APOCALISSI D’UN POPOLO DI MASOCHISTI

Ci informano, in questi giorni, che siamo talmente poveri da avere stipendi inferiori a quelli dei Greci. Ma come mai!? Noi italiani abbiamo voluto e vogliamo la botte piena e la moglie ubriaca. La dizione «moglie ubriaca» significa che ci è piaciuto:

1 – proibire la produzione di energia nucleare sul nostro territorio, con perdita del 30% (si dice, ma è peggio) di competitività.

2 – sabotare la TAV. Sabotaggio insensato che, se riesce, ci mutilerà di svariati vantaggi europei. (Sarebbe ora, perché dall’Europa, finora, abbiamo tratto solo imbecillaggine e fregature).

3 – togliere al turismo, e a noi stessi, certo più d’un terzo del nostro patrimonio artistico/moumentale, o almeno della sua “godibilità”.

4 – favorire ovunque l’edificazione di costisissimi edifici (ospedali, santuari, sanatorî, carceri, etc.) utili solo alle tasche ed al pennacchio elettorale di coloro che li fabbricano. Miliardi gettati «per terra», ad ammuffire nelle pozzanghere.

5 – lasciar apparire per ogni dove opere d’arte ridevoli sí, ma non dal punto di vista economico, come obelischi fessi, musei tipo “lumpen”, mausolei straccioni, aventi il preciso scopo di spendere molto per deturpare l’ambiente.

6 – circondare di pale eoliche, girevoli come i nostri cervelli, luoghi insigni per bellezza e per memoria, templi, chiese, panorami.

7 – lasciare che i sindacati stringessero con un inestricabile cercine di difficoltà burocratiche fatte di «no», di «ma», di «pero’», di «benché» e di «qualora» tutto ciò che è inizativa di lavoro, creazione di ricchezza, di futuro, etc.

8 – proteggere e incrementare il superfetatorio carnasciale amministrativo-burocratico, ch’è un gorgo di denaro buttato a mare.

9 – costruire, sempre per demagogia, atenei dove s’insegna ai gatti come acchiappare i topi, ai cani come abbaiare, ed a noi come stringere la cinghia.

10 – semplificare e «snellire», dove occorreva (e occorreva molto, e ovunque), ma snellire obliterando ogni volta una norma mediante l’introduzione di altre tre almeno, col risultato finale “ne butto via una, eccotene due”.

11 – in genere, sostituire al sano criterio: metto un uomo a sistemare una funzione, l’altro: invento una funzione per sistemare un uomo.

12 – rinnegare la riduzione dei parlamentari già prospettata da Berlusconi.

13 – consentire senza fare una piega che la magistratura getti via miliardi per inventarsi processi politicizzati, alla faccia della responsabilità civile del magistrato, in teoria ottenuta. E ammirare Giorgio Napolitano, per giunta.

Presto resteremo con la botte vuota e la moglie alcoolizzata ma sitibonda. Tutta colpa nostra. In altre parole: noi Italiani, come usano fare certe piante ed altre specie viventi sessili, ci siamo murati vivi in un cercine di escrementi che ora sta per strangolarci. Esiste una scuola medica che sostiene che l’invecchiamento sia appunto una contratta incapacità di liberarsi dei prodotti di scarto del proprio metabolismo. Noi siamo un notevole esempio della bontà di questa teoria. Strangolati dall’immondizia fisica e mentale.

Ci si può comunque confortare perché le tonnellate di ricchezza perduta a motivo del crescente burocratismo e della inimmaginabile sventatezza economica – leggi e controleggi, disposizioni e controdisposizioni, capricci demagogici, stupide idiosincrasie, indebiti sconfinamenti di mezzecalzette in delicate aree di civiltà estrema (arte, tradizioni, etc.) -, favorisce in compenso lo sfoggio di vanitoso cattivo gusto e di presenzialismo idiota di amministratori scervellati; le parodie plebee di cose serie quali dovrebbero essere le lauree universitarie; la carta bianca accordata a tutti gli sfruttatori armati dell’arma sempre vincente dell’ignoranza; l’uso servile di seguire i sindacati nella miope filosofia «meglio l’uovo oggi che la gallina neppure domani»; le velleitarie furberie di ciascuno e di tutti, che poi si rivelano concrete imbecillaggini di tutti e di ciascuno, etc.etc…

Come può resistere una nazione, anche ipercivile come fu l’Italia, a tali raffiche di demagogia, di demenza, di costoso cattivo gusto, di interessati moralismi? Volentes nolentes, dobbiamo ammettere che tutto ciò è stato «colpa nostra». Una colpa che ha molte facce, ma principalmente quella della saccente ignoranza dei più e, presso gli Italiani migliori, quella di lasciar campo libero al montante disastro sociologico. Quale disastro? Come, non lo sapete? Stiamo parlando dello tsunami sociale, della marea di plebe.

La plebe costa, perché è spendacciona. La sua ricchezza è parodia di ricchezza, perché è esibizione: costa il doppio. Siamo riusciti a fabbricare a nostro uso e consumo una copia del mondo vero, una copia in cui sobrietà, buon gusto, etc. sono stati «duplicati» da imitazioni e feticci. Come dicevano del loro «oro» gli alchimisti d’un tempo, la verità, la bellezza, la dignità sono aurum non vulgi, «oro» che non corrisponde a ciò che oggi la gente, il volgo, chiama oro e crede sia oro. Bisogna ricordare che è in questo mondo di parodia che oggi si vive, noi Italiani più degli altri. Il «consumo» è questo, e da noi lo è più che altrove.

Questo panorama sbigottisce l’osservatore. La mente corre alla difficoltà di ricostruire una società decente. E’ un compito arduo: sia perché mancano spiriti convinti, sia perché, quand’anche questi benintenzionati esistessero e fossero pronti a dare opera alla palingenesi, quanti lustri e quanti decenni occorrerebbero per cambiar musica? Qui, come suol dirsi, cadono le braccia.

E invece…, invece no. Come alcune volte è già accaduto di vedere, quando il nodo si stringe implacabile intorno al collo della nostra società, ecco una sua impreveduta capacità di rimbalzo, una scossa di rigenerazione. Noi vecchi abbiamo visto accadere qualcosa di simile più volte, ed in grande stile subito dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale: fu quello che si disse «il miracolo italiano». Di tanto in tanto, «piccoli» miracoli ancora avvengono: siamo sempre sul punto di fare bancarotta, e poi… Sono miracoli che si producono sempre allo stesso modo, un modo che fa pensare alla occulta presenza di misteriosi catalizzatori. D’un tratto, non si sa per quali segni, si sente che la direzione complessiva cambia; si avverte come una rinnovata voglia di riprendere la difficile creazione del positivo. E’ certo che l’atmosfera «politica» contribuisce a questi risvegli. Forse il catalizzatore è sapere che, da quache parte, qualcosa di positivo ha inizio.

Comunque, è opportuno sperare, ma sempre ricordando che in definitiva dipende da noi.


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