Un approccio al tema della costituzionalità della imposta sulla casa (Imu) è dato dall’art. 23 della Carta, che prescrive: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Da qui la duplice domanda, l’una relativa alla legittimazione di chi impone il balzello: quale legislatore? l’altra relativa al merito: quali limiti all’imposizione fiscale?
Per rispondere al primo interrogativo non posso che ripetere quanto ho già scritto in precedenti occasioni, anche su questo sito, e cioè: questo governo è costituzionalmente illegittimo, ancorché abbia avuto origine da una investitura del Presidente della Repubblica ed ancorché abbia goduto in Parlamento della fiducia di una corposa maggioranza parlamentare.
Infatti, se ad un osservatore superficiale questo governo Monti può apparire legittimo e, quindi, legittimi i provvedimenti che da esso promanano, invece a chi va più a fondo nell’analisi degli scripta e delle prassi costituzionali, appare certamente come cosa ben diversa, vale a dire è governo connotato da radicale e insanabile illegittimità.
Al fine di rendere chiara questa mia grave affermazione – di cui mi assumo la responsabilità, quale tesi di prima mano -, riassumo brevemente la vicenda che mise capo a questo governo. La consistente maggioranza parlamentare – conquistata dal centrodestra alle elezioni politiche del 2008 – si era venuta assottigliando per la defezione, prima di Gianfranco Fini e dei suoi fedelissimi, che dettero vita ad un autonomo partito, contro il Pdl, poi di altri deputati, onde la maggioranza parlamentare era divenuta incerta o, addirittura, inesistente. Inoltre, Berlusconi era stato fiaccato, e per di più moralmente, dalla accanita, ingiusta persecuzione giudiziaria cui era stato fatto oggetto fin dalla sua discesa nell’agone politico, perché aveva fermato nel 1994 la “gioiosa macchina da guerra” approntata dai comunisti per la conquista del potere centrale, dopo l’annientamento, per via giudiziaria, dei partiti che avevano guidato l’Italia per oltre quaranta anni.
Uscirei fuori del seminato se mi dilungassi a parlare di questa vicenda con riferimento alle singole responsabilità di soggetti politici, compresa quella del presidente della Repubblica, che non è mai intervenuto con la moral suasion a scongiurare lo stravolgimento delle istituzioni, anche ad opera dei magistrati: sicché, nel pieno di una grave crisi economica di carattere internazionale, Berlusconi fu indotto – disse per responsabilità (?) – a gettare la spugna, annunziando le sue dimissioni (dopo, però, l’approvazione in Parlamento delle misure anticrisi concordate con le autorità europee).
Dall’annunzio delle dimissioni ebbe inizio una serie di comportamenti da parte del presidente della Repubblica, obbiettivamente non conformi ai precetti ed alle prassi costituzionali.
In primo luogo consentì una crisi extraparlamentare, evitando cioè che sulle annunciate dimissioni del capo di governo (e conseguentemente di tutto il gabinetto) si pronunciasse il Parlamento, come era doveroso, a norma dell’art. 94 della Costituzione. In secondo luogo, instaurò, sia pure telefonicamente, con la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, un rapporto nel corso del quale questa impose di conferire a Mario Monti – ben visto negli ambienti finanziari europei – l’incarico di formare il Governo. Napolitano obbedì, ma così violando la ultra secolare prassi costituzionale, secondo cui in caso di crisi governativa il capo dello Stato incarica un uomo politico a formare il nuovo governo (Napolitano ritenne di poter aggirare l’ostacolo, nominando previamente il Monti senatore a vita, ancorché questi non ne avesse i requisiti, né avesse i connotati dell’uomo politico, cioè di un soggetto dotato di esperienza politica e di conoscenza di tutti i problemi che un governo è chiamato ad affrontare). Un colpo di mano? Certamente sì, ancorché a fin di bene per l’Italia.
Pertanto, la esistenza del Governo Monti è in netto assoluto contrasto con le regole del sistema costituzionale, con l’aggravante di essere conseguenza di un diktat straniero.
Si è osservato che il decreto-legge, istitutivo dell’Imu, emanazione del governo costituzionalmente illegittimo, fu convertito in legge dal Parlamento, per dedurne la legittimità, ma è facile osservare, di contro, che il controllo parlamentare sul decreto-legge non elimina il vizio originale del governo nato fuori della prassi costituzionale e contro la Costituzione. Senza dire che il comportamento delle forze che lo hanno appoggiato sono anch’esse in contrasto con la Costituzione, per violazione della delle decisioni del popolo sovrano.
