Nel precedente scritto ho tralasciato l’essenziale. La società che chiamo leviatanica (=fondata non più sull’Io/Tu, ma sul Noi/Voi) esalta ovviamente la tendenza al conformismo. Il quale è una varietà del funzionamento cerebrale ch’è diventata il problema n.1 del nostro tempo. Cantare in coro – in un’epoca senza poesia e quindi senza melodie! È interessante, in tale contesto, la deformazione della “vanità”: che, costretta a far leva su un “noi” e non più sull’Io, diventa una obbligatoria solidarietà di gruppo che moltiplica gli effetti nefasti del conformismo stesso.
Ma si noti: il conformismo, in sé, è un modo fisiologico del pensare; senza di esso la società non esisterebbe. Il fatto è sottolineato già dallo stesso Augusto Comte (1798 – 1857), il fondatore della sociologia. L’uomo tende ad adottare le convinzioni del gruppo; è strutturalmente conservatore (anche se assume facilmente… conformistici comportamenti rivoluzionari). Altrimenti detto: l’animale sociale di Aristotele include necessariamente l’adeguarsi a convinzioni e comportamenti già sperimentati (la cosiddetta “tradizione”). Esiste insomma un “conformismo positivo”, del quale non è possibile disfarsi senza demolire prima la società, poi l’umanità stessa.
Tuttavia solitamente, quando si parla di conformismo, si pensa a convinzioni e comportamenti negativi. Ma allora, dove sta il discrimine? Sta nel “contenuto” dell’atteggiamento conformistico. Bisogna quindi concludere che il “conformismo” non è il termine negativo d’una coppia, come ad es. il termine “cattivo” nella coppia “buono/cattivo”; corrisponde invece ad un modo di natura anfibologica. Cosicché la risposta esauriente è che contenuto e contenente interagiscono tra di loro secondo la dialettica contenuto/forma ben esemplata ad es. dal giudizio estetico.
L’atteggiamento del “conformista negativo” ha carattere nettamente patologico, presenta note che non possono sottrarsi ad una recisa condanna: il timore del giudizio sfavorevole e delle sanzioni inflitte dal gruppo di appartenenza, in caso di non adesione; la “vanitosa paura” del generico svantaggio generato dal non uniformarsi; il pericolo di arretramento nella scala sociale della “modernità” e della presentabilità (“impresentabile!” – sentenziò una volta la Annunziata, corifea del conformismo politico: giudizio che nientedimeno riservava ad uno spontaneo, generoso moto di ribellione contro una grave ingiustizia. Insomma: un modo di porsi piuttosto vile, “cerebralmente pusillanime”, diciamo. Infine: il vero discrimine sta nella qualità dei singoli. Una società matura cede meno facilmente al conformismo, cede solo dopo aver subíto un decadimento. (E qui non facciamo esempi, per… doverosa cortesia).
È il conformismo una trappola sociopsicologica dalla quale sia difficile evadere? Sí e no. Perché esso ha ancora un’altra caratteristica: è passibile di bruschi mutamenti, di rovesciamenti immediati. Si pensi all’antifascismo, sorto multitudinariamente da una società sedicente “fascista” nell’immediato dopoguerra; o, in piccolo, all’immediato veemente (!?), comico “antifascismo” nato dal nulla non molti mesi fa, ad opera di pochi astuti arruffapopolo, e poi liquefattosi nel giro di qualche settimana. Questo aspetto peggiora la pericolosità del fenomeno: è infatti sempre accaduto, e continua ad accadere, che diventino “conformistici” pensieri, convinzioni, usi i più incredibili, stolti, contraddittorî, folli, inutili, contrari alla ragionevolezza, magari alla morale ed alla decenza. Lo si è sperimentato più volte, e proprio oggi di nuovo: marxismo come salvifica religione totale; moda pressoché obbligatoria del linguaggio e del pseudo-pensiero strutturalistici; maniacale fissazione “rivoluzionaria”; intellettualità “organica” (=ovvero che nega se stessa); religioni orientali; irragionevoli passatismi e/o futurismi; sessualità omo-, trans-, etc.; onanismo terapeutico; linguaggio osceno ritenuto indispensabile all’eleganza…; senza parlare degli strepitosi esempi che ci giungono dall’etnologia: riti religiosi sanguinarî aztechi; sottomissioni rituali mochica, e anche africane, mediante fellatio; miglioramento dei raccolti con aspersione masturbatoria dei seminati…, la fantasia umana è inesauribile anche quando è sterile. Figuriamoci quanto lo sia nella disoccupata e annoiata società affluente o, peggio, nella nostra disorientata società leviatanica! Qui, come in altri fenomeni d’induzione psicologica, occorrerebbe l’attiva presenza di persone serie, persone di buona volontà e di diversa intenzione, e di eventi, circostanze e accadimenti positivi atti a “raddrizzare la barca”. Un tempo si parlava di “tradizioni buone”, di “educazione”… Tutte cose oggi travolte dalla vanità di gruppo, ch’è il combustibile del leviatanismo. Bisogna “apparire”, comunque e ovunque, e poche chiacchiere.
Nel plumbeo clima plebeo instauratosi specialmente da noi – mentre nelle scuole gli studenti prendono a schiaffi ed a calci nel sedere i docenti – insomma nel generale sistematico rifiuto d’ogni costruttiva ragionevolezza e decenza -, come provvedere? Il conformismo dilaga, vanitoso, “presentabile”, irreparabile.
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