Non dobbiamo esimerci dal discutere d’uno dei fenomeni più vistosi (e gravi) del tempo presente: il declino del sentimento religioso. Il tema è serio, e non è peregrino, perché è sul sentimento collettivo della vita (e quello religioso ne è ben uno, e dei più importanti) che riposano, in ultima istanza, non solo la nostra condotta personale, ma persino le nostre convinzioni politiche. E qui si puo’ forse esemplificare con un paragone tra Italia e Francia. La perdita del sentimento religioso, in Italia, ha colpito le classi superiori: col risultato che abbiamo oggi una borghesia e una classe dirigente (che prevantemente in essa borghesia si recluta) che sono le più discordi, stolide e ciniche del mondo. In Francia, inversamente, sono le classi popolari quelle che hanno perduto la fede. Ne risulta che la borgesia e le classi superiori, esenti dal fenomeno, resistono molto meglio al generale disorientamento.
Invero, il fenomeno coinvolge la serietà delle nostre idee, la consapevolezza e la compattezza del nostro far parte d’un «popolo», la forza dei nostri proponimenti e della nostra capacità di difenderli. In breve: è un tema tanto serio che io, piuttosto che tentar di esprimere su di esso soltanto la mia modesta opinione personale, ho qui preferito ricorrere all’opinione d’un grande pensatore: Carl Gustav Jung.
Si dirà forse che tutto cio’ mal si accorda con le prospettive immediate del momento, tutt’altro che allegre. Niente affatto: io penso, invece, che proprio noi liberali non dovremmo, arrendendoci alla durezza dei tempi, proibirci una informazione culturale vasta, nutrita di quanto di meglio si è pensato sui problemi della nostra epoca. Alla fin fine, è anche da questo indebolirsi dei sentimenti di unanimismo che dipende lo stato di grave depressione economica e di anomia che caratterizzano cio’ che oggi chiamiamo «la crisi».
Altrimenti, ignorando queste componenti della situazione collettiva, ci comporteremmo come i marxisti, che considerano tutto cio’ che non è concreto «rapporto di produzione» non altro che superflua «sovrastruttura», ch’è un modo saccente di dire «chiacchiera»: col risultato, oggi, di fare stoltamente solo un piacere alla Merkel, che vuol disporre dei «duri fatti» a modo suo, considerando men che zero le discussioni e i pareri degli altri.
E ancora: a coloro che ritengono che in momenti di dura crisi non bisogna occuparsi d’altro che di dura crisi, occorre chiedere: perché mai, allora, il gioco del calcio, le corse automobilistiche, le sfilate di moda vanno bene, e le discussioni serie su temi importanti come il declino del sentimento religioso sono invece da giudicare non solo superflue, ma dannose o persino indecenti? Insomma, in giro c’è molta malafede e molta imbecillaggine.
Riprendo il filo del mio discorso.
Nel suo Simboli delle metamorfosi Jung nota: «Proprio oggi che gran parte dell’umanità abbandona il Cristinesimo, è opportuno comprendere perché nel lontano passato essa lo accetto’ e lo fece proprio. Lo accetto’ per sfuggire alla ferina bestialità degli uomini dei tempi antichi. E se ora lo abbandoneremo, trionferà ancora una volta quella barbarie di cui i nostri tempi hanno dato cosi’ estremi esempi. Ancoa una volta abbandonare il Cristianesimo non sarà un acquisto, costituirà un grave regresso… Noi abbiamo potuto constatare che cosa accade quando un popolo comincia a giudicare stupida la maschera della morale. La bestia [che è in noi] viene lasciata libera, ed un’intera civiltà puo’ sparire nella follía della corruzione dei costumi… [Abbiamo assistito ad] un orribile spettacolo che ci fa comprendere che cosa il Cristianesimo s’è trovato innanzi e che cosa ha cercato di trasformare… Il mito religioso ci si rivela dunque come uno degli acquisti più alti e importanti dell’umanità, che puo’ dare agli uomini la forza e la sicurezza necessarie per non essere sommersi dalla mostruosità dell’universo [corsivo mio: sic!]. Considerato con realismo, il simbolo [cristiano] qui si rivela essere non una convinzione esteriore, ma una verità psicologica che fu e che è il ponte che ci ha portati verso tutte le grandi conquiste dell’umanità… I simboli [e i connessi archetipi] funzionano come dispositivi trasformatori che fanno passare la forza psichica da una forma «inferiore» ad una «superiore». Il simbolo agisce per suggestione,… persuade mediante il suo numen, ovvero mediante l’energia propria all’archetipo…etc.».
