UN ORIGINALE

Val la pena di rimeditare il caso istruttivo del «cortocircuito» scoccato tra Lusi e quel che resta della «Magherita».

Il caso si presta a considerazioni di vario tipo, relative – più che a Lusi – all’ambiente che lo ha «allevato». Lui, il Lusi, è personaggio facile da capire: è un esemplare medio di quell’umanoide generato da più di mezzo secolo di cinismo democristiano addizionato di strumentalismo comunista. Mistura nauseabonda, questa (ma assai utile: infatti assai rimpianta tra malintenzionati), che produce individui la cui natura scadente ancor oggi, in quanto vistosa, passa per esprimere il «tipo» stesso dell’Italiano.

La pièce si complica per l’aggiunta della figura d’un originale: il Rutelli. Può Rutelli esser paragonato al Capitano di una nave? Aveva Rutelli il dovere di affondare con la «baracca Margherita» sconquassata dal caso Lusi, come avrebbe dovuto affondare Schettino con la Costa Concordia? Io credo di no, altrimenti dovrebbe affondare tutta la classe politica italiana. E questo, a malgrado di quanto si usa sperare toto corde, non sarebbe cosa buona. L’attività politica è necessaria; spesso traligna, ma con ciò? E comunque, non credo che Rutelli sia il «compare» di qualcuno, e neppure che io debba considerarmi un ingenuo per questo. Benedetto Croce giudicava gli uomini come Gesù Cristo giudicò il fico. Di Rutelli io, come tutti, conosco varie opere buone anche se, è vero, ignoro tutto il resto.

Moltissimi anni fa, a Napoli, passando in tram innanzi all’albergo Vittoria, ecco sulla facciata un grande cartello con un ritratto di Rutelli. Due inglesi di mezza età fissano a lungo la gigantografia; poi un dei due chiede all’altro, ammirato: Do you like italian head? Risposta entusiastica: Oh, yes, very much! Da allora Rutelli, nella mia psiche, è «l’Italiano tipo dalla bella testa». Questo non basta, ovvio, per tirar fuori un buon politico. Mi sono accanito su Internet per saperne di più. In un mondo dallo stomaco forte, che crede fermamente solo alle estetiche tipo Renzo Piano e Oscar Niemeyer, Rutelli ha anche difeso a spada tratta l’integrità di alquanti complessi monumentali e dell’ambiente che li accoglie. Questo è moltissimo: se dall’Italia togli Natura e Arte, restano molte cose, ma non l’Italia. Resta anche la fabbrica dei Lusi. Neppure il folklore da quattro soldi, che tanto piace ai turisti di mezza tacca, sembra interessare Rutelli. Quando, concorrendo alla dignità di Sindaco di Roma, Fini esponeva luoghi comuni alla romanesca, Rutelli invece difendeva cose serie, con tono serio. Un tono serio. Il « piglio » signorile conta molto, e in Italia ancora di più perché qui da noi è merce rara. Basterebbe quasi solo questo tono sobrio per perdonare a Rutelli molte pecche, se ne ha. Confessiamolo: tra tanto mascalzoni parolacciari, un tono signorile da noi è quasi «tutto». Ci faremmo infinocchiare quasi volentieri, da una persona comme il faut; sí, siamo ridotti a questo. Lo «snobismo liberale» del quale negli anni ‘60 Elena Croce scriveva con affettuosa simpatia, ma anche con una punta di perplessità, ora sarebbe d’obbligo, se ci fossero ancora «liberali» adatti a esser chiamati liberali.

Di Rutelli ricordo anche, con molta riconoscenza, l’attività svolta per richiamare in Italia capolavori espatriati per vendite maldestre, ruberie o ignoranza. Ha fatto molte cose buone, ripeto; leggetevele su Internet e risparmiatemene gli elenchi. Orbene, dalle liste di benemerenze vien fuori, ripetutamente, la qualifica «liberale». Lo chiamano «liberale». Strano liberalismo, il suo, «snobistico» forse? Il fatto è che per capire Rutelli bisogna partire dal dato: «è un originale». E per capire che cosa sia un originale bisogna forse risalire alla squinternata qualità dei Radicali (sua matrice), che miglioravano il quoziente d’intelligenza del parlamento introducendovi Cicciolina, e il quoziente etico dello stesso intorzandovi Toni Negri.

