Cauti ottimismi
Il discorso di Napolitano è stato di qualità stupefacentemente buona. Delle tre l’una: o egli ha avuto una lenta, tardiva ma sicura maturazione latente, o è stato folgorato sulla via di Damasco, o coloro che come me lo giudicavano molto male hanno sbagliato di grosso. Naturalmente propendo per la terza alternativa, anche perché voglio subito sgomberare il campo dai sospetti di una vanità personale che non ho. Ovvero: qui comincio dal peggio. E, come si deve se si ambisce con la dovuta modestia alla qualifica di gentiluomo, al Presidente chiedo formalmente e pubblicamente scusa.
Resta peró da comprendere che cosa sia avvenuto nell’animo di uno statista di prim’ordine che fino a ieri mattina ha fatto di tutto per nascondere le sue qualità. Egli ha certo avuto un passato assai combattuto e per la prima parte almeno torbido, fino agli anni ’50 inoltrati, epoca in cui probabilmente si accesero i primi salutari dubbi nel suo animo. Ma sarebbe fuori luogo parlarne. Meno dissonante è parlare del suo settennato presidenziale: durante il quale molte cose andarono troppo storte e delle quali una percentuale di colpa fu attribuita a lui anche da persone molto più avvertite di me: non faccio nomi perché le chiamate in correità sono odiose, anzi stupidamente inutili quando si voglia giustificare la propria opacità: che per definzione è, e non puó non essere, per così dire, una colpa priva di complici.
Lo sfascio del Partito Comunista, celebratosi con grande pompa nei giorni scorsi, è stato una festa solo per gli ingenui. Io personalmente appresi già nel primissimo dopoguerra, non avevo ancora vent’anni, la triste realtà del ferreo complesso di superiorità dei comunisti: quando si attribuirono con immediato riflesso di mendacia tutti i meriti, ed affibbiarono ad altri tutte le colpe. Ricordo, in ambiente liberale, lo sdegno ed anche l’ilarità suscitati dalle loro pretese di essere stati i veri vincitori del nazifascismo; e così via fino ad oggi. Sorge l’immediata domanda: non è che il comunismo risorgerà presto, alla maniera dell’Araba Fenice? Io penso di sí.
E poi, ecco pronto a prenderne il posto un altro ʺcomunismoʺ più a sinistra, e più plebeo. Se è vero che la società odierna presenta una sua novità sociologica che è la piccola borghesia, riedizione della plebe, e che il pensiero di sinistra s’è rivelato assai affine a questa ʺnuova classeʺ, ebbene il “Movimento 5 Stelleʺ è ricomparso proprio dove e quando doveva.
Il ʺ5 Stelleʺ è l’ultimo, impensato ma prevedibile prodotto di una storia lugubre, che possiamo far iniziare dal ben noto pactum sceleris del primo dopoguerra (ʺa noi democristiani il potere economico-amministrativo, a voi comunisti quello culturaleʺ). Questo patto dimostró fin da subito non solo la gramsciana furberia dei PC, ma anche il sostanziale ineffabile analfabetismo dei DC, che credettero, come ancora e sempre credono, che la ʺculturaʺ fosse robetta di contorno e di poco effetto pratico. Con ciò allestendo il modo di pensare utile proprio ai comunisti ed alla ʺnuova classeʺ qui sopra accennata.
Non bisogna però dimenticare l’altro fatto importante: il Comunismo è costruito sul niente. Quando Epifani, in TV, parla dei ʺvaloriʺ dei PC, non sa quel che si dice. Dietro il PD o PC che dir si voglia c’è un bello zero, esso è ʺprivo di tradizioniʺ. (Naturalmente, come ogni loico sa, dire ʺsenza tradizioniʺ significa dire: senza tradizioni buone. Di tradizioni cattive ce n’è dappertutto: ne sono piene tutte le sentine della vita, la politica, le fogne, etc.)
Ingredienti ʺnuoviʺ ce n’è. Ma da tempo s’è consolidato il pessimo ingrediente del plebeismo. Che può definirsi: fare cose sconce senza più il freno della pudicizia. La truffa ʺdelle tre carteʺ elevata a sistema politico: non appena il truffato protesta, la platea ride. Gli esperti lo chiamano nihilismo: non credere più ai valori, riderne come se fosse robaccia vecchia. Poche sere fa, s’è visto ciò che si sperava non vedere: Grillo se la rideva a crepapelle: ʺ…immaginate la Gabanelli alle prese con la Merkel…!ʺ Fetide risate e deliberata perdita di tempo, mentre la gente muore di fame e si suicida. I Francesi, gli Inglesi, i Congolesi e i Boscimani, per molto meno, avrebbero già messo mano alle armi (i semplici bastoni qui sarebbero stati sufficienti). Grillo, con sadismo plebeo (=impudico), ride persino di se stesso, strizza l’occhio ad una platea fatta di ingenui, ma anche, tragicamente, di persone che non ne possono più di ingiustizie e di fame. E, restando sempre nella prevista sindrome, fa largo uso della follía simulata: cambia opinione e sentimento ogni giorno, ostenta propositi di attuare golpe che poco dopo diventano ʺgolpettini furbiʺ, ridacchia, dà appuntamenti mancati etc.). Se continua cosí, magari prima o poi qualcuno si stufa e gli fa la pelle.
