Il discorso di Marina Le Pen a Bordeaux, a quel che sembra, è stato trionfale (come dimostrerebbe anche, a contrario, il fatto che è subito scattato il «silenzio stampa» della political correctness). Il che fa piacere anche a me, liberale di tipo che dirò con qualche presunzione «verace» (invece i liberali mosci, che oso definire di tipo «scadente», forse avranno arricciato il naso). E’ mia convinzione infatti – l’ho già detto altra volta, citando pezzi da novanta quali Churchill, la Thatcher etc., che il liberalismo segue una linea evolutiva simile a quella del Cristianesimo: le animule blandule credono che il Cristianesimo sia una religione dolciastra, tipo « latte e miele », distributrice di caramelle e biscottini tra coorti di angeli che sfarfallano al suono di celestiali concerti; le persone accorte ben sanno, invece e purtroppo, che il Cristo e la sua parola sono cose serie, severe, e non di rado, ahinoi, necessitanti di eroismo: il mondo è tutt’altro che carezzevole, e Satana è un nemico duro.
Alla stessa maniera funziona il discorso sul liberalismo, che si tende a credere sia una teoria politica da professare con le pantofole accanto alla stufa, magari sorbendo un buon tè caldo. E’ esso invece, nientemeno, la teoria che (certo, con l’aiuto determinante dei carri armati sovietici) ha spaccato la testa a Hitler ma poi anche alla Ditta Stalin & Co. ed a parecchie altre confraternite di bellimbusti e prepotenti. Talora, guarda caso, proprio in combutta col Cristianesimo: non fu infatti Giovanni Paolo che, rispondendo storicamente alla derisione idiota di Kruscev («Il papa ha cannoni? E quante divisioni ha!?») e con l’aiuto delle forze liberali del mondo libero (N.B.- il liberalismo è anzitutto un atteggiamento dello spirito umano, non è un partito politico) fece a pezzi il muro di Berlino e ne fece cadere i contundenti frammenti sulle teste, ancora e sempre di legno, dei « prepotenti di tutto il mondo » e consimili fessi?
Ma torno a bomba (qui è proprio il caso di dire). Si credette, e da alcuni ancora si crede, che il liberismo (la teoria del laissez faire o del libero commercio, spuntata già nel ‘600 con John Locke agli albori del liberalismo, poi con Adam Smith e gli altri teorici dell’800, e ancora presente lungo il XX° secolo), sia parte integrante del liberalismo. Alcuni punti del discorso della Le Pen fanno sospettare che anche lei – allorquando giustamente biasima il «liberalismo selvaggio», o «eccessivo» – creda ancora, come del resto molti in Francia e altrove, alla erronea identità liberismo = liberalismo, sia pure intendendo il liberismo come parziale contenuto del più vasto contenitore liberale.
Ma cosi’ non è, ed ormai le teorie ottimistiche del libero mercato, da quella seicentesca della « mano invisibile » di Adam Smith a quelle settecentesce, ottocentesche, e oltre, della « favola delle api », dei « vizi privati che sono virtù pubbliche » e quant’altro (come ormai si è preso a dire con brutto sintagma venuto alla moda), hanno fatto il loro tempo e sono andate in disuso insieme ai loro autori o sostenitori (Mandeville, Shaftesbury, etc.). Finendo tra i residui di Vilfredo Pareto. (NB – Il paretiano « residuo » non ha nulla di derogatorio; indica soltanto un pensiero divenuto irriflesso e ripetitivo).
Ben al contrario, l’importante differenza tra liberali e liberisti esisteva ed esiste in re, perché questa diversità era ed è nelle cose stesse: una cosa è l’aspirazione verso la libertà politica e sociale, ben altra è l’aspirazione, altrettanto spontanea purtroppo, ad impadronirsi (con indiscriminata « libertà ») di fette quanto più grandi possibili della ricchezza collettiva.
E’ legge di tutte le verità (grandi medie e piccole, in ogni campo – economico, morale, filosofico, etc.) quella che recita: ogni asserto, prima di essere riconosciuto valido, risulta arduo da scoprire, talora persino inverosimile ; ma, una volta trovato e universalmente accolto, diventa banale, facile, sembra persino strano che qualcuno si sia presa la briga di propugnarlo e difenderlo. E’ andata a questo modo anche con la suddetta faccenda della distinzione tra liberismo e liberalismo: la verità della distinzione è ormai generalmente ammessa. Ma invero esistono ancora persone estremamente serie e rispettabili che non si convincono della verità dei fatti: si pensi alla scuola economico-sociale detta « viennese », ed a molti teorici sia italiani e stranieri (specialmente di area anglosassone). Capito’ di non esserne persuaso ad un economista italiano di grande valore, gentiluomo e nobilissimo pensatore che fu anche Presidente della Repubblica, parlo di Luigi Einaudi, il quale ebbe a sostenere sull’argomento una famosa disputa con Benedetto Croce. Dove Croce, persona munita non solo di molto cervello ma anche di immensa informazione culturale, ebbe a difendere la teoria giusta: il liberalismo non include affatto il liberismo, anzi a volte, per realizzare la sempre di nuovo difficile utopia liberale della giustizia distributiva, gli va contro, lo corregge ed osteggia e persino lo nega. Se così non fosse, avrebbero ragione i marxisti quando sostengono che le libertà formali non sono affatto le sostanziali libertà economiche, queste sì autentiche e vere, e che, anzi, sono maschere con le quali ai malintenzionati benestanti riesce facile spargere «oppio» nelle menti degli sventurati meno abbienti.
