Nelle democrazie compiute le fazioni non esistono. Diverse opinioni si fronteggiano durante la campagna elettorale e vince chi riesce ad interpretare meglio i bisogni e i desideri della comunità locale o nazionale. Dopodiché i vincitori governano o amministrano per il tempo del mandato e saranno sanzionati o premiati a tempo scaduto, nelle urne. Del tutto impensabile che candidati sindaci o amministratori facciano campagne parlando di questioni di governo, la gente li prenderebbe per matti. Il laicismo politico è pragmatismo. L’appartenenza ad un partito non è un matrimonio indissolubile contratto per fede, ma è una laica adesione ad un modo di pensare con il quale, in un determinato momento si è in sintonia.
Lo sapeva bene il Cavaliere, lui che con una semplice frase: “voterei per Fini” stese ko tutte le certezze del sistema partitocratico riaprendo i giochi alla speranza di una maturazione nella vita politica italiana. Lo sapeva. Ed ora, l’ha dimenticato.
Dimenticanza non colpevole dopo vent’anni di solitarie battaglie contro la dittatura della partitocrazia e con il partito dei giudici alle calcagna. I grandi riformatori un po’ non trovano interlocutori, un po’ non li cercano, basti pensare al declino di Pannella, ridotto a rimorchio della sinistra dopo essere stata la punta di diamante della “rupture” continua verso gli schemi precostituiti. O a Bettino Craxi, che cedette alla staffetta suicida con Demita, proprio nel momento in cui avrebbe potuto alzar la voce ed urlare: “riforme costituzionali” e fare il gesto dell’ombrello. Lui che aveva stravinto il referendum sulla scala mobile, non seppe osare. E fu sopraffatto.
Noi signori-nessuno del centro destra, abbiamo avuto grandi speranze. Sarebbe disonesto non ammettere che esse sono state disattese. E che il paziente lavoro di tutti questi anni potrebbe essere vanificato da una campagna elettorale sbagliata e dal disorientamento del capo. Tuttavia noi ci siamo. Perché questo partito, che gli avversari credono composto da corpi plastificati alla Gunter Hagen, proprio perché non esiste nella forma ingessata che idolatra l’ideologia, è invece un insieme eterogeneo e vivo di uomini e di donne che seguono, un po’ disordinatamente, la stella della passione civile che vuole un ‘Italia più normale, più sana, più bella. È una spiga di grano che non ha colore, perché è cresciuta senza luce del sole, ma è viva ed è presente.
Qualunque sia il risultato finale non deve accadere mai più che le città, le province, le regioni siano vilipese da candidature d’ogni colore raffazzonate nel pattume del politichese, costruite per fini “altri” rispetto all’altissimo compito di dare ai cittadini case comuni decenti, operose e sindaci veri, non tribuni del nulla. A chi è chiamato ad esprimere, con il voto il suo rappresentante vanno spiegate nel dettaglio competenze e responsabilità. Occorre stroncare senza pietà l’usanza barbara dello scaricabarile. Solo quando sarà chiaro a tutti: “chi fa che cosa” potremo liberarci del circolo vizioso della magistratura politicizzata e dei media compiacenti. Nell’indistinto oceano inquinato delle responsabilità è facilissimo buttare il barile addosso al nemico-bersaglio, che spesso, maldestramente, non ha nemmeno le competenze minime per difendersi. Siamo certi che la maggior parte dei cittadini che hanno votato e voteranno tra dieci giorni, non hanno la minima idea di cosa possa fare un sindaco, un assessore, un consigliere. Nessuno glielo ha spiegato mai. In questo agghiacciante nulla brillano come stelle gli individui-sindaci che occupandosi di amministrare per davvero fanno crescere le loro collettività facendo crescere insieme i loro consensi. A loro, trasversalmente – Tosi, Renzi, De Luca, Cota – e tantissimi altri che lavorano in silenzio all’ombra dei campanili di tutta Italia andrebbe affidata una consulta per il buon governo dei territori che formi giovani amministratori di buona volontà bandendo ogni forma di vuota politicizzazione. Per questa tornata elettorale è tardi.
Tuttavia, i signori-nessuno come me del centro destra, imbufaliti, delusi e disaffezionati hanno l’obbligo di riflettere sul fatto che se ci sveglieremo l’altro lunedì con le poltrone di sindaco di città cosi’ importanti occupate da tribuni del nulla, certo, non sarà una catastrofe irreversibile. Ma la speranza, esile se volete, ma non defunta, di un vero cambiamento si allontanerà di molto. E le conseguenze, non quantificabili. Montanelli non ci era simpatico né “prima” né “dopo”. Ci è sempre apparso un po’ trombone. Tuttavia ci corre l’obbligo di citarlo: “turatevi il naso, e andate a votare”. Poi cercheremo di consegnare il conto ed esigere che ci venga pagato.
Angela Piscitelli, 22 maggio 2011
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)
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