AVANTI UN ALTRO

Adesso ci sarà un momento di euforia: il tiranno è caduto anche se non vuole andarsene; noi Napoletani siamo così, festa all’elezione e festa alla defenestrazione. È un modo di coltivare la speranza e forse anche una filosofia gentilmente scettica.

Ma non è di lui – il Pazziariello arancione – che vogliamo parlare. Un altro verrà e rivedremo il solito rituale. Attorucoli di quart’ordine calcano il palcoscenico politico della commedia dell’arte, ma il teatro conserva, consunto, tarlato e ingiallito, un magnifico sfondo: la città di Napoli.

Marzio, il mio perseverante amico editore, mi ha mandato stasera quattro foto della Villa Reale; poche parole: “ho fotografato la parte meglio conservata”. Gli eleganti sedili di piperno con le spalliere distrutte, imbrattate di scritte, le foglie secche nella polvere, qualche passante frettoloso. Proprio lì dove fu la mia casa. Era il giardino incantato di tutti i bambini del mio tempo. Palloncini e naso all’insù, per osservare quelle statue severe e così magicamente candide, dentro il verde degli alberi; briciole per le paperelle che nuotavano nella fontana, zucchero filato e la banda.

Vent’anni, oggi dalla morte di Domenico Rea l’ultimo aedo dell’anima autentica di Napoli, tanto disincantato quanto romantico. “Bisogna leggere i classici”, asseriva stentoreo con suo vocione rauco, e dietro quella spessa montatura da talpa, gli occhietti brillavano mentre il sole scivolava giù nella vetrata. E noi a pendere dalle sue labbra col bicchiere a mezz’asta, un po’ per fascinazione, un po’ per timore di essere redarguiti come scolari disattenti; la sua Ninfa oggi, non avrebbe il finale d’amore della favola. “Il carro si fermò davanti al basso…” e la commovente metafora del sangue purificatore, che ancora ci fa piangere, tutte le volte che rileggiamo quella pagina, non può più essere in un tempo in cui perfino San Gennaro si è arreso, e fa miracoli a tutti. Una città è la sua letteratura.

I libri, i luoghi, il destino… hanno fatto la fila, i Napoletani, per fondi di magazzino dell’antica libreria Guida, svenduti a tre soldi per svuotare i locali. Ci fu la saletta rossa, ed ora non c’è più, come altre cose, tante cose, le botteghe storiche, smantellate, gli alberi caduti, le chiese murate.

I mammasantissima della Bce occupano il desco reale, stasera al palazzo Ferdinando è un buontempone ed un ospite distratto. Invece di incenerirli con un malocchio ben assestato preferirà sicuramente restarsene alla Chiaja tra i suoi amici pescatori. Loro non vedranno nulla, rumineranno il pranzo di gala e parleranno di soldi, senza capire. Non lasceranno manco la mancia, andandosene.

Il Pazziariello che va via, deponendo grancassa e bandana senza stile, è perfino patetico. Non è peggio degli altri, né di quelli che verranno. Probabilmente i mammasantissima parleranno di progetti faraonici per saccheggiare ancora, con la complicità del prossimo incolto. Ingiustizia, miseria, perfino malavita sono figlie dell’ignoranza: “bisogna leggere i classici”.

Non dovrebbe essere difficile, se solo nella melma politica si facesse strada un napoletano per bene che, come un buon padre di famiglia, inventariasse con umiltà il patrimonio e accettasse l’eredità. Uno che abbia occhi per vedere e cuore per capire. Col caratteraccio che ha perfino Giggino, se non fosse stato un buzzurro vanesio (ciuccio e presuntuoso, come diciamo noi), avrebbe potuto far bene.

Invece vedremo ancora le promesse faraoniche, la fiera della volgarità, le candidature di partito, il rimpallo di responsabilità, la parabola dei ciechi, gli “aucielli del malaugurio”, i convegni, i simposi, e un’immagine sempre più insozzata. Tutto per partorire un altro inutile idiota. Avanti un altro.


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