Il dissesto della coscienza pubblica d’una nazione si nota un po’ ovunque. Quando uno studioso serio come Giorello, dico serio come lui stesso, si mette a lodare (ʺCorseraʺ, venerdi’ 5/X) le mezze pensosità di Scalfari (meglio noto, spero, come ‘Onn’Eugenio ‘a Macchietta), ciò è brutto segno, e può significare molte cose:
– che Giorello ormai considera la platea culturale italiana talmente scaduta, da consentire che si possa fare un complimento culturale a donn’Eugenio fregandosene della annessa, inevitabile brutta figura.
– che Giorello sente l’amicizia al punto da…; ma questo è masochismo di tale eroica qualità e cilindrata, che dovremmo tornare all’antica Roma per trovarne di consimili.
– che forse Giorello è in declino, ma questo proprio non credo né spero. Etc.etc.
Che dice Giorello delle letterarie, culturali e scientifiche crisi d’impotenza di donn’Eugenio? Dice che il Macchietta fu colpito dalla figura del viennese Pauli, Nobel 1945, perché quest’ultimo sembrava voler scandagliare, lui grande fisico, ʺgli abissi che sottendono la nostra consapevolezzaʺ. Ovvero: perché fece come molti uomini di scienza, da Schrödinger ad Einstein e giù giù citando, che talora amarono dare di tanto in tanto nell’impreciso, provandosi a fare i filosofi. Ma qui si nasconde la convinzione plebea, nonché scalfariana, secondo la quale la scienza sarebbe tosta, mentre la filosofia sarebbe invece libera di pensarle tutte (in tale ideario da Bambinopoli per cervelli in degenerazione caseosa, ʺliberoʺ significherebbe: libertà di dire con ciglio umido di ʺsentimentoʺ assurdità e imprecisioni, il che è il contrario della libertà stessa, perché è sintomo di mente asservita al conformismo. Si consultino Hegel, Bachelard etc., magari anche Raffaello Franchini, ottimo filosofo che però, essendo anticomunista, non era filosofo e quindi etc.). Ma lo sa Scalfari che i dissidî filosofia-scienza empirica sono ormai roba out?
Il Macchietta deve aver orecchiato la faccenda ʺres cogitans/extensaʺ; ed enuncia che la nostra mente, entità ʺimpalpabileʺ, è ʺil prodotto immateriale d’uno strumento materialeʺ. Bella scoperta, questa, che Giorello per amor d’amicizia finge di prendere come seria e nuova. La scoperta nuova invece, come Scalfari non sa, è stata quella contraria: ovvero che forse la materia è una forma di energia proprio come la ʺmenteʺ, solo un bel po’ meno fulminea. E c’è già da tempo in giro una scoperta terza, più nuova ancora: ʺforseʺ la mente se ne infischia dell’energia e quindi dell’entropia, e sarebbe questo il vallo invalicabile.
Giorello finge comprensione e ammirazione, e per amor-di-donn’Eugenio si degna di ricanticchiare con donn’Eugenio la vecchia antifona: materialismo o idealismo? È singolare, un poco commovente, vedere un fisico serio abbandonare, sia pure per un attimo, l’intricata giostra dei suoi neutrini per ricantare le nenie d’un tempo onde conferire al Macchietta il lauro della novità, la quercia dell’intelligenza, e il prezzemolo dell’approposito. Perché – stiamo ai fatti – proprio i libri scalfariani che a quel che pare lo stesso Scalfari (con modestia molta) distingue dai suoi altri e definisce ʺquelli veriʺ, sono libri di pressappochismo culturale inaudito. O Scalfari troppo poeticamente pensa che far filosofia significhi arzigogolare innocue cogitazioni e pensierosi ʺchissàʺ, così, a ruota libera? E magari anche che una barba bianca ben ravviata, l’occhione a mandorla atteggiato a pensosa malinconia, la guancia rossa non si sa di che, dato che non è pudicizia, bastino a creare il quissimile d’una sorta di nonagenario Robert de Montesquiou di tacca ancor più scarsa del precedente?
Giorello continua a fingere ammirata sorpresa: fatto incredibile, esclama, è che la scalfariana ʺpassione dell’eticaʺ sgorghi proprio, udite, dalle denunce dei mali d’Italia…! Ah, sí? E da dove, sennó? Dalla sagoma di Mastrapasqua?
E prosegue ammirando. Non un riscuotersi della ora flaccida ora connivente ma sempre colpevole magistratura, che sarebbe cosa semplice e sincera, ma una ʺdiscesa negli inferi del profondoʺ (profondo? Ma se la maialaggine italica è alla luce del sole!), nonché una passeggiata in quella ch’è la ʺtristezza del potereʺ (ma perché, Lusi e Belsito erano poi cosi’ tristi!?), spinsero Scalfari a contemplare assorto i misteri dell’Io, del Noi, del Voi, del Loro e del Tutto, come ad esempio: big bang, entropia etc.
Infine, Giorello avverte che Scalfari è ben consapevole del fatto che la nostra società scansa le domande ultime. Quel che Scalfari non sa, ci permettiamo di aggiungere, è che essa scansa anche le penultime. Le scansa tutte, a dire il vero, ma ʺnon le cancellaʺ, sospira con sollievo Scalfari: infatti lui, plenipotenziario della ʺsocietàʺ e difensore della fede, non le scansa, tali domande, se le pone, come no! (Forse scansa le risposte, questo sì, ma poco male). E a quel che pare raccomanda: fate come fa ʺla conoscenzaʺ, che non ha riguardi per la tradizione! Ma, alt! Che vuol dire, qui? Forse che noi siamo ignoranti a causa del nostro rispetto della tradizione? Troppo onore; grazie. ʺCi vuole coraggio!” conclude non so dove, e Giorello sembra d’accordo.
Sì, ci vuole coraggio, aggiungiamo noi, ʺun bel coraggioʺ, anche per spippolare agli allibiti Italiani un suo mezzo secolo di precisazioni e verità pseudopolitiche ʺinfalsificabiliʺ, condite col consueto sostegno di similitudini empiriche erronee. Per cui un bel coraggio lo hanno avuto anche loro, gli Italiani, ad attendere invano, pazienti, che finalmente se ne stesse zitto. Sum, ergo cogito. Certo, sì, sia in pace -, ma non potrebbe cogitare un po’ meno?
Ammettiamolo: qui il coraggio vero è stato quello di Giorello, che ha messo in bilico la propria reputazione per amor d’amicizia. Bravo.
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