C-DAY IN DIFESA DELLO STATUS QUO

La Costituzione italiana è certamente la carta dei principi fondanti del nostro Paese, ma non è la Tavola della Legge, il dèka lògous diretta emanazione del divino, disceso dal monte Sinai in groppa a Mosè. Entrata in vigore il 1 gennaio del 1948, fu un compromesso tra una concezione della società individualista/rousseauiana ed una di stampo statalista/hegeliana. Tutto sommato una buona Costituzione, ma non di certo – proprio perché figlia del compromesso – la migliore possibile.

Sono passati 63 anni e il mondo è cambiato radicalmente, ma non questa Carta rimasta fondamentalmente immutata nel tempo. Nessuno mette in discussione i princìpi fondamentali riconosciuti da essa, ma nemmeno deve essere considerata un totem da adorare. Il tentativo di riforma della magistratura, semmai, è da intendersi come un rafforzamento dei diritti del cittadino di fronte al potere degli organi requirenti, istituendo la figura di Giudice terzo, distinta e distante per carriera e funzioni da quella del Pubblico Ministero.

La modalità con cui queste riforme verranno attuate sono in corso d’opera e le opposizioni rischiano di perdere l’occasione di concorrere alla modernizzazione del Paese, rinunciando a contribuire alla stesura del testo, al confronto e a fornire proposte alternative o correttive.

Le manifestazioni di ieri, titolate “C-Day” proprio in difesa della Costituzione della Repubblica, hanno dimostrato di essere anacronistiche, di rappresentare una vuota scatola retorica arroccata su posizioni reazionarie e in difesa di rendite di posizione.

Le parole di Ingroia, applaudito come una star, sono state significative: «Questa controriforma non è soltanto una ritorsione contro la magistratura, ma c’è in gioco una posta molto più grande. Se dovesse passare avremmo uno stato di diritto azzoppato, sfigurato nei suoi principi fondamentali così come disegnati dai padri costituenti.» Da un pubblico ministero – se proprio non può fare a meno dei riflettori – sarebbe invece stato lecito aspettarsi parole di maggior equilibrio, centrate su aspetti tecnici del problema, non un comizio.

Il Movimento per la Giustizia, corrente di sinistra della magistratura, si spinge a chiedere le dimissioni di quei magistrati che lavorano al ministero della Giustizia, verificando «la compatibilità della loro permanenza in tali uffici con la politica della giustizia che, con la loro collaborazione tecnica, si sta attuando». In pratica chi cercherà di migliorare questo Paese sarà bollato di “collaborazionismo”.

Dario Fo si è spinto ad affermare: «Io sogno, sogno di accorgermi che gli arabi sono arrivati qui e Bossi è scappato in Svizzera assieme a tutti i leghisti.» Evidentemente il premio Nobel ’97 considera un regime teocratico, integralista, magari wahabita meno peggio di qualche fazzoletto verde che combatte da sempre per un assetto nazionale di stampo federalista.

Scendendo in piazza si è difeso lo status quo contro la modernizzazione, il sistema statalista contro quello liberista, lo Stato di polizia contro quello libertario e garantista. Si è difesa l’Italia attuale contro quella che verrà, quasi volessero farci credere vivessimo oggi nel miglior Paese al mondo possibile.

Paolo Visnoviz, 13 marzo 2011

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