La storia del Berlusconismo è la descrizione degli ultimi vent’anni di politica italiana. Ed anche la cronistoria dei sentimenti di molte persone per bene.
Il quadro d’insieme potrebbe essere il seguente, in 4 periodi.
Primo periodo ʺda impellenza politicaʺ – Comincia nel ’94: indispensabile ʺboccata d’ariaʺ e aiuto concreto in un clima che andava facendosi sempre più fetido. I politicanti comunisti, non paghi della loro tradizione (circa un secolo di panzane, crimini, menzogne, sconfitte, e finale fallimento in tutta Europa), e benché costellati ormai di vistosi bernoccoli e livide ʺmelanzaneʺ, tentano ancora una ʺgioiosaʺ, tutta italiana (!), scalata al potere. È Berlusconi colui che, riprendendo l’opera di disinfestazione di Craxi, li spedice definitivamente fuori dalla zona centrale del potere. (Ma purtroppo non dall’area, vasta, della mentalità collettiva, allucinata dalle litanie imposte giornalmente dal Partito. Presso gli ottusi, com’è noto, la coazione a ripetere è immancabile; ma qui è ribadita da un elegante sentimento, oggi diffusissimo, di rancore e brama di vendetta).
Secondo periodo, da ʺcodice penaleʺ: recede il comunismo ʺgioiosoʺ di chi ancora credeva al ʺprogrammaʺ; ma le legioni di politicanti rossi ʺpuri e duriʺ vengono lentamente sostituite, o nuovamente arricchite, con quelle dei ʺgioiosiʺ malfattori che ritengono la politica una insostituibile copertura dei propri buoni affari. Si forma una popolazione di personaggi mirabilmente… disinteressati, di cui piacerebbe non fare i nomi per non sentire ancora una volta il ripugnante puzzo. Alle persone serie, invece, Berlusconi comincia a piacere anche come nemico del malaffare. Malaffare ovunque e sempre riemergente, certo, ma qui sostenuto dall’apparato del partito in dissoluzione. I cadaveri, lo si sa, sono il pabulum ideale per i vermi d’ogni specie.
Terzo periodo, o ʺperiodo sfrenatamente giudiziarioʺ. Le ʺtogheʺ, che già dal ’94 s’erano date prontamente da fare per disarcionare Berlusconi col metodo tipicamente ʺstalinianoʺ della falsa accusa, centuplicano i loro sforzi. Ed ora si è, o si diventa, Berlusconiani per amore della giustizia negata dai tribunali e per odio di quel puzzolente ircocervo ormai noto come ʺgiustizia italianaʺ. Berlusconi è nei fatti il solo che abbia la forza morale necessaria per denunciare questo ʺservizioʺ organizzato per interessi di potere -, potere di parte, di casta, o addirittura personale. La lotta politica si fa sfacciatamente gaglioffa: si decuplicano processi, accuse, tentativi di condanna, in ogni direzione e con i motivi più surreali. La garanzia dell’impunità per tanta prostituzione giudiziaria è data dall’opinione pubblica prevalente, che i media, le università, le editrici provvedono ad anestetizzare senza tregua. Ora si è Berlusconiani per pura e semplice decenza: per amore di quella giustizia negata dai tribunali con metodi che un giorno saranno noti col tragicomico titolo ʺmetodi Di Pietro-Esposito”. L’Italia ha ospitato tale e tanta merde! – si esclamerà increduli.
Quarto periodo, di ʺriscossa eticaʺ. Alla fine, il nostro Berlusconi è amato non solo per ragioni di lotta politica, di lotta contro le truffe dei policanti, di lotta contro la magistratura mascalzona, ma in sé e per sé, per amor di giustizia. Le donne del PdL, più sensibili di noi uomini, già ne danno quotidianamente splendide prove. (Non ridete: del positivo è facile ridere: ma è disonorante). Il berlusconismo insomma è diventato, lungo i tre suesposti scalini, il paradigma della lotta delle persone per bene. Sorreggono questo nuovo modo motivi di solidarietà, di interesse comune per una linearità disinteressata, anche se venata di ingenuità molte, e infine last not least di gratitudine e di ammirazione per un uomo che, lottando per un’idea di non truffaldina convivenza, di giustizia finalmente giusta e di vera democrazia liberale, è stato ripagato con ogni sorta di mascalzonaggini.
Al di là di ogni accusa, forse anche giustificata (gusti da avanspettacolo, ʺapicellismoʺ, cenette con ragazze – maggiorenni, neh!) etc. c’è da dire che esiste buon gusto e buon gusto: e che quello ʺeticoʺ deve avere la prevalenza. Vorreste voi esser governati da astinenti anacoreti e scicchissimi elegantoni che, benché ormai impossibilitati a spedirci a calci nel sedere in dormitori tipo ʺuna stufa rotta ogni venti animeʺ, ci spennerebbero ancora e sempre come polli facendoci peró leggere per tutta consolazione le Pravda (o l’Unità, o meglio Repubblica)?
E poi, dov’è il buon gusto dei non-berlusconiani? Sul ceffo di Esposito? Oggi puó dirsi, senza tema di esser giudicati affetti da esagerato… misticismo, che spesso chi non è berlusconiano mostra di essere tra coloro che sono sprovvisti di quell’organo morale del quale Hemsterhuis (il filosofo che evidentemente non aveva notizia né dei Tonino e Nunziatina nazionali, né della nota ʺcapanna dello zio Eugenioʺ né del non annusabile Travaglio) riteneva fossero dotati tutti gli esseri umani. Magari! La gratitudine, che di quell’ipotetico organo dovrebbe essere l’asse portante, non è di questo mondo. Appartiene ad un mondo diverso, che forse c’è e forse non c’è; mondo che peró si deve credere ci sia (san Paolo: – il positivo si ciba e deve cibarsi di speranza), e che piacerebbe a Gerald Manley Hopkins, il poeta che vuole andarsene ʺdove la primavera non finisce maiʺ. Dove (tanto per dirne alcune) gli innocenti non vengono tormentati senza posa; dove tipi alla Di Pietro non diventano miliardari vendendo calunnie e lazzi da baraccone; dove gli Scalfari se ne stanno zitti, in ossequio al proprio vuoto mentale, e i ʺpresentabiliʺ sono mandati senza indugio a Patrasso.
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