La società europea, lungo il 1900 e poi fino ad oggi, è gravemente decaduta, ha perduto le sue esemplari qualità. Quel che un tempo fu buon gusto oggi è belluina oscenità, e ciò che fu intelligenza ormai latita, non si sa se per viltà, idiozia, o crassa ignoranza. Ed è facile,trattando temi del genere, subire l’ingiusta demagogica accusa di élitismo. Proprio cosí: il termine che indicava buona qualità oggi significa bieco egoismo.
Prima di dire la mia, premetto due righe autobiografiche. Non ho vanti di famiglia che non siano individuali, di singoli componenti. Un eccellente avvocato, un ottimo chirurgo, un giudice…all’antica, una pittrice di grande ingegno, un eroe di guerra, un plenipotenziario in Somalia ai tempi di Giolitti. Tutti di origine medioborghese, forse con ottocenteschi sentori piccoloborghesi.
Quando si parla di élites, io penso occorrerebbe tassativamente ricordarsi della semplice ma geniale distinzione di Vilfredo Pareto, distinzione che è un vero e proprio nostro vanto culturale trascurato, anzi peggio, ignorato. In ogni società, dice Pareto, esistono strutturalmente due élites; una élite di merito (per eccellenza di doti personali dei componenti) e una di fatto (aristocrazie, uomini di potere, miliardari, grandi amministratori, duchi baroni e conti, etc.) Questa seconda élite spesso ha valore molto scarso, se non addirittura negativo.
Ciò premesso la diagnosi sociologica diventa abbastanza facile. In Europa, e più da noi in Italia, s’è prodotta un’inibizione, spesso addirittura il tentativo di cancellazione, delle élites di merito. Le quali oggi, se e dove esistono e resistono, debbono quasi nascondersi per non essere perseguitate. La demagogia egalitaria non ammette meritocrazia. S’è prodotto viceversa il trionfo delle classi ignobili (gran parte delle élites di fatto, e naturalmente le moltitudini plebee). Per giunta, come avvertiva Gramsci, i molti indecisi, gli individui di valore incerto, tendono ad uniformasi ai dettami della élite trionfante, che naturalmente è la sola fonte d’ogni possibile preminenza e convenienza. Dunque, dilagare del plebeismo.
Una via di salvezza? Sí, c’è. Già Comte aveva individuato nel conformismo la ʺcollaʺ della società, ed un carattere saliente del conformismo è la facilissima contagiosità. Anche in positivo. Ci potrebbe essere insomma un brusco rivoltarsi della frittata, se ci fosse un gesto responsabile e forte di qualcuno che suscitasse la simpatia e la fiducia d’una parte consistente del corpo sociale. Ciò è accaduto, in bene e in male, molte volte. In effetti, una delle nostre odierne tragedie è la mancanza di uomini di coraggio, che sappiano urlare il classico ʺil re è nudo!” nel bel mezzo del gregge. Noi Italiani ce l’abbiamo quasi fatta per tre volte: con Craxi, con Cossiga, con Berlusconi. Potremmo, farcela ancora, ad esempio, ricorrendo ad una persona di valore e di polso qual è Antonio Martino. Ma sempre i nemici del liberalismo (ovvero della qualità dei fatti) hanno ʺremato controʺ, facendo buona guardia, sinistre in testa, per affossare il tutto. Anche, è noto, con una spietata propaganda avversa all’estero.
Si potrebbe dire a questo punto: ma bravo! Costui afferma che la società è decaduta adducendo a spiegazione e prova che la società è decaduta!
Ma questa accusa di tautologia è inconsistente: perché sono state le ideologie dei due ultimi secoli a permettere che l’opinione maggioritaria, che è sempre scadente, vincesse la partita. Cosicché il danno è stato provocato non anzitutto da singoli, ma strutturalmente dal primeggiare della classe qualitativamente inferiore, portatrice di interessi volgari e di egoismo, che ha scavalcato quella cui spetterebbe, non per censo o per tradizione, ma per qualità morale e per competenza, dunque per valore personale, la guida del nostro paese.
Oggi in proposito tutto quel che si fa e si dice è contrario alla riscossa strutturale qui sopra accennata, e dunque aggrava la generale rovina.
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