Inoltre, la illegittimità costituzionale della legge istitutiva dell’Imu emerge anche dal suo contrasto con l’articoli 42, comma 2, della Carta e dell’art. 1, comma 1, del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, precetti che entrambi tutelano la proprietà privata: tutela che viene elusa quando questo bene primario dell’uomo viene gravato da una eccessiva imposizione fiscale, che spesso costringe i proprietari a vendere – anche a prezzo fallimentare – il bene sacro della propria abitazione, acquistato a costo di sacrifici e rinunzie agli agi.
Ma il contrasto dell’Imu più grave ed evidente con la Costituzione è rappresentato dalla inosservanza dei principi di cui all’art. 53, secondo cui: “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
Questo articolo dimostra quanto sia incostituzionale l’Imu. La imposizione dell’imposta, in primo luogo, deve riguardare “tutti”, mentre nel caso di specie le esenzioni sono numerose, quasi tutte a vantaggio degli abbienti; in secondo luogo, l’imposizione fiscale deve essere finalizzata a sostenere le “spese pubbliche”, vale a dire le spese necessarie allo Stato (e ad ogni altro ente pubblico) per il raggiungimento dei suoi scopi legittimi. E qui sorge imperiosa la domanda: l’Imu serve a coprire le spese pubbliche? o non alla eliminazione, impostaci dalla Cancelliera tedesca, dell’enorme debito pubblico contratto dalle generazioni precedenti alla nostra? Ed a prescindere da questo pur importante aspetto, è da osservare che, siccome l’imposizione tocca, come si è detto, un bene fondamentale coperto dalla tutela costituzionale, è necessario che le spese dello Stato siano assolutamente necessarie per il pubblico bene. Nel nostro caso, invece, è dato riscontrare un carico di spese enorme ed ingiustificato, sia obiettivamente che a confronto con gli altri Stati europei. Invero: il Quirinale, specie con un surplus di personale, ci costa molto di più di quanto costa la Reggia inglese; inoltre Palazzo Chigi ed i vari Dicasteri sono dotati un pletorico personale, lautamente retribuito e di un parco macchine assolutamente ingiustificato; c’è poi da considerare il mastodontico Parlamento, comprensivo di mille deputati e di centinaia di ausiliari, nonché i numerosi enti inutili, a cominciare dalla Provincia, anche qui con personale numeroso e lautamente retribuito. E senza trascurare il costo della magistratura, coi suoi diecimila componenti (e relativo personale ausiliario), il cui stipendio è equiparato a quello lauto dei deputati; per non dire delle numerose sedi universitarie, istituite in ogni capoluogo di provincia e per tacere del servizio nazionale sanitario, che distribuisce medicinali e prestazioni ospedaliere gratuiti anche agli abbienti. E mi fermo qui, altrimenti non avrei spazio sufficiente per denunciare l’anomalo costo dello Stato.
Ultimo aspetto – non ultimo – della questione di legittimità costituzionale dell’imposta Imu è costituito dalla violazione del principio, stabilito, nell’art.53, secondo cui l’obbligo di contribuire alle spese pubbliche deve essere correlato alla “capacità contributiva”. Ma l’imposta Imu non tiene conto di questo principio perché colpisce indistintamente tutti i proprietari di casa di abitazione, senza tener affatto conto della loro capacità economica. Il possedere in proprietà la propria abitazione non è indice di capacità economica, oltre tutto moltissimi soggetti, che hanno come reddito solo una modesta pensione, sono chiamati a pagare, sia pure in due rate, una onerosa imposta che è ancora più gravosa per quei soggetti che durante la loro vita lavorativa hanno investito risparmi per godere di una seconda casa, al mare o in montagna, per soddisfare esigenze, anche di salute, e per investire risparmi nel mattone (che poi è una ricchezza nazionale).
Resta da stabilire in che modo può farsi rilevare legittimamente la illegittima imposizione, sempre che non sia lo stesso governo a rimediarvi. La via maestra e più sbrigativa è, indubbiamente, quella della disobbedienza civile, cioè non pagare, per indurre i governanti a fare marcia indietro, cioè ad abrogare o modificare la incostituzionale imposta: nessuno può essere obbligato al rispetto di una legge ingiusta e contraria ai precetti della Costituzione. In alternativa è possibile l’opposizione agli atti esecutivi, nel cui giudizio si potrà sollevare eccezione d’incostituzionalità della legge (decreto-legge e relativa legge di conversione). Infine, si può promuovere, da parte di cinquantamila elettori, a sensi dell’art. 71 della Costituzione, una legge di abrogazione di quella istitutiva dell’odiosa imposta sulla casa: le strade da battere, quindi, non sono poche per far valere la sovranità popolare, concussa da una classe politica non degna di un popolo civile.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.