“Faccetta nera, bella Abissina, aspetta e spera che già l’ora si avvicina”.
Ho un ricordo in bianco e nero, ma non sbiadito. Era il 1962, avevo nove anni. Era sera, dovevo essere già a letto, invece non so perché gironzolavo intorno alla sala da pranzo dove, dietro il vetro, stavano i miei genitori. Mia madre era seduta, con il giornale davanti, mio padre era in piedi. “Tornerà la guerra” disse lei. Mio padre scosse la testa. “Non credo, ma dobbiamo prepararci. Per ora, non parlarne davanti ai bambini”.
Non fu tanto quella parola – guerra – ad impressionarmi, e non era la prima volta che la sentivo dalla voce dei miei familiari. Mi mancava all’appello un nonno, lasciato morire a Padula dai partigiani, il Cavaliere Piscitelli, fascista, ma di questo nessuno parlava ed un nonno sconosciuto non è un nonno, è soltanto una nonna alta e sempre a lutto. Mi restavano alcuni prozii generali, sempre in divisa e medaglie nei pomeriggi in famiglia che certo inducevano a probi comportamenti, tanto erano severi anche con la tazza da tè in mano al posto della sciabola, ma proprio per questo, tanto ben difesi, eravamo certi che “la guerra” era ormai solo in quelle fantastica enciclopedia illustrata che si chiamava “vita meravigliosa”, dove le gesta dei nostri eroi d’ogni tempo venivano raccontate e illustrate a colori.
A farmi gelare il sangue fu il tono dei due. Erano calmi, entrambi con una ruga sulla fronte e sembravano pronti a difendere la famiglia da ogni minaccia. Perché poi la guerra è questo. Un estraneo, che per odio, indole, desiderio di sopraffazione vuole impadronirsi con la forza di una famiglia che non è la sua. Nessuno di questi allegri governanti che blaterano di “interventi nel quadro Onu” e di “azione diplomatiche” sappia, neanche per sentito dire, una guerra cosa sia. Perché il nemico, fino a ieri, fino ad oggi, alle porte non ci era arrivato. La guerra era solo rappresentazione di un “altrove” organizzata sotto bandiere anonime, Onu, Nato, e noi comparse insignificanti a versare il tributo di vite dei nostri ragazzi in perfetta integrale ipocrisia. D’altronde, chi parlava di guerra? Le abbiamo chiamate “operazioni umanitarie” così da poter scegliere il nemico a piripacchio, secondo i gusti eccentrici di qualche demente al potere, digiuno di geopolitica, eufemismi criminali in cui il sangue scorreva a fiumi.
Ed ecco che, nella maniera più tradizionale, quella descritta nei libri di storia seri, arriva il nemico. Arriva proprio materialmente, avanzando, piantando bandiere, tagliando teste. Il Califfo, comparso sulla scena arrampicandosi sulle macerie delle primavere arabe fece, come suole, una dichiarazione di guerra. Nessuno se ne curò, tutti a far salotto e a guardare in poltrona su You Tube le decapitazioni come fossero uno dei tanti film che circolano, col succo di pomodoro al posto dell’emoglobina e tanto orrore finto. Stamani quell’oca giuliva del conduttore di Agorà pretendeva di intervistare il Vescovo di Tripoli, assediato nella sua chiesa mentre intorno succedeva di tutto: “cosa vede, Eminenza?” Il Sant’uomo ha fatto in tempo a dire: “hanno costruito intorno” e il collegamento è affogato nel fragore dei colpi, delle voci concitate, il tutto mentre i quattro cretini sulle poltrone discettavano sull’Egida dell’Onu. L’Onu? Isis lo sa, che sarebbe come fare un favore al nemico andare ad assaltare i lussuosi palazzi e tagliare le teste ai funzionari. Quelli sono i loro migliori complici, i traditori dell’Occidente, i fiancheggiatori del male. L’Europa? Quella sta più su, che nel Mediterraneo ci siamo noi, che la sovranità popolare non sappiamo proprio dove stia di casa. Andate a leggere i classici, cialtroni, per capire cos’era e cos’è il Mediterraneo. Non ci è rimasto nulla, ma nulla di quel Sangue Romano che ci fece grandi guerrieri e costruttori di civiltà nello stesso tempo? L’hanno succhiato tutto i comunisti? Avemmo Cesare, e habemus Pinottam. Non siamo più in grado di far secchi quattro pirati assassini, facciamo la riverenza, il saluto militare e restituiamo le barche? Chi stiamo aspettando? Non verrà nessuno ad aiutarci, certo non Barak Hussein Obama. Lo spettro del Colonnello vaga insanguinato senza che nessuno ascolti la sua requisitoria appassionata. Non fu il fato ad ucciderlo, fummo noi, con la nostra ignavia. Si, noi. “Bruto è un uomo d’onore”.
Il nemico ha parlato: “Siamo a sud di Roma”. Il Capo delle Forze armate, dov’è? Non ha avuto anche lui due normali genitori come i miei che parlavano sommessamente di guerra? Che cosa faremo, domani, dopodomani o tra qualche ora, quando sbarcherà con tutti gli onori in Sicilia? Gli faremo mandare un avviso di garanzia da Ingroia?
Il Mediterraneo, carezza con le sue onde le nostre coste. Potesse parlare, racconterebbe di una storia lontana, svenduta un tanto al chilo da uomini indegni che non ne seppero esserne custodi. Traditori. Uomini senza onore, e senza palle.
Ma qui, oggi, non è questione di pil e di spread. Se qualcuno dichiara guerra, piaccia o non piaccia, bisogna combattere. “Dov’è la vittoria, le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creo”. Troppi giorni, anni, secoli da pecora. Basta. “Loro” si sono arresi. Noi vogliamo vendere cara la pelle. Se qualcosa ancora vuol dire “Siamo Italiani”.
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