Dicembre, l’anno sta per finire. Era cominciato con fanfara e rataplan all’insegna dei festeggiamenti per il centocinquantesimo. Ma si sa come va a finire. Si piazza la vegliarda suonata sulla poltrona, la parrucchiera sul posto le acconcia la sparuta e canuta chioma in un improbabile chignon, parenti ed amici vanno a comprare una bella torta: “soffia, nonna, soffia!” Tutti fan finta di essere felici e la vegliarda il giorno dopo, zàcchete!, bella che stecchita. Probabilmente avrebbe campato ancora un po’ tranquilla a casa sua, se le fosse stato evitato il pernicioso banchetto.
Giornali e televisioni, ora che la libertà non c’è più, per far finta di lavorare dopo la sparizione del Cav, si danno da fare per “trovare notizie”. Va molto di moda in questo momento la caccia al prete, reo di non pagare l’Ici e la rivolta della casta sul taglio degli stipendi. La Stampa, disperata, apre con Durban evento del quale non frega a nessuno, che non decide mai nulla, ma deve costare un botto di hostess, sherpa, tramezzini. C’è pure l’aria inquinata di Milano. Auto, non auto? questo è il problema.
Del vero “fatto rilevante” non parla nessuno. Quatti quatti tedeschi, francesi, banchieri, compari, sodali, hanno fatto a pezzi la nostra sovranità popolare, il nostro bilancio, il nostro spirito di iniziativa. In poche parole: l’Italia non c’è più. E’ andata subito “a fondo” come ben disse quel simpaticone di Monti appena impoltronato e senatorato. Che diavolo ce ne importa se Fini si contorce negli ultimi spasmi, o se qualche parrocchiella sfugge al fisco quando tra qualche mese dovremo imparare tutti il tedesco e mettere Dante e Leopardi al bando? I partiti si sono sciolti come neve al sole. Si è capito che tutto era tenuto in piedi con abilità da giocoliere, dal Grande-Piccolo Cav, unico vero paladino e vessillo ad un tempo, dell’unità nazionale.
Era la sentinella della democrazia, il catalizzatore delle idee, il parafulmine dei problemi. Sparito lui, gli Italiani si sono immersi in un profondo sonno ristoratore, visto che, finalmente alleggeriti di un’incombenza fastidiosa, il voto, felici di non dover più dire castronerie di destra o di sinistra in autobus per alimentare il sale della democrazia – la discordia – sembrano ben lieti di affidare ai burocraten di Bruxelles il loro miserello destino di gente senza Patria. Massì, pagheranno anche un po’ l’Ici, massì, si organizzeranno con il nero in qualche modo a paghette da 500 euri in contanti, massì, andranno più tardi in pensione e fingeranno di credere che ci sono misure per i giovani e per le donne: small, medium, xl e pure xxl. In fondo siamo maestri della retorica inutile e ci torniamo volentieri a sguazzar dentro. Se poi ci comprerà la Cina, tanto meglio. Invece della ciotola di riso, ci daranno involtini primavera con crauti. Si assiste anche agli ultimi sussulti della toghe rosse, che per amore di firma e di pennacchio, continuano a prendersela con i soliti noti. Fiammelle dell’incendio che sta per spegnersi per mancanza di legna da ardere.
I politici si stanno riciclando in burocrati, cosi’ pure i giornalisti. A Pompei non cade più nemmeno un sassolino, l’avete notato? Burocratizzeremo pure il Vesuvio. Erutterà solo se lo dice Bruxelles, se no, no. A tutti sarà chiesta osservanza, non competenza. Dunque si attrezzino pure le università. In fondo è più facile formare passacarte che gente di qualità. Si vede che era destino. C’è stato chi ha combattuto strenuamente per salvare l’italia dalle dominazioni straniere, chi ha fatto di tutto perchè non diventassimo una succursale dell’Urss, chi ha sognato il riscatto del Sud, la secessione del Nord, la rivoluzione della bellezza, la rinascita di un carattere nazionale di qualità. Ora più niente. Ogni passione spenta. Non abbiamo bastiglie da prendere e, se le avessimo, le lasceremmo volentieri agli altri. Buona domenica ecologica, anticlericalista, burocratica, europea.
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