
«È bene ricordare che l’intuizione intellettuale è una realtà certa e utile, che però apre la porta anche a una raddoppiata facilità di dire scempiaggini. Tale facilità, tuttavia, è sempre un sintomo a favore: quando ci si avvicina al margine di un’area d’ispezione, questa è la sola ubicazione utile per ispezionare, ma vi aumentano i rischi di cader giù.»
«Vivere significa trasgredire, e trasgredirsi.»
«In fondo, siamo tutti bambini; e poi i filosofi, come si sa, sono più bambini degli altri. E infine, non si immagina quanto lo siano i filosofi dilettanti come me.»
— L. Cammarano
Sulla frontiera, Leonardo Cammarano c’è sempre stato. La vita — l’ha scritto — dovrebbe essere «una costante ricerca della vita»; il concetto non è troppo intuitivo, per la maggior parte di noi che restiamo in panciolle a guardare inebetiti l’entropia che ci precipita lemme lemme verso l’abisso.
Stare sulla frontiera è essere dappertutto e da nessuna parte, per fottere il tempo con elegante fermezza, curiosità, ironia e meraviglia: in questo modo, il non-luogo muta costantemente e ogni attimo diventa un’avventura dello spirito.
Non sono forse la più adatta a ricordare, a tre anni dalla sua fuga “nell’altrove”, l’uomo che è stato il compagno, il maestro, l’amante, il nemico, il complice di un gran pezzo di tempo: perché si fa presto a dire di aver imparato la lezione; nel momento dell’esame, tremarella, angoscia, amnesie possono declassarti all’istante in una disorientata creatura che si scioglie in lacrime se solo ti inviano, per confortarti, una struggente canzone per vedove inconsolabili.
Questa stranezza che noi chiamiamo tempo mette le cose in fila, trasforma la nostra materia, c’impone la sua legge incomprensibile e poi, con sadismo sfacciato, taglia la cordicella e ci lascia con la scopa in mano, disorientati e soli, come quelle signorine non troppo avvenenti dei balli di un tempo. È un artificio, lo sappiamo bene, ma come sottrarci, quando lo sfrontato ladro di corpi ci sottrae la materia e ci separa dalle anime che amiamo?
L’impressione di avere avuto accanto un affascinante ospite venuto chissà da dove e misteriosamente scomparso è ben forte. Chi era, davvero?
Nel castello di Torella, che fu la nostra casa, tra scritti polverosi affastellati negli anfratti più improbabili, pitture che sbucano dal nulla, conferenze dimenticate nelle sue eleganti giacche tirolesi, non mancano gli indizi utili a ricostruire e conservare il suo pensiero: occupazione assai fuori moda, in un mondo che sembra aver codificato la smemoratezza come unica categoria della teoria e della prassi. Ma noi, che fummo “antichi”, ancora ci appassioniamo all’arte della fantasia come «memoria dilatata e composta», di vichiana memoria.
Di “case del pensiero” ne ebbe tante. Zona di Frontiera fu l’ultima, e fu molto amata.
Questa redazione avventurosa, nata da simpatie e affinità allacciate sull’antico Facebook, accolse con affetto ed entusiasmo le riflessioni mature del suo spirito di eterno bambino curioso.
Quando fu messo in cantiere questo “spazio virtuale” — proprio quattro amici al bar — Cammarano fu felice come uno scugnizzo al «Lido Mappatella»: lui che per anni aveva diretto la rivista Settanta, raccogliendo e pubblicando i grandi difformi della cultura occidentale, che sconquassava la Rai cercando di imporre — invano — una programmazione intelligente, che sfornava conferenze sulla conservazione delle bellezze italiane e gli davano del sovversivo, si era buttato con noi in questa avventura con l’entusiasmo di un pivellino. Compulsava libri, giornali, prendeva appunti, litigava con il computer e, quando finalmente il «pezzo» era sfornato, attendeva trepidante il giudizio del direttore. Tempi veramente felici e tanto più liberi: la scrivania seppellita di carte, l’immancabile bottiglia di whisky, la gatta che passeggiava sui tasti e i pasticci di cui solo lui era capace: «Angiolinooooo! Vieni! Mi si è cancellato tutto!» Il grazioso vezzeggiativo non inganni il lettore: era il suo perfido strumento di seduzione per farmi accorrere, qualunque cosa stessi facendo, al galoppo.
C’era una dimensione seria e giocosa insieme, in questa redazione virtuale, che era simile a quella della nostra vita: divertimento intelligente, un modo comune di sentire le cose, il calore delle amicizie autentiche e profonde. E un po’ di goliardia, giacché prendersi troppo sul serio è inelegante.
Zona di Frontiera fu per lui il luogo dell’ultima delle sue tante giovinezze.
