A Porta a Porta ieri sera, presenti Matteo Renzi e Angelino Alfano, dopo una serie di chiacchiere piuttosto soporifere e scontate, Bruno Vespa, in zona Cesarini, si è degnato di porre ai candidati una serie di domande giunte direttamente dal pubblico, via Web. Indubbiamente le più dirette.
Una di queste, rivolta ad Alfano, chiedeva se sarebbe stata sua intenzione tentare di recuperare le alleanze con Gianfranco Micciché e con Pier Ferdinando Casini. La risposta è stata lapidaria quanto evasiva: “Vedremo”, ha risposto il più probabile candidato premier del Pdl.
Non funziona così, on. Alfano. Le alleanze, anche solo a livello di desiderata, si devono dichiarare prima, senza nascondersi dietro omissivi tatticismi. Gli elettori, già alle primarie dovrebbero sapere quale direzione intende imprimere al partito, e il nodo delle alleanze è dirimente per comprendere se il nuovo Pdl diventerà finalmente un movimento politico indisponibile a prostituire il suo stesso credo o se sarà nuovamente una ammucchiata contraddittoria ed indistinta.
Inseguire Casini significa rinunciare al bipolarismo, l’unica novità politica degna di rilievo di questi ultimi vent’anni, l’unica innovazione che ci ha permesso di non cambiare governi come si cambiano i calzini. Non solo, ma Casini rappresenta l’inciucio al quadrato, la rincorsa al potere per il potere. A dimostrazione di ciò vi sono le alleanze a livello locale e regionale, sempre e solo con il vincitore, sia esso Pd, Pdl o chicchessia. Non è un caso l’Udc sia il primo e più fedele sostenitore acritico del governo Monti, almeno fino a quando sarà in sella.
È un antico errore pensare che l’ago della bilancia determini il movimento dei piatti, è vero il contrario: è il peso di questi che muove l’indicatore. Già Berlusconi, quando perse per la seconda volta le elezioni con Romano Prodi, dichiarò che se non avessero trascurato l’allora Partito dei Pensionati probabilmente avrebbero vinto. E poi? Vincere non basta, bisogna poter decidere, senza impaludarsi nella mota di veti incrociati nati da forze che esprimono posizioni inconciliabili.
Per governare ci vogliono sì i numeri, ma è necessario che questi siano omogenei, altrimenti non funziona. E governare – soprattutto in questa fase – significa contrattare con le opposizioni le riforme da fare, senza calcoli propagandistici e soprattutto senza prima venir già sfiancati da impossibili negoziati tra le proprie fila.
Si chiama linea politica. Quella che manca. Le primarie dovrebbero servire a questo, ad illustrare quale linea politica si vuole per il proprio partito. Nel Pd, poco o tanto, su questo verte il dibattito, nel Pdl no. Per questo i democratici crescono, mentre il partito dall’addirittura incerto nome è crollato.
In fondo anche la sua, on. Alfano, è una lina politica. La conosciamo bene: è quella che per tanti anni ci ha propinato la Dc. Per questo Grillo sta facendo di voi un sol boccone.
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