Lo spettacolo ci è piaciuto: soprattutto quello dei giornalisti, costretti a riempire due ore di vuoto con panzane e convenevoli. Il twit pure era d’effetto. Ma quando poi finalmente è uscito, dietro, invece della ruota della fortuna, sempre Cencelli c’era, sempre la tecnocrazia c’era, sempre il politicamente corretto c’era. Ma Noi Italiani abbiamo voglia di entusiasmarci, di sorridere, di essere stupiti e di stupire. Quindi per qualche giorno tutti a saltellare dietro il Pinocchietto: tenero, con i bimbi per mano, Giamburrasca nella Smart, spiccio nel dare il benservito a Letta, cinguettante a gogò. Piaceva anche a noi ed è piaciuto pure al Cav. (che però, in quanto a passioni, ha preso non pochi pali sulla zucca).
Uno così, capace di prendersi Firenze, il partito e pure la presidenza del Consiglio certamente avrebbe fatto ‘na bomba di governo, magari inesperto, ma creativo, variopinto e anticonformista. Otto uomini e otto donne (sette spose per sette fratelli), embè? Dove sta la novità? Nel numero pari? Novità sarebbe stata non conformarsi. Quarantaquattro gay in fila per sei col resto di uno ad esempio. Invece otto fa pure otto marzo, orrore. Vero è che le prescelte appaiono leggiadre ma cazzute, ma anche da loro ci aspettavamo i botti a colori e finora non sono arrivati. È calata invece un’armata brancaleone di sottosegretari – uno, per miracolo, si è dimesso oggi – che non promettono nulla di buono. Quando è apparso tivù il pacioso Cencelli – che nel nostro immaginario era un azzeccagarbugli trapassato da tempo – con un’apposita lavagna, il calore della speranza si è dileguato in un brivido alla schiena. È certo: Matteo si è subito ipercencellizzato.
La cencellizzazione è istantanea, basta sfiorare quella poltrona e si acchiappa. Non c’è cura, in una repubblica parlamentare (cencellare) come la nostra. È un problema di quantità, di qualità, mai. Esattamente come le quote rosa, che sono una cencellizzazione del sesso.
Conciossiacosache potremmo scommettere che l’Italicum è bello che morto, che la riduzione delle tasse mummificata in un armadio, la riforma dello stato immersa in formalina a futura memoria. È tutto surreale perché in fondo i ragazzini siamo noi: col naso in aria ad aspettare Robin Hood, la fata dai capelli turchini, Peter Pan che trasformino l’inferno della politica in una specie di mondo delle fiabe e ci ritroviamo un Alfano e altri alfani. Forse il folletto toscano è stato messo lì, ad arte, per distogliere la nostra attenzione dal “terribile quotidiano”, solo perché è solare, gira l’Italia a promettere scuole belle e discetta di tutto come se fosse al bar. Poi la supercazzola, la abbiamo amata tutti e ancora la amiamo, sì, proprio comesefosseantani.
Noi, “tra color che son sospesi” avremmo voglia di sperare, contro ogni ragionevole dubbio. Scorriamo la lista degli impoltronati e ci diciamo che il manico è tutto: invece non è vero. Ogni cosa è al suo posto. Il parlamento, invece di emendarsi continua a produrre emendamenti, l’Europa stringe i cordoni della borsa, i muri si sgretolano a Pompei e non ci sono giudici a Berlino. Una grande carnevalata virtuale? Forse è tutto ciò che ci resta, la nostra sovranità non c’è più: ai sudditi tocca applaudire, non altro. Il resto è mancia. Pollice verso troppo presto? Nemmeno per sogno. Pessimismo della ragione.
Si diceva ai miei tempi che “la bellezza dell’asino è la gioventù”. Speriamo che non sia vero.
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