Di quanto l’italica politica goda di autonomia non è dato a sapere, ma sembrerebbe molto limitata, visti gli sconfortanti e clamorosi repentini cambiamenti di direzione sia sulla Libia che sulle scelte economiche maturate recentemente, in buona parte ancora in corso d’opera, delle varie manovre finanziarie.
Se dell’appiattimento sull’interventismo in Libia ci si può far una ragione, invocando la realpolitik e affermando sarebbe stato ben difficile mettersi di traverso alle determinazioni americane, francesi e inglesi, diversamente risultano meno comprensibili le scelte operate in campo economico.
Anche in questo caso è lampante il concio d’imposta risieda all’estero, o meglio, nel cuore di una Europa sempre più burocratica, unita solo da una camicia di forza monetaria e politicamente acefala. Ma proprio per questo le euro-indicazioni dirette al governo italiano non erano rigide e dettagliate, offrendo un largo ventaglio di scelte e non entrando minimamente nel merito del “come”. Si chiedeva e si chiede risanamento dei conti pubblici e incentivi alla crescita, ma non s’indicava minimamente alcuna via politica da perseguire.
Il pastrocchio che ne è seguito è solo demerito nostro. Ovvero, ancora una volta è emerso il limite della politica berlusconiana, condizionata da Gianni Letta nel cercare il più ampio concerto possibile, tentando di non scontentare alcuno e finendo, fatalmente, per scontentare tutti. L’esercizio della ricerca del compromesso ad oltranza è giunto al punto di snaturare radicalmente i principi-cardine della coalizione del centro-destra, giungendo – per gioco di veti incrociati, di riserve di caccia intangibili, della mancanza di coraggio nel toccare interessi di potenti corporazioni e stati sociali – a trovare delle soluzioni che avrebbero potuto benissimo uscire dal cappello di un governo Prodi con ministro dell’economia Padoa-Schioppa (Dio abbia pietà di lui, ché lui non ebbe pietà di noi).
Caspita!, eppure si pensava che un governo di centro-destra avrebbe attuato una politica, giusta o sbagliata che fosse, di centro-destra. Medesima critica però è stata diretta anche ai vari governi di centro-sinistra, incapaci anch’essi di attuare scelte di carattere coerente alla loro natura.
Si è così generata la sensazione che le differenze dei maggiori schieramenti in campo, una volta giunti al potere, si annacquino e si equiparino. I complottisti in questo vedono chiaro un governo soprannazionale al quale i singoli stati non possono ribellarsi, identificato a volte nell’ Fmi o nel club Bilderberg di turno; gli anti-casta, invece, vi trovano la conferma che i politici siano attenti ai loro soli interessi.
Scartando a priori le visioni dei complottisti e degli anti-casta, ma non rinnegando gli oggettivi vincoli agli impegni internazionali, si potrebbero ragionevolmente immaginare le cause di scelte così infelici nel tentativo di evitare di creare forti contrapposizioni sociali, che farebbero farneticare alle opposizioni di “macelleria sociale” e altre amenità in tono. Trattasi quindi di goffo cerchiobottismo.
Goffo perché il governo forse si salverà dai tumulti di piazza, ma non verrà comunque risparmiato da critiche e manifestazioni, con lo svantaggio di aver perso pure il consenso della propria base politica, sentitasi tradita da scelte improprie.
Le proteste e le sollevazioni popolari non necessariamente debbono poggiare su oggettivi dati di fatto, ma basta vi sia la percezione e il convincimento di ingiustizie sociali. Sono guidate da emotività e irrazionalità, anche se quasi sempre sono frutto di premeditati disegni politici. Infatti le varie primavere arabe non poggiano su nessuna base concreta, ma si limitano a richiedere più democrazia, meno corruzione, “vere riforme”, ecc. Tutto ciò in modo generico e assolutamente improvvisato, apparentemente prive di alcun disegno politico, con protagonisti assolutamente incapaci di proporsi come alternativa alle classi dirigenti di cui sono governati e che contestano. Un specie di evoluzione del movimento “peace & love” degli anni ’60, senza nemmeno la forza di divenire fenomeno di costume.
Tale connotato di protesta rimarrà, almeno in Occidente e in innocua versione indignados style, fintanto che non si toccheranno veramente privilegi elargiti a larghi strati della popolazione e intesi quali diritti. Difficile spiegare ai greci, ora, una volta acquisiti, che lo stipendio medio di un ferroviere pari a 4.000 Euro è da fuori di testa e che i libri gratuiti nelle scuole sono un lusso che non ha eguali. Eppure in Grecia, nonostante permangano prebende a pioggia, si sono viste feroci e violente manifestazioni non appena si è dovuto cercare di tagliare voci di spesa di uno stato assistenziale divenuto insostenibile.
Altrettanto capiterà da noi, appena saremo costretti a porre rimedio al lusso di mantenere 24 milioni di pensioni, 3,6 milioni di dipendenti pubblici, una sanità da spavento per sprechi e inefficienze e varie analoge amene voragini. Tutte cose che questo governo non ha di certo avuto il coraggio nemmeno di sfiorare, preferendo abbandonare a se stessi imprenditori, artigiani, liberi professionisti, partite Iva, ecc. Ovvero la parte produttiva della nazione, anzi additandola alla pubblica piazza come causa dello sfascio perché evasori certi.
Ma il muro della realtà contro il quale rischiamo di schiantarci si avvicina sempre più e bisognerà che qualcuno abbia il coraggio di scegliere tra tagliare le spese di uno stato assistenzial-clientelare e la certezza della perdita della già precaria pax sociale. Diversamente decideranno altri, ancora una volta, per noi. E non saranno fantomatici gruppi Bilderberg, ma freddi, inesorabili e incontrovertibili leggi aritmetiche.
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