Intanto, per ora, nell’agone politico e ovunque altrove ci si comporta in un modo strano. Una disinvolta conventio ad excludendum, che subito è diventata ad tacendum o almeno ad minuendum, ha espulso tutta la destra e, per dir meglio, Berlusconi. Il fatto considerato importante, su cui tutti piagnucolano e s’impensieriscono, è il tonfo del PD. Paradossalmente, solo Travaglio, Vendola ed Emiliano hanno detto la verità: ʺBerlusconi ha vintoʺ. Ma non s’era detto che occorreva mitigare l’odio che ci sta avvelenando? Invece il furore vendicativo perdura. Penso che la faccenda ormai sia passata nel DNA (come si dice oggi con espressione perfida). Siamo quasi al fenomeno dei neonati che nascono vagendo: ʺabbasso Berlusconi!” E’ una emiplegia politica simile a quella che lamentava Raymond Aron nella Francia del dopoguerra. Noi non demonizziamo nessuno (anche Bersani, fosse stato quieto a fare il suo mestiere senza giochi ʺdelle tre carteʺ, ci sembrerebbe solo un brav’uomo incomodato da carenza di fosforo); ma neppure santifichiamo nessuno: Berlusconi è pieno, pienissimo di difetti; ma ha una virtù grande: prende a cuore l’oggetto delle sue cure. E per il resto, ʺnon si cura di lor, ma guarda e passaʺ. Ha una serietà di fondo che ne fa un gran signore nell’anima. Io un merito ce l’ho: siedo tra quelli che l’hanno capito subito, detto e ridetto: il miglior fico del bigoncio, dico il solo, era lui, e alla fine, proprio per questo, probabilmente avrebbe vinto.
E’ vero che s’è presentata al proscenio una generazione nuova munita di modi nuovi. ʺNuova, nuoviʺ: ma questi aggettivi non bastano affatto per giudicare della buona qualità di qualcosa. Sarebbe criterio troppo facile (ed è per questo che piace tanto ai plebei). Il Nuovo negativo esiste, c’è, se ne convincano gli illuministi della politica. Riaffiorano la retorica e le idee confuse di sempre, con le quali le sinistre hanno colmato con successo il loro ʺnullaʺ. Un altro stupido pregiudizio, oggi riaffiorante, è quel tipico prodotto di luoghi comuni di sinistra e perduranti mode ʺstrutturalisticheʺ, che ricorda ex contrario il famoso argomento del ʺnaso di Cleopatraʺ di Pascal. Secondo tale pregiudizio la psicologia dei singoli attori non inciderebbe affatto sull’andamento dei drammi della storia. Ciò non è vero: basta fare i nomi della Thatcher o di Stalin, di Camillo di Cavour o di Churchill, per constatare che molto spesso è vero il contrario. Insomma: dopo il discorso di Napolitano, che dovrebbe generare un salutare ritorno al una politica seria ed onorevole, ecco mostruosamente riapparire il solito disperante stupidario.
Ebbene: tutte le persone serie di tutte le fedi, debbono risolutamente far massa, unirsi in nome della civiltà e della indispensabile eleganza: si intenda, eleganza non di giacche e cravatte e tantomeno di ʺnascitaʺ ed altre consimili baggianate, e naturalmente anche lasciando perdere i criteri d’impresentabilità della incompetente Annunziata. Occorre quella signorilità che è presupposto inevitabile di ogni vera comprensione delle cose e di ogni pulizia di comportamento: riesaminare sempre al lume della ragione le proprie passioni, tenere al guinzaglio l’odio, avere invece in odio la pigrizia dei luoghi comuni, ricordarsi che senza coraggio non si capisce niente perché il coraggio è la benzina persino della logica, mantenere la fede data, promuovere il meglio per tutti, proibirsi di ridere delle sventure degli altri e, soprattutto, di approfittarne.
Vedremo ora a quale tipo di ʺnuovoʺ appartiene Enrico Letta. Se è un ʺsignoreʺ, come dicono, sarà animato anzitutto da sentimenti di gratitudine…; e se è anche intelligente, come anche dicono, metterà da parte le fanfaluche vuoi ʺpoliticheʺ, vuoi economiche etc. del dannoso nullismo delle sue origini.
E, a proposito di ʺgran signoriʺ, a quando questo generale risveglio di dignità, che ad esempio permetterà di ricordarci di Antonio Martino, e di pregarlo di rientrare nella nostra vita politica? E’ uomo di grande cultura, stimatissimo ovunque, dal carattere indomabile, che non la manda a dire. L’Italia ritornerebbe più agevolmente nel novero delle nazioni da prender sul serio, nel ruolo che Napolitano esige e che senz’altro le spetta.
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