Esiste una teoria molto esplicativa, ma a prima vista non verisimile: i nostri mali provengono tutti, o quasi, dalla mancanza di fierezza nazionale. Poi, ripensandoci, la teoria risulta convincente. Il sentimento nazionale italiano è stato per secoli un fatto precipuamente culturale. Petrarca: ʺItalia mia, benché il parlar sia indarno…” Col Risorgimento inizia ad espandersi; subisce un’enfatizzazione e dannosa ipertrofia col Fascismo; sùbito nel dopoguerra viene ad arte (forse con la miope benedizione USA) trasformato in senso di colpa dalla DC e dal PCI, per perfezionare la sudditanza atlantica e per i contrapposti interessi del cattolici e dell’internazionalismo sovietico. Oggi è sentito come una romanticheria fuori luogo, o magari ʺoppioʺ per ingannare gli sprovveduti.
Si è generata una velenosa sindrome, apportatrice di danni gravi. Il più grave è la perdita del senso dell’onore nazionale; E poi, paradossalmente primeggia (cosa evidentissima a chi, come me, vive all’estero) la perdita del senso delle proporzioni. L’amore di Patria funziona come quei piombini che mantengono sempre ritte le bamboline di celluloide: aiuta a valutare le cose anche quando non è direttamente in causa. Prendiamo i problemi di Berlusconi. Massimo Cacciari reitera i suoi argumenta ad pudorem, incapace di notare che l’uomo che ha salvato l’Italia dal comunismo statuale non puó essere valutato dal fatto che lo si accusi a vavera di commercio con minorenni. Non avverte la sproporzione? Un intellettuale rinacciato alla meglio, Scalfari, non si rende conto che la cricca Debendetti rema contro l’Italia? Come potrebbe il 50% circa di una nazione che avesse, come ad es. la Francia, il senso della utilità, oltre che della bellezza e decenza, dell’Amor Patrio, condividere il disfattismo di sinistra, che si preoccupa solo degli stipendi degli impiegati ed assistiti di Stato, lasciando andare alla deriva i veri poveri? Nessuno rileva che questioni di pura cervelloticità settaria, come il no all’energia nucleare, il no alla Tav, il no a tutto ció che sarebbe di vitale utilità per l’Italia, contribuiscono alla comune rovina? E, anzitutto, nessuno ʺsenteʺ che il deturpamento dell’ambiente più bello del mondo, architetture insigni, intere collezioni di opere d’arte, cancella persino il ricordo di quell’Italia che Francis de Croisset definiva ʺla scultura di Dioʺ?Che ne è della Roma e della Napoli di Goethe, oggi in via di trasformazione in cumuli di immondizie e macerie solcate da eserciti di puzzolenti automobili?
La mancanza di ʺsenso della nazioneʺ emerge in ogni particolare della vita collettiva. Come puó la Nunziatina nazionale non comprendere che ribellarsi con veemenza contro le ormai usuali truffe politico-giudiziarie non è cosa ʺimpresentabileʺ, ma invece di vitale importanza? Qui da noi ʺsi discuteʺ quando invece si dovrebbe spedire Esposito in galera o al manicomio, e intanto provvedere una maledetta buona volta a scindere le ʺdueʺ magistrature ed a istituire (in ottemperanza ad un referendum vergognosamente tradito) la responsabilità personale del magistrato. Perché Travaglio, Di Pietro, Grillo, etc., non se la prendono mai con i nostri veri nemici, che tutti conosciamo ma dei quali nessuno parla? A Scalfari sembra elegante emettere ebdomadari sproloqui che sono non altro che benzina per alimentare gli odî di parte; né alla De Gregorio che la bile ancillare non è giustificazione sufficiente del disfattismo…?
Queste gravi menomazioni hanno portato a mutare in accanito partitismo il campanilismo d’una volta, ed a declassare il sentimento della nazione a futile chiacchiera. La nuova malattia mondiale – la plebeizzazione – da noi ha aggiunto danno a danno, offrendo alla plebe come pastone sostitutivo le pacchianerie localistiche, il dialettalismo come cultura ʺvendicativaʺ. Sapore ignobilmente ʺprovocatorioʺ, perenne ʺsinistrismoʺ delle classi infime, simpatia per tutto ció che sia non tradizione di cultura o d’arte, ma ʺcolore localeʺ da quattro soldi.
In dialetto napoletano cafone incurabile si dice ʺzàmperoʺ. E’ venuto il momento di parlare di un vero e proprio ʺinzamperimentoʺ nazionale. Questa zamperite è forse inscindibile dalla storia stessa dell’ethnos? Ma l’infezione è esplosa, per legge sociologica, col montare delle ʺnuoveʺ classi. Fu malattia fascista; oggi è morbo di sinistra. Di Pietro, trangugiatore di congiuntivi; Bassolino, l’uomo che rivomita le vocali; Grillo, l’assordante starnazzatore che usa il pornolinguaggio come arma di guerra… Ed ecco il trionfo finale, il zàmpero giudice Esposito. La Nunziatina e la De Gregorio, cosí sensibili solo alla cafonaggine del PdL, hanno finalmente trovato in lui qualcuno di indiscutibilmente ʺimpresentabileʺ da assaporare? Macché, magari diventerà il vero lecca-lecca della nuova Italia. Il nemico è, sarà, solo e sempre Berlusconi.
Tutto questo è ormai talmente ʺnormalizzatoʺ, che ricorda una circostanza nota: quando la realtà s’impidocchia oltre certo segno, il linguaggio ribalta. Accadde, mutatis mutandis, con la trasformazione semantica cristiani→cretini. Nel nuovo Zingarelli, probabilmente ʺpresentabilitàʺ varrà: zoticheria estrema,
Oggi come oggi, perché mai la De Gregorio e Nunziatina sono presentabili, e Giampaolo Pansa non lo è? Perché Ferrara no, e Galimberti sí? A Torella, mio elegante paese d’origine, queste dissonanze vengono spiegate come segue: ʺJè la tigna de li quatriniʺ. Spiace che il Cav. sia ricco? Allora è tutta rogna?
Io spero che le ultime esternazioni di Napolitano sul caso Berlusconi siano timide solo perché abilmente (?) dosate. Se dentro c’è amor di patria, è saggio prender tempo per evitare all’Italia lo scorno massimo: la legittimazione urbi et orbi della’ingiustizia giudiziaria. La patria sarà salva. In altro caso, questa volta andrà tutto a rotoli, Napolitano compreso. L’Italia sarà, con vergognosa conferma, la patria della truffa statale.
La condanna definitiva di Berlusconi cancellerà l’onore del nostro Paese.
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