Comprendere queste gravi parole di Jung al loro giusto valore non è facile, se non si tiene conto del fatto che egli non fu soltanto un medico psichiatra di grandissimo pregio ed uno straordinario psicologo; fu uno dei massimo pensatori del nostro tempo, un teorico le cui novità di pensiero bene si situano accanto alla hegeliana fondazione della dialettica; alla scoperta di Heidegger della doppia realtà dell’Essere; alla teoria crociana del fondamento estetico del pensare; alla individuazione dei necessari, invalicabili limiti della democrazia (Ortega y Gasset); alla scoperta di Emilio Cioran che, superando Cartesio, individua nel dolore, non già nel pensiero, la vera prova e testimonianza del nostro «esserci», etc. etc.
In altri termini, il pensiero di Jung si pone tra le più grandi innovazioni teoretiche degli ultimi duecent’anni, quelle che ci consentono ancora di essere fieri d’essere uomini. Egli è stato lo scopritore primo della vera realtà dell’Inconscio. Quest’ultimo non è – come potrebbe suggerire una frettolosa lettura di Freud – una sorta di «contenitore» personale delle esperienze del singolo, e specialmente delle sue esperienze infantili; è invece uno sconfinato spazio collettivo, serbatoio di tutte le esperienze fatte dagli uomini nel corso dei millennî; è una vera e propria memoria universale dell’umanità e della sua storia. Ed è anche una sorta di colossale «rete» sotterranea che mette in comunicazione le «informazioni» di tutti i soggetti pensanti, presenti e passati: una sorta di Internet a noi fornito dalla stessa Natura. Questa sensazionale scoperta junghiana consente di spiegare fatti della coscienza e della mente prima misteriosi, e di inoltrarci persino in campi prima preclusi alla scienza. Senza abbandonare la solida base della intuizione ragionata, noi oggi grazie a Jung possiamo affrontare meno indifesi i fenomeni più misteriosi della coscienza sia personale che collettiva, leggere con minore incertezza gli astrusi palinsesti dei tempi trascorsi, esaminare senza abbandonarci a voli fantasiosi certe novità apparenti e certe altrimenti inspiegabili ripetizioni della storia… Sono queste splendide avventure del pensiero umano cio’ che giustifica l’opinione di Pascal: gli uomini sono entità duplici; sono sí dei tremendi diavoli, ma talora si rivelano essere anche degli angeli caduti giù dal Cielo, volucres demissi ab alto, come diceva D’Annunzio e ribadiva Drieu la Rochelle.
Nei fatti, il Cristianesimo di Jung è severo, non parrocchiale, è filtrato ed autenticato da una seria considerazione della condizione umana. Egli non fu né un missionario né un dogmatico. Fu uno scettico per metodo, un cervello di straordinario acume, che quando tratta di religione ne discute affidandosi esclusivamente allo spirito scientifico.
In breve: l’opinione di Jung non è quella di un uomo che, anche con buonissima intenzione, si sia arruolato in una qualche propaganda fide. E’ il parere di uno scienziato appassionato sí, ma appassionato esclusivamente della verità; un uomo che ha scoperto qualcosa di grave nella nostra «civiltà» attuale: le carenze profonde e quindi le ragioni dell’attuale perdita del senso complessivo della nostra avventura umana. Una avventura che potrebbe essere entusiasmante, ma che, appunto, privata del «senso», spesso non lascia scorgere che la amara inutilità e fatica di un «dover essere» privo di scopo, alle prese con la «mostruosità» di un universo sfornito d’ogni possibile bussola, di cui appunto lo stesso Jung qui ci parla.
Rileggendo questo scritto di Jung, mi è venuto naturale pensare di raccomandarlo ai nostri lettori, perché possano anch’essi condividere il non piccolo conforto costituito dalla parola e dalle idee del grande filosofo e psicologo svizzero. Bon courage! dunque, cari amici, come dicono immancabilmente i Francesi ogni qual volta si accomiatano.
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