Speziale libero, Battisti stopper.
Del calcio me ne fotto da gran tempo. Esattamente dal 1987, l’epico giorno del primo scudetto del Napoli; ho un filmino: tutta la famiglia sul letto, bimba, tata, io, marito, e mio padre in poltrona, occhi puntati su una televisione che ancora aveva un grosso sedere e un po’ gracchiava, allo scoccare del 90° minuto; e poi strilli di gioia, canti, e l’esplosione dei caroselli festanti lungo la Riviera di Chiaia. E poi, il regista amatoriale zumma sul volto di mio padre: e si vede una lacrimona che scivola giù pian piano, lungo la guancia. Mio nonno fu presidente del Napoli e papà aveva seguito le sue orme, fondando e gerendo una piccola seconda squadra partenopea, l’Internapoli, quella per intenderci da cui uscirono – scoperte sue – Pinotto Wilson e Giorgio Chinaglia. Portava la famiglia in trasferta con la squadra. Ricordo Luis Vinicio che chiacchierava con mia madre e le tavolate alla pizzeria Gorizia, al Vomero. Papà era pure accompagnatore, e sedeva in panchina. In tasca aveva i premi di partita pronti, biglietti da diecimila per “i ragazzi” e forse pure qualcuno per comperarsi un portiere, se proprio proprio era necessario. Le schermaglie tra tifoserie avverse sono sempre esistite, ceffoni e ombrellate pure, ma nello scherzo, pur pesante, c’era ironia e mai cattiveria. Ricordo che una volta, in calabria, i locali contrariati da uno svantaggio casalingo, presero di mira il suo cappello e un petardo malandrino s’infilò nella falda: il cappello fumava, ma lui, preso dagli ultimi istanti della tenzone, non ci faceva caso.
Il mondo del calcio era un’avventura ed un linguaggio. Sulle tribune, e pure in campo, volavano insulti ma poi tutto finiva per ricominciare alla prossima, per la rivincita senza rancore e con arbitro rigorosamente cornuto.
Poi è successo che le squadre sono diventate aziende, che sono arrivate le magliette sponsorizzate, le mutande sponsorizzate, i calzini sponsorizzati, miliardi di lire e poi di euro, azioni, il commento sportivo si è fatto dietrologia, ed è chiaro che in mondo così, se ci metti cose “altre” da quelle che dovrebbero esserci, e ci togli la poesia, la creatività, e l’essenza pura di una sana e robusta competizione tutto se ne va a pitoffio e doppio.
I “benpensanti” interrompano qui la lettura. Trovo mostruoso che Genny ‘a carogna sia indagato per una maglietta: di magliette che inneggiano ad assassini certificati e osannati ne girano a milioni nei negozi e tutti le indossano senza avere certe gestapo di noantri tra i coglioni. Lui sarà pure carogna, ma con i suoi mezzi e con il suo linguaggio ha certamente evitato il peggio. E poi, indagato perchè? La maglietta l’hanno vista, non c’è mica bisogno di indagare, ma già, nessuno sa indagare più, visto che a giorni dal fattaccio sul farabutto che ha sparato è buio totale; in compenso piantonano il poveretto moribondo. Che cacchio piantonate, ve lo immaginate uno che se ne scappa con tutti i fili del baracchino della rianimazione, l’ossigeno, il catetere, la flebo, il chirurgo, l’anestesista, l’infermiere? E poi, accusato di che? Il tutto mentre un ministro che ha più capelli che neuroni blatera che “non c’è stata trattativa tra stato e ultras”? Trattativa! La funzione dei capitifosi delle mitiche curve “bi” è stata sempre quella di trattare, oltre che di organizzare cori e striscioni. Certo che Carogna ha trattato col capitano; e certo bis che non parla il linguaggio dell’oratorio, sennò che carogna è? Il San Paolo chiuso cinque turni per una maglietta? Me ne faro’ fare una con su scritto: “Genny a carogna santo subito”. E non me la tolgo, giuro, nemmeno se mi chiama Francesco.
C’è una sola certezza e in regime di vacanza del ministro dell’interno m’incarico di formulare una breve informativa: “ai margini di un avvenimento sportivo c’è stata una sparatoria nella quale è stato ferito gravemente un ragazzo che andava ad assistere all’incontro di finale della coppa Italia. Poichè ormai la giustizia acchiappa farfalle e retorica, il colpevole del tentato omicidio è ignoto, così come ignote restano le cause. Un ringaziamento a Genny la Carogna che si è prodigato affinchè il grave incidente non scatenasse reazioni violente e conseguenze peggiori”.
Bel tempo, quello in cui ai Veronesi che inalberavano un cartello che recitava “Forza Vesuvio”; i Napoletani risposero simpaticamente con un altro striscione, laconico: “Giulietta è na zoccola”. Meglio non ricordare, alle volte potesse venir in mente a un togazzo di questi, di applicare la retroattività del reato e incriminare il Vesuvio, i Veronesi, i Napoletani, Giulietta e pure Romeo. Forza Napoli.
P.S: quanto poi al diritto di voto, al diritto di essere capo delle tifoserie o amminstratore di condominio o direttore della quadriglia, vorrei che lorsignori opinionisti e lorsignore toghe si pronunciassero sulla giurisprudenza: se la vostra repubblica giudiziaria ritiene che zii, nonne, nipoti, antenati, progenitura, consaguinei, etc. non abbiano alcun diritto, dedirittateli , così almeno darete meno pretesti ai sermoni di saviano.
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