E poi — come capitava un tempo ai legami per corrispondenza — ci incontrammo tutti dal vero e il sodalizio si cementò, tra bandiere e gagliardetti, trattorie, conversazioni interminabili, gusti condivisi.
Una volta fu a Venezia: comitato di redazione ristretto più Wanda, il cagnolino del direttore, che diede prove di grande amore e pazienza sopportando stoicamente la lunga giornata di questi umani un po’ invasati. Sole timido, bruma luccicante, ristorantino all’antica, lui cappottone e cappello, io semiassassinata dal cappuccino alla soda caustica, Paolo e Adriana: discussioni, progetti, risate, fotine ricordo. Anche in questo il tempo è canaglia: ci induce a sprecare tante cose importanti.
Ma lui queste cose le sapeva. «Per progredire, bisogna esagerare.» Cincischiando, niente progresso.
Cammarano era un pensatore passionale, nascosto in un elegante ed impassibile dualista del secolo scorso.
Anche la sua pittura era così: un’esplosione di sentimenti ordinati meticolosamente a tocchi minuscoli di colore da una sottilissima spatola. Era? Sbaglio. Devo dire è. È solo in un posto dove il cellulare non ha campo.
Ricordare vuol dire ritrovarlo tra noi, a dirci, con il suo sorriso umile, la pipa tra le labbra e la determinazione incrollabile, che la ricerca della conoscenza è il requisito necessario e sufficiente per sentirci uomini liberi, e non bisogna mai abbassare la guardia. Soprattutto adesso, che il libero pensiero non se la passa troppo bene.
«Leonà, quand’è che ti fai vecchio?», gli diceva Tommaso, il suo amico meccanico, tutte le volte che lo vedeva arrivare all’officina con improbabili similvetture smandrappate che maciullava con infantile disinvoltura. Lui non si è fatto vecchio, e se Tommaso vuole la risposta, e se la vogliamo anche noi, tocca rileggere i suoi libri bevendo un bicchiere alla sua salute.
Sono passati tre anni da quando Leonardo Cammarano ci ha lasciato. E da allora, queste pagine sono rimaste praticamente immote. Angela Piscitelli, compagna e complice di Leonardo, mi aveva mandato una pagina per ricordare — a sé stessa e al mondo — chi fosse “Leo”.
Non riuscii a pubblicarla. Non volevo pubblicarla. Non riuscivo a pubblicarla.
Leggere quelle righe, e pubblicarle, avrebbe significato confrontarmi con la mia stupidità, con la mia superficialità, con il mio continuo rimandare le cose al dopo.
Ma non sempre c’è un dopo. Il tempo scorre implacabile, anche per chi nasconde la testa nella sabbia. Anche per chi è sopraffatto dalle banali cose di ogni giorno, posticipando quelle veramente importanti a un ipotetico domani.
Sapevo già come sarebbe andata se fossi andato a trovare Leo e Angela, in Francia o a Torella del Sannio: la cena con le mitiche polpette di Angela, i discorsi fino a notte fonda vicino al camino, con stragi di bottiglie di Chablis. L’acutezza e la semplicità delle parole di Leo, uomo di cultura immensa ma capace di confrontarsi con tutti.
Sarebbe stato così, ne sono sicuro.
Mi chiamava “il direttore”, mentre cercavo di spiegargli che ero solo un idraulico, che attaccava quattro tubi in croce per portare l’acqua del pozzo ad un rubinetto.
Il pozzo era lui. il rubinetto era questa pagina web.
Quando sei adolescente, o molto giovane, è normale vedere in figure maschili più adulte dei “maestri”: fa parte del processo di crescita.
Trovare però un maestro vero in età adulta è molto raro.
Io lo avevo trovato. E l’ho perduto per sempre.
Grazie, Leonardo.
Grazie, Direttore, per le tue parole commoventi ed affettuose.
No, non abbiamo veramente perduto il maestro:il suo pensiero è qui, e nelle tante pagine che ha lasciato e che pan piano stiamo ordinando e pubblicando:un modo diverso di incrociare pensieri e farli crescere.Lui lo diceva sempre ,che i grandi maestri, prima di diventare grandi hanno lungamente intrattenuto conversazioni con “los defuntos”, per imparare.
Tu gli hai dato tanto: amicizia, entusiasmo,libertà di esprimersi e di dialogare.e hai dato tanto anche a me.
Roba tosta e duratura, questione di anime,non “bruscolini”per dirma come la signora Coriandoli.
Zona di Frontiera resta un luogo meravigiosamente vivo.E lui e qui.
Certo, le polpette, lo Chablis…Lo diceva Sugerio, il geniale ispiratore delle cattedrali gotiche:”per materialia ad astra”.Si ûo’ sempre fare:qui Leonardo c’è e anche io lo sto conoscendo ancora meglio.”materialiamo” insieme e vedremo qualche bella stella.Grazie ancora.