Et je m’en vais Au vent mauvais qui m’emporte deçà, delà pareil à la feuille morte.
Paul Verlaine
Novembre. I Francesi onorano i loro caduti sempre in modo affettuoso, ributando loro una tenerezza infinita. Lo fanno con naturalezza tutti insieme, senza che nessuno se lo dica, appuntamenti silenziosi che si fanno sempre più frequenti come quando, nelle famiglie, i vegliardi si spengono uno dietro l’altro.
Nel sangue a terra, sui trottoirs, appena più scuro del rosso delle foglie morte, è imprigionata l’anima di Parigi, giovane, festiva, brulicante, fervida ed alacre. Il terrorismo islamico è anzitutto vigliacco: chi ha dei sogni ed una Patria è sempre indifeso davanti ad un incomprensibile, scomposto nulla. Si definiscono martiri, sono soltanto idioti con un ego pieno di odio, esplosivo, bulloni. Non hanno compassione, non conoscono il dubbio e nemmeno il sorriso. Ostili alla vita, alla bellezza e all’amore. Il male in sè, senza alcuna giustificazione.
Chiunque s’industri a cercar le ragioni di tutto questo, addossando all’Occidente colpe che non ha, invocando una tolleranza che non può essere reciproca, inventandosi distinguo pretestuosi è un complice pericoloso, già infettato dal virus dell’entropia mortifera.
Hanno colpito la parte migliore dell’Europa, le facce pulite che di giorno lavorano e la sera popolano gioiose le terrazze dei caffé, lontani dalla politica e dalle macchinazioni dei burocrati e dei demagoghi; roba sana, tradizione, pensiero, carattere. I governicchi ora balbettano di guerra, dicono che chiudono le frontiere, poi pavidamente le aprono. C’è qualcuno che ancora dice, senza essere tacitato con un bel sinistro, che con la non-violenza si risolve il problema. Certo, «mettiamo dei fiori nei nostri cannoni» e andiamo a blaterar cazzate in tivi’; intanto quegli altri fanno a pezzi i nostri figli, riducono in poltiglia la nostra libertà di essere ciò che siamo, e il sangue sui «trottoirs», appena più scuro delle foglie morte…
L’Europa ha perso la sua ragione di essere, se lascia assassinare i suoi figli migliori senza batter ciglio. È come se si fosse combattuto il nazismo con la cerbottana e le palline di carta, chiedendo scusa.
Chiusi nelle loro costose campane di vetro i potenti pensano di essere invulnerabili. È solo questione di tempo, ma il potere può ingenerarare demenza e presunzione d’immortalità. Di quelli che andarono in guerra, che la subirono o che la combatterono sul fronte di ogni villaggio, in ogni cantina o cortile, non ce ne sono quasi più e i loro cimeli-medaglie, cartoline, uniformi insanguinate, diari non si trovano nemmeno nelle vetrine polverose dei rigattieri. Ci hanno abituati ad una reazione gentile, le veglie, le candele, i fiori. Le nostre bisnonne imbracciavano il fucile anche solo per difendere la mucca che dava il latte ai bambini, noi sappiamo piangere, ma non sappiamo più combattere.
L’autunno ramato e prezioso dei boulevards si ammanta di ombre cupe che nascondono nel cielo le stelle del Natale che verrà. Dovrebbe esserci un presepe ad ogni angolo di strada e invece c’è chi li vieta per ordinanza, in nome del rispetto di un prossimo che prossimo non è.
La tolleranza non è sottomissione, e non si può tollerare l’intolleranza. Erano i nostri figli colpevoli solo di amare la vita, di coltivare progetti, sogni, passioni. Se non sappiamo o non vogliamo difenderli, meritiamo di perderla, questa fottutissima guerra che non abbiamo voluto e che ci è stata dichiarata. Chi la nega è solo un ignobile disertore, un infame traditore. Sia chiaro.
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