Insomma: il liberismo predica che il mercato del tutto libero avrebbe in se stesso una automatica forza « autoregolatrice » (appunto, la « mano invisibile » di Adam Smith) che ripiana il dare e l’avere e raddrizza i torti, col risultato finale che il « laissez faire » condurrebbe ad una sostanziale giustizia sociale e soddisfacente ripartizione dei beni.
Ebbene, questa virtù autoregolatrice del mercato è pura favola. Sappiamo ormai (anche perché non ci si occupa d’altro, in fatto di economia, da decenni) che il mercato è costituito da uomini, non da angeli scesi giù dal cielo; e che gli uomini, lasciati a se stessi, sono mascalzoni capacissimi di debellare qualsiasi autoequilibrio e belle chiacchiere affini, pur di farsi al meglio i propri affari. Ragion per cui, con paradosso solo apparente, un clima autenticamente liberale (non liberista!) predica e vuole un mercato assai spesso tutt’altro che libero, ma regolato da giuste leggi, da accorti lacci e da generosi lacciuoli, che tentino di rimettere sempre daccapo le cose in sesto e la giustizia sul venerabile trono che le compete, a difesa dei partecipanti più deboli nella giostra del commercio, nel generale turbinío dei beni e delle merci. Questo discorso si fa di giorno in giorno più limpido e chiaro proprio oggi che siamo tutti sovrastati dal pauroso Leviatano del Mondialismo e, in Europa, infastiditi e, peggio, danneggiati dal sorrisetto tra imbecille e verdiccio del Sarkozy e dalla finta bonomia un po’ da Tordella e un molto da Strega Maghella della Merkel.
Io mi auguro che Marina Le Pen, che è persona di grande civiltà e intelligenza, nonché di retta intenzione, tanto da costituire una vera e propria speranza per la nostra sbreccata Europa, abbia ben presente la distinzione di cui abbiamo detto qui sopra, e sappia anche che nei pressi di tale distinzione passa il resistentissimo ma sottovalutato confine che separa il liberalismo dai totalitarismi di destra: per dirla schietta, il liberalismo dal fascismo di suo padre ad esempio. Con interessata menzogna i marxisti, mentitori di professione, negano che tale differenza tra liberalismo e fascismi esista. Certo, libertà di commercio non significa affatto giustizia commerciale e equità economica; così come forza non significa affatto violenza e prepotenza ; e così come onesta convinzione di pensiero e d’intervento non significano affatto pensiero unico e sopraffazione statuale. Il diritto di resistenza e la struttura costituzionale dello Stato esistono bene, ma ciò non significa affatto che la forza non sia ancor sempre necessaria. I profittatori sono capacissimi (lo vediamo oggi) di allearsi «a rovescio» con un malinteso diritto di resistenza, un ambiguo o obsoleto dettato costituzionale, una falsa integrità giudiziaria. La forza è da invocare proprio quando il mondo si fa più gravemente ingiusto, perché gli ingiusti sono forti, assai più di noi, e ci aggrediscono anche con l’aiuto dei Tribunali, formalmente depositarî della giustizia, come ormai accade quasi ad ogni piè sospinto. Il consorzio degli uomini non è una succursale del Paradiso, dove tutti insieme noi si possa cantare i dolci Salmi in gloria della bontà universale (i Salmi in salmì, come mio nonno definiva le giaculatorie comuniste e fasciste). E’ esso, invece, una sezione cospicua del generale Supermercato della Malvagità Universale. Bisogna insomma avanzare nella giungla benintenzionati ma armati, come fa l’Angelo Michele. I veri liberali debbono condursi cosi’, anche se esser cosi’, coi tempi che corrono, risulta magari un po’ comico. E poi, leggetevi il Don Chisciotte, ch’è il libro più insigne e commovente della nostra cultura d’Occidente, forse addirittura (come sostengono filologi di primissima scelta) quello che questa cultura nobilita, caratterizza e contraddistingue tra tutte.
A tale angelo noi speriamo assomigli la Marina Le Pen. Ed a chi intendesse deriderci dicendo: «eccoli che ora santificano santa Marina come già idoleggiarono e ancora idoleggiano san Silvio!»), imperterriti risponderemo : «Forse si’, siamo ingenui; ma voi, non avete santificato san Giuseppe (Stalin) e il suo bieco san Palmiro, san Leone Trotski, le castronerie di san Castro e i miagolíi idioti di san Mao, il beato Pol Pot e delinquenti affini, ed anche creduto alle loro bambinesche fanfaluche e ignobili teorie? Vi piaceva il regno della libertà, neh? E i milioni su milioni di cadaveri «necessarî all’avanzare della Storia » vi andavano a fagiolo? E allora, se noi siamo ingenui, voi foste e ancora siete ingenui, immorali, strumentali e fessi. Guardatevi allo specchio e ognuno si tenga i Santi suoi; e « Cheste so’ cerase; pigliatélle e portatéll’a casa… »
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