Attualmente ci si preoccupa molto per le menomazioni della biodiversità. Ad ogni accenno di possibile scomparsa di qualche specie animale, ma anche vegetale, tutti prevedono gravi ripercussioni sull’equilibrio degli ecosistemi. Inesperto in materia, immagino che ci si preoccupi a ragione: tutte le classi, ordini, famiglie, generi, sottogeneri, specie, sottospecie e chi più ne ha più ne metta, anche i tipi classificatorî apparentemente più inutili, dovrebbero avere un buon motivo di esistere – sebbene, è vero, si hanno anche copiose prove dell’inutilità di molte popolazioni di viventi (esclusi… noi umani, ovviamente) che costituiscono uno dei misteri teoretici del nostro tempo. La vita è un mistero al quale la biodiversità aggiunge mistero.
Penso dunque che sí, la diversità sia preferibile alla monotonia delle specie e delle razze; e questo, lo penso anche degli usi e costumi, delle tradizioni, dei popoli e persino delle singole persone. É da sottolineare poi che anche le ragioni estetiche di tutto ciò sono evidenti e, almeno per una volta, non collidono con altre più utilitaristiche considerazioni.
Non so se questo sia un buon motivo per difendersi dall’accusa di razzismo; per me lo è, e molto. Anche se, debbo ammetterlo, certe popolazioni estremamente rimescolate, come quelle delle città più ʺmoderneʺ, non mi piacciono, e sempre per la solita ragione: sono anch’esse, per motivi precisamente opposti ai precedenti, causa d’una spiacevolissima perdita di carattere. Insomma: il troppo storpia come il troppo poco. La famigerata ʺpurezza della razzaʺ fa orrore, ma disgusta anche l’eccessivo rimescolamento. Trovare uno stesso ʺsaporeʺ d’insieme – il sapore stomachevole del multiculturalismo da multietnicità – tra due popolazioni che dovrebbero essere almeno un po’ diverse, come per dire quelle di Tipperary e di Napoli, dà i brividi -, anche se, purtroppo, pare sia questo il minestrone in cui tutti prima o poi cadremo.
L’esemplificazione culinaria è grossolana, ma eloquente. La cucina italiana, a giusto titolo considerata tra le migliori, lo è proprio perché è fortemente caratterizzata, nettamente diversificata da luogo a luogo. E comincia a farsi scadente quando diventa una sorta di mescola tra più tradizioni, presso i ristoranti turistici e nei fast food che propinano pastoni per globalisti. Per conto mio, quando torno in Italia, vado a rifugiarmi sempre sulla stessa seggiola della trattoria del mio paese, dove ʺsi tira a campareʺ, debbo dire, più che bene.
Esempi meno digestivi e più ʺnobiliʺ non mancano. Notate i modi di pensare, che si fanno di giorno in giorno più identici e conformi ovunque (ʺstare insiemeʺ; negare con sussiego la realtà delle razze; usare la religione come una sorta di depurativo o ricostituente; considerare l’arte un passatempo, la letteratura una informazione un po’ meno divertente dello sport, etc. etc.). Orride convinzioni, sempre più uniformi, distillate dai cervelli di arredatori e modiste.
Tutta la presente tiritera fa da proemio alla faccenda del sacerdote semivescovo che si è ʺcoraggiosamenteʺ dichiarato omosessuale. Correggo: coraggiosamente un corno, perché oggidì ci vuole coraggio, invece, per dichiararsi eterosessuale.
Dunque, diversità: erano belli i tempi in cui la vita era adornata da zii e zie, nonni e nonne, sartine attive a domicilio e preti vaganti alla porta di casa nei dintorni della Pasqua. Direte: tutte chiacchiere, erano i soliti porconi umani, in vario modo travestiti. Rispondo che certo: era proprio cosí, ma io qui sto facendo un discorso di estetica, non di parrocchia. La squallida malinconia dei soliti n.3 moventi – mangiare, bere, ʺamareʺ – era occultata, e addolcita, da usi e costumi, tradizioni e ricorrenze, speranze, bugie e verità le più disparate.
Ora non più, e questo, alla lunga, rompe le scatole. Immaginate il prete semivescovo di cui sopra. Tutto previsto, tutto prevedibile. In pubblico, toccatine golose al partner, condite di sorrisini vomitevoli ed allusivi ad un prossimo venturo frequente spupazzare. A domicilio, immagino un treppiede a toilette con sopra cipria e profumi, un necessaire con ciprie e colorini per correggere i pallori eccessivi, carta da lettere e buste con sopra motti tipo usque dum vivam…, nec tecum, nec site te, non satis nisi nimis, amami e desiderami, crepo dal desiderio di te, crepa dal desiderio di me, perbacco!, etc. Biancheria intima con ricami di vomitevole carineria, e merletti azzurri, pardon rosa, no, ri-pardon, dico rosa-azzurri, con opportuna disposizione a meridiani e paralleli, intelligenti pauca, etc.?…
Voi dite di no, nel tutto leggete soltanto un decente, serio, elegante volersi bene? Nient’affatto, perché se così fosse, la pubblicità molta ed il silenzio nessuno non sarebbero tanto vistosi. Tutto era ben preparato: i torchi già gemevano sulle pagine del libro saporitamente autoconfessante, le chiorme di giornalisti muniti di cinepresa o che cos’altro diavolo, già preavvertite. Qui gatta ci cova, è una mossa d’un vasto disegno di scombiccherature predisposte, di revisione rituale, cultuale, sessual-vaticanale, etc.
Altrimenti, si sarebbe fatto come s’è fatto sempre. Ho avuto l’onore (dico senza ironia) di avere tra i miei amici omosessuali molti, e di qualità intellettuale eccelsa, di cui non faccio i nomi proprio per non tradire l’eleganza del loro stile ed intelligente comportamento.
É persino bello avere dei segreti a cui si tiene quasi più della vita. E poi, la riservatezza e la signorilità sono ingredienti preziosi d’un esistenza sàpida. Spiattellare tutto? Ma no, per l’amor di Dio! E questa non era ipocrisia: perché tutti sapevano tutto (mica eravamo fessi), ma ognuno rispettava il silenzio degli altri. Era bello, il mondo, quando ancora non era tutto commercio! Ora nascondere non si potrebbe, perché bisogna vendere e vendersi, no? Ve lo immaginate un prosciutto di Langhirano che, per signorilità, tace i proprî meriti?
Altro che biodiversità! Gratta il vescovo, ci trovi sotto l’anima muliebre; niente di male, dico, ma un po’ di (bio)diversità, santo Iddio! Non letture di vite di santi, non esageriamo, né di imitazioni di Cristo…, macché Tommaso da Kempis e Baldassarre Gracián! Ma qui troveremmo, e troveremo, i consueti ʺsorrisi e canzoniʺ, i segreti di maquillage, modi per debellare la cellulite e ʺil prurito dell’intimoʺ… e ʺcome ti seduco il partnerʺ… Diversità, un corno. Stiamo per cadere ovunque e per sempre nel fritto e rifritto della civiltà dei supermercati. Te lo do’ io il vescovo!
Ed a Francesco, che cosa diremo? Non so, immagino: ʺOra…, pedala!”
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