dei misteri, il famoso fatto che, malgrado tutto, gli Italiani sono buona gente : paziente, coraggiosa, pronta all’aiuto.
Questa cospicua matassa di misteri, piuttosto, suscita in me, ribadisce e corrobora, un sospetto d’altra natura: che qui si sia sfiorata la ragione profonda del perché esista tanta burocrazia nella nostra strabenedetta Italia. Una risposta è suggerita proprio dalla tragedia del Costa-Concordia: l’incrociarsi di tante prescrizioni burocratiche costituisce un tessuto di nonsenses adattissimo al prosperare delle mene illegali, al diluirsi di chiare responsabilità. In sostanza, la mia teoria è la seguente: Il mostruoso burocratismo italiano, che fa pensare ad un popolo di idioti capitanato da idioti, è invece un tutt’altro che idiota, anzi astuto dispositivo semiautomatico di origine criminosa e a sua volta criminogeno. La prima cosa che fa, un Italiano che ha potere di decisione e d’organizzazione, se qualcosa va a rovescio a lui o ad altri della sua cricca, è di inventarsi e introdurre una nuova norma, adatta al caso, per diluire la malefatta e le responsabilità al fine di renderle difficilmente perseguibili.
La terribile tragedia d’una grande nave, che concentra su di sé le attenzioni solitamente dedicate ai più diversi problemi, è proprio quel che non ci voleva, in un clima di burocratismo difensivo generalizzato come quello qui ipotizzato. Perché è come se una grande fetta di società fosse stata aperta, mettendo a nudo la superficie di sezione col suo formicolare di permessi e veti burocratici, col rischio che, una rivelazione tira l’altra, il mistificante organismo d’insieme venga scoperchiato e offerto alla vista di tutti.
Infine, poiché come è noto lo spauracchio e la fissazione di tutti gli Italiani, persino del loro impavido Presidente (!), è di «essere ritenuti reponsabili di qualcosa», ebbene che ti combina un capufficio, un caposervizio, un capo del personale, un capostazione, insomma un capoccia qualsiasi che sia appena in grado di farlo? Ti inserisce nel già colossale codice di burocratismi un’ennesima norma che, persa nel mucchio, appena si nota, ma che, in caso di bisogno, è sufficiente a fargli da «lamiera», come si dice qui in esergo.
E, per chiudere, ci sono infine, a riprova, i significativi lapsus in cui ripetitivamente cascano i nostri potenti, a cominciare da Presidenti, Onorevoli Deputati, Senatori. Che cosa rispondono, se si prospetta loro un problema irrisolto? Rispondono non con la dignità e la generosa assunzione di responsabilità di una persona seria, ma con plebei e risentiti : «Che cacchio ne so io?», «Io non c’entro di certo!», «Cercatevi voi il responsabile, non chiedetelo a me!» ; «Io sono un professionista serio, faccio questo, mica quest’altro!», e qualcuno tra i più inverecondi : «Io? Ma io prendo il mio bravo stipendio e vi mando tutti affanculo!», «Che me ne fotte a me se questo cavolo e quest’altra rapa non funzionano? Non sono qui per questo, io! Sono controlli che non spettano al sottoscritto, andatevene tutti a Smerdarolo, provincia di Latina!», e infine il colpo basso, l’invettiva finale per tappare la bocca al curioso di turno, come quel colpo particolarmente ignobile e latrinesco che l’elegante d’Alema scaglio’ con la bava alla bocca contro il direttore de «il Giornale»: «Invece di dire cazzate, tu, dimmi piuttosto: chi ti paga per questo? Quali sono i padroni a cui lecchi il naso?», e consimili ripugnanti pacchianate.
Che stupenda signorilità! Questa è la bella classe di raffinati similconti, parapríncipi, paraduchi e paraculo, pseudomarchesi e irresponsabili vicebaroni che capeggiano la nostra baracca. Che clima nobile! Quali finezze! E questa massa di tàngheri non capisce che noi li abbiamo mandati lassù sulle poltrone per fare qualcosa, non per continuare a tirarsi sù le famose «lamiere» a scanso di responsabilità.
Ora chiudete porte e finestre, e statemi a sentire, ché debbo confidarvi sottovoce quanto segue: io ne conosco uno che non s’è mai comportato cosi’, uno che non ha mai fatto il codardo, che non s’è mai atteggiato a questo modo. E’ uno che accusano di «scarsa eleganza», ma che invece è un signore nell’anima, uno che, è bene sottolinearlo, ha l’eleganza somma di chiamarsi in causa anche quando è fin troppo chiaro che lui non c’entra per niente. E di proporsi sempre, generosamente, come bouc émissaire.
Uno!? Sí, uno. E chi è mai questo marziano, questo coraggioso tra tante maleducate pecore e tremebondi conigli? Non ve ne dico il nome, sennó cominciate anche voi a dire che «Cammarano s’è fissato!», e magari chiamate quelli del più vicino manicomio, se ancora ne esiste qualcuno. (Nella Russia Sovietica, sapete, gli apparatciki in manicomio ci mandavano anche i più modesti oppositori al regime, come ad esempio Buchowski, Daniel, Marcenko, etc.), etc.etc. Basta.
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