L’ALTRA STORIA

Quell’enorme mucchio di polvere chiamato storia.
(Augustine Birrell)

Correva il secolo ventesimo e Benito Mussolini perse la guerra. Dei vinti si dice tutto il male possibile, ma se la sconfitta riguarda alcuni milioni di terzi, le conseguenze sono gravi e persistenti nel tempo. Fu l’unico, dopo qualche imperatore romano – ma era un’altra storia – a costruire una certa unità d’Italia, pittoresca, certo, un po’ ridicola a posteriori – perchè gli stili dell’Istituto Luce sono fuori moda – ma autentica. L’America ci tirò fuori dagli impacci e poi presentò il conto: stiamo ancora pagando. Il metodo da noi, quando fà comodo, si chiama “mafioso”: uno ti fa un favore e poi ti tiene in pugno tutta la vita.

Cominciò la guerra civile, che non è mai finita. Scomparsi i liberi pensatori – che sono da schiacciare sempre: guai a lasciarne uno in circolazione! – i democristiani ed i comunisti si diedero da fare per governare il protettorato senza fastidi e senza rivali. La prima cosa da fare – e fu fatta – era di demolire il senso della Nazione. Così si distrusse la scuola, la cultura e la memoria. Volete un esempio? Il sito di Liternum, esilio aprico di Scipione l’Africano che il grande Maiuri aveva investigato con passione, fu gettato al dimenticatoio e Maiuri stesso, nell’ultima parte della sua vita, fu oggetto come tutti gli uomini di valore, di maldicenza, ritorsioni e punizioni. La speculazione edilizia e le camorre servono anche a questo: meglio villette abusive che patriottismo scolpito nelle antiche architetture.

Tutto filò per un po’ di tempo, abbastanza da provocare danni ingenti e seminare ignoranza e zizzania. Poi arrivò un tale – si chiamava Bettino Craxi – alto, determinato e con un caratteraccio: un Patriota. Panico tra democristiani e comunisti. L’outsider parlava un linguaggio sovversivo, discettava di riforme, metteva lo straniero al posto suo, quando occorreva: “qui comandiamo noi: arrivederci e grazie”.

“Questo qui bisogna ammazzarlo”. Ci misero un po’ di tempo: il gigante si divincolava, ma alla fine le 44 pugnalate arrivarono pure per lui. Oltreoceano avevano addestrato un gaglioffo zotico che sarebbe servito da cavallo di Troia per rimettere in sella i cattocomunisti. E così fu. Quel germoglio di nazione che stava rinascendo dopo tanto diserbante fu reciso di netto. Rossi e bianchi brindavano: “stavolta non ci frega più nessuno”. In più si erano organizzati l’esercito, l’armata delle toghe rosse, che da allora restò a presidiare gli occupati in servizio permanente effettivo. Tutti i posti chiave – alti funzionari, istruzione, cultura, carta stampata, televisione furono spartiti con cura. La consegna era: “diamo al popolo bue un pretesto qualunque perchè non cessino di scannarsi mai: nord, sud, destra, sinistra, Bobby Solo, Patty Pravo: qualunque cosa purchè non si ricordino mai che sono tutti Italiani ed hanno molti interessi in comune”. Infatti, ci avete fatto caso? Non risulta che sotto il fascismo ci fossero leghisti o borbonici, tanto per fare un esempio.

Manco avevano finito di tracannare il calice di spumante fornito dalle coop rosse, che spuntò nel prato malconcio della politica tal Silvio Berlusconi. Bassino – ma la statura non è tutto – però pure lui con una volontà d’acciaio ed una fantasia preoccupante. “Forza, Italia!” Cantò lo sciagurato. E l’Italia rispose. Nulla è più rivoluzionario dell’allegria che irrompe in un mondo grigio, scontato, depressoide. Venne, vide e vinse creando accozzaglie improbabili, pasticciando, rimescolando le carte, ma vinse. Da Aosta a Canicattì lo sconquasso fu grave. Stai a vedere che stavolta si fa l’Italia? Quello lì riusciva a portare in piazza le vecchiette, le mamme con carrozzini e biberons, le monachine, i venditori di palloncini, spillette, magliette, cappellini e il tricolore sventolante su tutto: Italia!

ArciItalianissimissimo, risvegliava in troppi il sonnacchioso Italiano dimenticato. Difetti a bizzeffe: ottimista (Cavaliere: e il pessimismo della ragione se lo era scordato?), naif (l’amore vince sempre sull’odio? Ma quando mai!) e non proprio di buon gusto (trapianto dei capelli: un po’ puak, e il ritratto di famiglia ad Arcore e una c…a pazzesca) e poi pronto a fidarsi di tutti, perfino di Frattini e di tanti altri col cognome diminutivo. E fu per questa ragione che nei posti chiave del movimento si infiltrarono le quinte colonne pronte a sferrare l’attacco. Vent’anni di guerra fredda, anzi gelida. Cattorossi scatenati, toghe in assetto bellico con migliaia di testimoni comprati, finti pentiti, prefetti, puttanelle in cerca d’autore, trombati storici, pennaioli d’accatto, utili analfabeti e chi più ne ha più ne metta: tutta gente che in un paese civile starebbe tranquillamente nelle Patrie galere (ma le nostre galere non sono Patrie). Poi come al solito, la zampa straniera: lo chiamarono spread, arma di distruzione di massa. E il Cavaliere, che non è Craxi, disse ancora una volta “obbedisco”. Le più grosse smarronnate le fece pensando di obbedire alla Patria (Gheddafi tra tutte) ed invece obbediva ai suoi nemici. Biancaneve sarebbe stata più attenta: lui di mele avvelenate ne ha mangiate un quintale.

L’ultima speranza d’Italia s’infranse su un Esposito qualunque, illetterato furbastro di un ente inutile chiamato Cassazione. Gli Indigeni – che non possiamo più chiamare Italiani – continuarono a scannarsi tra di loro, odiandosi sui social network, che le botte fanno male. Non si sa bene se si estinsero per invasione, carestia, boldrinismo acuto o per noia. Correva l’anno 2013.


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