Mo vene Natale nun tengo renare me fumo na pippa e me vaco a cuccà.
Quando stanotte sparane botte, me metto o cappotte e vaco a veré.
“Una cipolla dice ad un’altra: Io non li capisco proprio, gli esseri umani: prima ci fanno a pezzi e poi piangono”.
Adesso tutti i cannoni stampati tuonano festosi che sta per cominciare la “fase due”. E noi, imbambolati ad assentire, come quando ci troviamo sul tavolo operatorio ed il ghigno dell’anestesista ci sibila sul viso: “ed ora facciamo una punturina”. Siamo bolliti. Perché dalla stampa amica e fiancheggiatrice del colpo di stato non potevamo certo attenderci altro che apologie variegate. Normale. Lo spread è sparito, manco la Sciarelli risponde al telefono. Cio’ che sgomenta, e che ci lascia con il panettone a mezz’aria davanti alla tivì è la metamorfosi del nostro amato Fu Mattia Cav. La pettinatura ed il cappotto sono sempre gli stessi, è vero. Ma la vocina si è fatta esile, e l’ideario incerto. Lui che vendeva sogni ad ogni angolo delle strade, in tempo di Natale si aggira come un attempato zio bofonchione e se un microfono s’avvicina, certo, dice che la situazione non gli piace troppo, ma che la responsabilità è del governo. Ma come! Lui, che si è fatto triturare il dicibile e l’indicibile dall’orda parlamentare dei voltagabbana e poltronisti, lui che si è fatto martirizzare, brigugliare, carluccizzare e ridurre all’impotenza senza poter far nulla ora che è sulla tribuna e finalmente potrebbe arrostire a fuoco lento questo governo se ne sta buono buono a comprar caldarroste? Dove sono le sue truppe? Esercito di Francischiello?
Noi berluscones di lotta e di governo (ma ora di lotta, beninteso) osserviamo nel firmamento due inquietanti fenomeni: la democristianizzazione di cio’ che resta del Pdl e la scomparsa delle stelle liberali. Infatti il primo sintomo della democristianite, secondo i più autorevoli epidemiologi, è il seguente: si dice una cosa e si fa l’esatto contrario. Se poi questo esatto contrario lo si vota pure, la malattia è ad uno stadio molto avanzato. Che il Cav avesse le zie monache, lo sapevamo. Ma esistono monache liberali, perbacco! Il giovane Alfano dall’eloquio forbito e l’occhio di gatto fa le fusa a Casini, che da buon soriano di monnezza dei poteri forti annuisce pregustando la trippa. Non vorremmo che la strombazzata riforma dell’architettura costituzionale fosse fatta da un geometra dell’Istituto Jervolino invece che da Vitruvio. In attesa della “fase due”, l’Italia se ne va a rotoli con “sobrietà”, senza emettere un gemito. E mentre si scatena senza pietà la caccia a chi produce, l’elefante burocratico, carezzato e scudocrociato se la gode. Il senatore per meriti speciali verso la Repubblica manco gli fa il solletico. Puo’ cadere pure il Colosseo, diranno sempre che è stato un piccione, mentre la miriade di uffici dello stato, comuni, province, regioni, comunità montane, consorzi di bonifica, consigli di quartiere, sovrintendenze speciali, dipartimenti di ‘sto piffero, consulte di ‘sto cavolo, continueranno a vampirizzare cittadini sgomenti che hanno il solo torto di essere poco inclini alla rivolta, e un po’ propensi alla connivenza. Lo Stato autoreferenziale sta per giungere alla perfetta compiutezza. Grasso, irridente, stupido e crudele più di prima.
Allora, di questi 17 anni passati a sperare, a muoversi di casa con le nonne, il cane e la bandiera per riempire la nostra piazza, a litigare in autobus col rosso vicino di sedile, ad emozionarci per un sogno e perfino a comprare i cidì di Apicella, non è rimasto proprio nulla? Possibile che non ci sia nessuno, ma proprio nessuno che salga su un montarozzo improvvisato e dica che ci hanno presi per i fondelli, che ci hanno rincoglioniti con le balle più incredibili, che ci hanno tolto voce, rappresentanza e passione? In nome e per conto di chi? Perché?
Certo, ci arrangeremo. È da tempo che i cittadini e lo Stato sono in guerra. Avevamo creduto che potessero riconciliarsi. Invece questo silenzio non parla di una raggiunta armonia. E’ solo che le truppe degli opposti fronti si preparano all’attacco. Poco importa se dell’Italia non resterà nulla o quasi. Senza gloria, non c’è storia.
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