E qui comando io
e quest’ è casa mia
ogni dì voglio sapere
ogni dì voglio sapere
E qui comando io
e questa è casa mia
ogni dì voglio sapere chi viene e chi va… zumpa pà.
Un tempo ci fu l’Europa. No, non sto parlando del 2001, quando ci indussero “anzitempo all’orco” bombardandoci di giubilo per la nascitura Europa mentre salassavano con delizie le nostra tasche già rattoppate. Parlo del tempo dell’Impero romano in cui gli avi dei nostri avi, conquistarono mezzo mondo trasformando ogni terra con la loro sapiente e robusta ingegneria ed integrando la loro cultura a quella degli altri senza peraltro mai perdere l’identità d’origine. Dopo una ventina di secoli la verità di questa affermazione è ancora visibile nei siti archeologici, nei musei, talora nelle campagne e mettendo il naso che so io, nelle opere di Tito Livio, tanto per fare un nome. Cultura e guerra viaggiavano insieme, e quanto! Gli antenati riempivano alla grande le loro brevi vite, costruendosi l’immortalità nella storia. A loro si deve il fatto che l’Europa intera si sia sicronicamente sviluppata, nell’alambicco di una comune cultura. Non c’è una storia del mondo, ce ne sono tante parallele e sfalsate. Cadiamo sempre nell’errore di guardarle tutte con i nostri occhiali.
La nuova Europa, messa da parte l’epica, gli ideali e i ricordi, è nata a suon di svanziche, senza curarsi affatto degli affari di famiglia dei singoli Stati, delle loro qualità e caratteristiche. E’ da dieci anni che ci costringono a camminare con la calcolatrice in tasca, infestando ogni lingua dei loro neologismi bancari incomprensibili, seminando preoccupazioni e scontento. Ci avete fatto caso? Da che c’è l’Europa, siamo tutti più infelici. Questa verità che nessuno dice perché politicamente scorretta per antonomasia riverbera nei singoli comportamenti dei governanti. Ed ognuno a modo suo cerca di ovviare arrangiandosi a spese degli altri. Nicolas Sarkozy qualche tempo fa parlò di un’eventualità di aggiungere ai dati statistico-economici che danno conto dello stato di salute delle nazioni, anche l’indice della felicità. Nessuno si curò di questo concetto giudicato strampalato e tutti continuarono a far di conto. Ed ecco che in mancanza di tutto, tranne che di elucubrazioni bancarie, alla prima occasione ghiotta si mette in atto l’antico adagio: “se uno non crepa, l’altro non gode” per restituire un sorriso ai francesi immusoniti in astinenza di grandeur.
E l’europetta, zitta, de minimis non curat praetor. I padri fondatori dovrebbero pretendere al prova del dna per questa figlia degenere, incolta, sguaiata ed interessata. Incapace di intendere e di volere. Ma mentre la sciagurata si compiace della sua costosa inutilità è bene che anche noi ci facciamo i fatti nostri, che non ci fa nessuno. Riprendiamoci le basi e attiviamoci per mettere intorno ad un tavolo i contendenti. Nessuno potrà aver nulla da ridire. Per la suddetta europetta, vale il silenzio-assenso come è valso per re Nicolas. Il re medesimo, certo non può indirizzarci contro i suoi raphales: chi la fa l’aspetti. Ed anche “a porco, porco e mezzo, dice il poeta”. Gli adagi popolari suppliscono al vuoto culturale.
Quanto a Obama, scommetto che ci farebbe monumento, intonerebbe uno spiritual e suonerebbe il sassofono in testa ad Hilary per moderare la sua furia castratrice peraltro giustificata dai noti infortuni familiari.
E poi, quando nel Mediterraneo sarà tornata la quiete dopo la tempesta, noi, che di questa antica civiltà siamo stati la culla, non potremmo farci carico di promuovere un’iniziativa per dare una solida cultura all’Europa analfabeta?
Angela Piscitelli, 24 marzo 2011
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