Noi lo abbiamo compreso subito di che pasta era fatto quello lì, quello che scroccò a Gorrini, allora presidente della Maa Assicurazioni, 100 milioni di lire e una Mercedes 300 classe C (automobile del valore di oltre 60 milioni di lire, girata a soli 20 milioni). Denari restituiti incartati in fogli di giornale.
Quello che Di Pietro non ha potuto restituire a Gorrini sono state le pratiche legali che la Maa assegnò alla moglie, viaggi in jet privato e un impiego per il figlio Cristiano. Sempre nello stesso periodo, a cavallo di mani pulite, si registrano i rapporti con l’inquisito D’Adamo, un altro prestito per 100 milioni (questa volta restituiti in una scatola di scarpe), l’uso a titolo gratuito di garçonnière, suite e appartamenti. Non male come maneggi, per un piemme – non un cazzaro qualsiasi – che passava per il moralizzatore d’Italia.
Con sgomento guardavamo le vicende del periodo seguente, quando Di Pietro divenne Ministro delle infrastrutture all’epoca del primo Governo Prodi. In particolare al riguardo della gestione degli appalti della Brescia-Bergamo-Milano, affidati alla società concessionaria BreBeMi SpA (per la quale si spese pure Penati), dove si registrava la presenza nel consiglio di amministrazione di Tristano Testa. Lo stesso Testa che risultava amministratore e socio al 50% con Di Pietro della Suko Sri, con sede a Varna, in Bulgaria. A tal riguardo biogna riportare che l’allora presidente della provincia Filippo Penati ha prontamente smentito detta notizia, attribuendo la nomina del Testa alla società Milano Serravalle SpA, che alla luce dei recenti accadimenti pare anche peggio. Ma le strade che portano in Bulgaria non si fermano qui. Un’inchiesta per un’evasione fiscale colossale, pari a 208 milioni di euro, conduce anch’essa sulle rive del Mar Nero, zona turistica che Tonino consosce bene, dove incontrava Ilia Pavlov, mafioso poi assassinato da un cecchino. Tra gli inquisiti per la maxi evasione risulta pure l’avvocato Idv Sergio Scicchitano, legale dell’Italia dei Valori, consigliere giuridico dell’ex magistrato di Mani Pulite e suo difensore di fiducia. È Scicchitano che ha imposto a capogruppo dell’Italia dei Valori nel Lazio, Vincenzo Maruccio, altrimenti noto come il Batman dell’Idv.
A noi si rizzavano i capelli in testa ad ogni referendum che Di Pietro promuoveva, ben sapendo che erano solo dei pretesti per incamerare denari che sarebbero finiti in una gestione opaca, associazioni omonime dello stesso partito, amministrazioni blindate controllate dal triumvirato composto da Tonino, Susanna Mazzoleni e la fedelissima Silvana Mura. I rimborsi elettorali sono sempre stati una vera manna per l’ex piemme che, per loro stessa natura, richiedono vincoli di rendiconto praticamente nulli. Lo sa bene Giulietto Chiesa, eletto all’Europarlamento nel 2004 con una lista che lo vide brevemente alleato all’ex Pm. Ne scaturì una lite per i riborsi elettorali che lasciò Giulietto Chiesa all’asciutto.
Non ci stupì affatto l’iscrizione nel registro degli indagati di Cristiano Di Pietro, allora consigliere provinciale a Campobasso, finito nell’inchiesta sull’appaltopoli partenopea per delle telefonate in cui chiedeva informazioni su lavori e forniture per caserme molisane e incarichi per professionisti amici. Atto dovuto, dissero i magistrati, e Cristiano nemmeno venne rinviato a giudizio, ma le intercettazioni delle telefonate con l’ex provveditore alle opere pubbliche della Campania e del Molise, Mario Mautone, c’erano.
A fronte di tutto ciò, registrammo quasi con tenerezza la vicenda di Anna Di Pietro, figlia di Tonino, assunta dalla Editrice Mediterranea – società che pubblicava il giornale dell’Idv – dalla quale Antonio pretendeva l’atto del praticantato, anche se in redazione non l’aveva mai vista nessuno. Saltando molti altri episodi, causa sfinimento, nessuna sorpresa ci hanno destato i recenti accadimenti di Palazzago, dai quali risulta indagato per concorso in abuso d’ufficio anche il parlamentare Idv Gabriele Cimadoro, nonché cognato di Di Pietro.
Nonostante questo curriculum, l’ex piemme da una parte comperava su quotidiani stranieri intere pagine per denunciare la scomparsa, ad opera di Silvio Berlusconi, della libertà di stampa italiana, mentre dall’altra era proprio il primo a zittirla e intimidirla con raffiche di querele, ben sapendo di avere al suo fianco tutta la magistratura, rispondendo alle accuse dal suo blog con toni tanto indignati quanto lacunosi e omissivi.
Oggi Di Pietro chiede pietà, piagnucola perché Crozza lo prende in giro, chiama in aiuto la sorella Concetta e si commuove per Grillo che lo vorrebbe al Quirinale. Che pietà si può concedere ad uno che si è già preso tutto quello che poteva arraffare? E adesso ditemi, erano necessarie due benevoli cazzatelle, rispetto a tutto il resto, dette dalla Gabanelli per scandalizzare un mononeuronale Donadi (dov’era fino a ieri?) e i sostenitori di Tonino? Nessuno di questi ha mai saputo usare Internet e semplicemente leggere? Solo da qualche anno è iniziata la transumanza verso Grillo, silenziosa, con le gote arrossate dalla vergogna, lenta e inesorabile.
Oggi la transumanza si è trasformata in un vero fuggi fuggi generale, ma Grillo, assieme a Travaglio e quindi a “Il Fatto Quotidiano”, continuano a formare un blocco unico con Di Pietro. Un’area che macina soldi alle spalle di molti creduloni, saltimbancando tra un cadoinpiedi e un voglioscendere, senza proporre nulla e che – Di Pietro più, Di Pietro meno – continuerà a fare la sua politica: quella di andare a caccia di allocchi per riempirsi le tasche. Evidentemente ai molti sostenitori una tranvata sui denti non è bastata: ne prenderanno un’altra. Speriamo solo non debbano passare altri quindici anni prima che se ne accorgano.
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