Quando si parla di liberalismo, ci si trova sempre a dover chiarire alcune cose importanti. La prima è che, senza sufficiente forza, la buona intenzione non val nulla. La seconda, che le parole non sono la cosa, e non la valgono -, ma che le idee buone sono cose, non parole. La terza, che la politica è l’adozione non del meglio, bensì del meno peggio. Un esempio luminoso di questa terza definizione è dato dalla azione politica di Berlusconi. Per una serie di motivi tra i quali spicca anche quello del «re nudo», Berlusconi riuscì a spezzare la catena comunista che ancora stringeva l’Italia, caso unico in Europa: da noi il muro di Berlino non cadeva e non sarebbe caduto mai. La DC faceva di tutto per mantenere in piedi i comunisti, onde eternare il comodo metodo dell’equilibrio DC-PCI. La riprova la si ebbe subito dopo, nei fatti: l’eliminazione dei comunisti significò ipso facto anche la scomparsa della Democrazia Cristiana.

Ne ho conosciuti a bizzeffe io, ai miei tempi, di «liberali» ingenui, quelli che per non macularsi di porcherie DC (e facevano bene) credettero che ci si dovesse imbrattare di escrementi PCI. Sorridevano comprensivi verso sinistra. Napoli ne traboccava, di questi gentiluomini affetti da anosmia (vocabolario: perdita dell’olfatto). Probabilmente ragionavano come segue: il pericolo comunista ormai è scongiurato; si può dunque, per essere chic, civettare coi comunisti. C’era da scrivere un nuovo «snobismo» liberale! Fare dei nomi non sarebbe gentile. Farò invece alcuni nomi di quelli che resistettero, con limpida visione dello scacchiere politico e delle mosse fatte, da farsi e da rifare: la rivista «Nord e Sud» e dunque il politico-gentiluomo (raro ossimoro) Francesco Compagna e una parte, ahimè solo una parte, dei Repubblicani; la Rivista di Studi Crociani di Alfredo Parente, «Realtà del Mezzogiorno» di Guido Macera; Renato Giordano e la sua cerchia di amici ; Cotroneo e la rivista «Criterio», poi ripresa da Raffaello Franchini…, e, fuori Napoli, Nicola Chiaromonte e « Tempo presente », la rivista nata dall’ispirazione coraggiosa di Silone…

Ma questi sono ormai solo preziosi ricordi. Tornando al recente passato, fu come se Berlusconi avesse gridato ad alta voce: «il re è nudo!» Si ebbe come l’allentarsi di una catena per caduta di una delle maglie, quella del conformismo. Le sinistre presero a riscoprire le loro tradizioni non-marxiste, perse di vista dai tempi di Craxi. Le destre trovarono un nuovo cartello sotto il quale ricompattarsi. Questo fu il grande merito di Berlusconi, e fu veramente d’importanza colossale: la nazione riprese a respirare un’aria meno fetida. A petto di questo formidabile passo in avanti, tutto il resto scomparve come doveva scomparire: la chitarra di Apicella, le barzellette, il mago Silvan, le corna squadrate, i piccoli e grandi difetti di stile, le promesse spesso non mantenute (di solito per colpa degli « alleati », è vero), tutto scomparve innanzi al grande dono dello spappolamento del Comunismo. Quelle furono pagine di storia. Di fronte a fatti come quelli, le chiacchiere e i difetti personali, anche pesanti, scomparvero e dovevano scomparire.

Ma torno al «liberale» Rutelli. Ha sovente spostato se stesso a sinistra, e proprio tra coloro meno sospetti di un qualche benefico criptoliberalismo. Questo fatto parla di un fiuto politico assai scarso: della incapacità politica di giudicare cose e persone. Sì, Rutelli, gentiluomo «liberale», io penso che non lo abbia capito, il Lusi. È facile rubare, sotto il naso di Rutelli? Però lui s’è tenuto alla larga dal non troppo smart Berlusconi, per una sorta di «snobismo», comprensibile, ma stolido. Se «Parigi val bene una messa», allora la liberazione dalla lebbra comunista valeva bene Apicella, la sua chitarra, il mago Silvan, le barzellette spinte. Avreste voi rifiutato l’aiuto degli Stati Uniti contro Hitler, perché i soldati statunitensi ballavano il volgarissimo boogie woogie e masticavano plebeo chewing-gum, alla maniera del pacchiano Fini, capace di ruttare chewing anche sul naso di Napolitano? Tirando le somme: Rutelli ha forse le idee chiare, ma a modo troppo… suo, e sceglie male i suoi alleati. Non è un ladro, certo; ma che è ? sia qualcosa, diàncine! In realtà, se si astrae da personaggi quali Casini, che sono democristiani camuffati pronti a ritornare alle «convergenze parallele» (anche ai vecchi tempi ci fu fortissima antipatia per i liberali), e dallo stuolo di grigi centristi pronti a «convergere», c’è veramente ben poco da scialare.

Ho detto che tra le divise liberali c’è quella che le parole non valgono le cose, né sono le cose. Ora è di moda dire che «il comunismo non esiste più». Bravi, chi lo ha detto? Non esiste più il comunismo come fandonia d’una praticabile teoria politica, e come realtà statuale; ma esiste il comunismo come ineliminabile tentazione, come « idolo » per fessi e pertanto adito al potere, come minaccia alla libertà, come teoria plebea per plebei, anzi: come filosofia plebea tuttora vigente. Dal p.d.v. sociologico, i totalitarismi sono in genere teorie politiche per le classi inferiori. Tra queste teorie, il comunismo è la più resistente perché « strutturalmente » adatta a cervelli che, olim rivoluzionari, oggi sono spontaneamente conservatori. Esempio: le coorti di impiegati statali e di amministratori pubblici, etc. ; ovvero tutti quelli che, avendo vinto la rivoluzione (=stipendio assicurato, con 13ª e magari 14ª), sono diventati conservatori.

Ripensando alla preterìte sciagure generate dai dialoghi a due, dalle «convergenze» tra teorie utili solo agli adepti, viene quasi da dire: meglio un Rutelli un po’ «ladro», che un Rutelli che non ha saputo né sa valutare la consistenza etica degli schieramenti politici e d’un evento dirompente quale fu ed è il berlusconismo. Attenzione: proprio come non ha saputo vedere che Lusi gli stava sfilando da sotto il naso una montagna di milioni di euro. Come è possibile non vedere? Bisogna davvero avere the italian head nelle nuvole! Incredibile, ma forse vero.

Premesso che tra la qualità di ladro e quella di cattivo politico non v’è connessione causale alcuna, né necessaria, né ipotizzabile, dirò che Dante Alighieri, Guicciardini, Machiavelli e Benedetto Croce la pensavano come segue: meglio una cattiveria, che una debolezza. Meglio una negatività, che uno zero. Meglio una appropriazione indebita, che uno sbadiglio senza effetto alcuno. Bestemmie, queste? Sì, proprio così.

L’ambiente politico italiano ce ne ha fatte vedere di tutti i colori; e temo non sia ancora finita. I marxisti sono come l’araba fenice, oggi più di sempre perché la nuova società piccolo borghese «è» naturaliter marxista; e poi ecco che con tutta probabilità la nuova legge elettorale deprimerà ulteriormente la speranza nel presidenzialismo. Poi Napolitano se ne andrà -, ma ci sono ancora rottami comunistoidi da rimettere in piedi, ché, scherziamo!? La storia si ripete…

A proposito, non sbigottite. Vi ricordate Prodi, quello che dormiva in piedi ruminando vendette? Forse a Rutelli piace, o piacerà?


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