Giuliana Sgrena: FIABE DAL MAR DI KERALA

Sulla vicenda dei due marò italiani detenuti in India con l’accusa di aver ucciso due pirati o pescatori si sono pronunciati in molti, ma di certo se c’era qualcuno che avrebbe fatto meglio a tacere questa è Giuliana Sgrena. Recentemente ha scritto sull’argomento dimostrando totale incompetenza sui fatti, luoghi e sulle dinamiche della vicenda, giungendo a delle conclusioni a dir poco fantastiche.

In primo luogo afferma che se sulla vicenda avessero indagato le autorità italiane questa si sarebbe tradotta automaticamente in impunità, come se la nostra magistratura fosse divenuta di colpo e acriticamente filo-militare, mentre le cronache quotidiane ci raccontano ben altro, purtroppo. Troppo spesso, infatti, uomini in divisa devono sottostare a dei calvari interminabili per aver fatto soltanto il loro dovere, proprio per colpa di una magistratura ideologizzata.

La Sgrena non manca neppure di cadere vittima di involontaria comicità. Infatti scrive «Avvertimenti, quali avvertimenti (luci, spari in aria) e contro chi? Avvertimenti che se anche ci fossero stati non sarebbero nemmeno stati compresi dai pescatori». Ora, se questa è la logica con la quale la giornalista pensa e si muove per il mondo, ben si capisce come sia finita in certe spiacevoli situazioni. Intanto si spara in aria proprio per non colpire nessuno, a scopo di avvertimento. Inoltre qualsiasi persona dotata se non di buon senso almeno di spirito di conservazione, di fronte a dei segnali luminosi ed acustici insistiti e a dei colpi d’arma da fuoco, perlomeno si ferma e se può gira i tacchi. Non è un problema di professione né d’idioma: il Beretta AR 70/90 parla una lingua universalmente comprensibile.

Non paga di inanellare “inesattezze”, la giornalista (sic!), afferma che le acque dove sono accaduti i fatti non sono «abituate ad atti di pirateria». Sul sito dalla Marina Militare Italiana si legge però che tra le aree a rischio vi sono anche le Maldive, tutto sommato non molto distanti da dove sono avvenuti gli episodi che hanno coinvolto la petroliera italiana.

I passi successivi dell’articolo della Sgrena denotano uno stato confusionale acuto: «Per di più, non esistono regole d’ingaggio codificate per i militari a bordo delle navi commerciali». Certo, è notorio che il Comando mandi in giro per il mondo dei militari dicendo loro “fate un po’ come caspita vi pare. Se il caso sparacchiate un po’ qui e un po’ lì”. Ma stiamo scherzando? Le regole ci sono, codificate e rigidissime: «prevedono l’uso della forza “graduata e proporzionale all’offesa”. In concreto, quando viene avvistata un’imbarcazione sospetta in primo luogo si cerca di attirarne l’attenzione in vari modi – via radio, con segnali visivi e sonori – per fargli cambiare rotta. Se ciò non avviene, e si notano altre stranezze, come magari la presenza di armi a bordo, l’allerta si innalza ulteriormente e si ricorre ai cosiddetti “warning shots”, cioè dei colpi di arma da fuoco in aria a scopo dissuasivo. Poi si spara in acqua, sempre a distanza di sicurezza. Gli spari diretti sull’imbarcazione sono solo l’extrema ratio.»

Se l’incompetenza della Sgrena si fermasse qui potrebbe persino essere divertente leggerla, purtroppo continua affermando cose di gravità inaudita. «Il caso dei marò» – continua la giornalista (sic!) – «è di estrema gravità perché sancisce il diritto di uccidere chiunque venga sospettato di poter essere un pirata». Come possa essere giunta a questa conclusione è un mistero. In primo luogo non è affatto sicuro siano stati i nostri marò ad aver ucciso i presunti pirati o sedicenti pescatori, in secondo luogo gli uomini in divisa non sono dei killer, novelli Rambo che sparano a vista su qualsiasi cosa galleggi, ma del personale altamente qualificato, di eccellente preparazione in servizio e a difesa dei nostri mercantili contro gli attacchi della pirateria. Situazione resasi necessaria dopo i numerosi sequestri verificatesi, dove quello della Savina Caylyn è solo uno degli ultimi e più famosi casi.

Sempre secondo la giornalista (sic!), l’Italia vuol far valere il diritto di sovranità solo perché «nei confronti dell’India ci consideriamo noi i più forti». E difatti abbiamo sbattuto i pugni sul tavolo in modo così violento che i nostri marò sono ancora trattenuti dagli Indiani ed inoltre bisognerebbe ricordare alla Sgrena che l’India è pur sempre dotata di bomba atomica.

Forti con i deboli e deboli con i forti, insiste Sgrena. Difatti saremmo pronti a considerare la morte dei due pirati/pescatori conseguenza di effetti collaterali, né più né meno di come si è voluto derubricare la morte di Nicola Calipari, a bordo della Toyota Corolla quella notte del 4 marzo 2005, vittima del fuoco di militari americani. L’ideologia impedisce alla Sgrena di considerare che gli incidenti in zone di guerra possono accadere e accadono, purtroppo. E non per questo bisogna sputare sul proprio Paese e le nostre Forze Armate.

Come i nostri militari devono essere preparati ed addestrati per affrontare certe situazioni, sarebbe il caso che pure i giornalisti siano consapevoli di quello che fanno quando vanno in zone a rischio e, nella maggior parte dei casi, lo sono certamente. Invece da quello che ha scritto Sgrena risulta evidente la sua assoluta incapacità di “leggere” le situazioni di crisi e se questo è vero oggi, lo era pure ieri. Se conoscesse almeno un minimo le regole base di comportamento in zone pericolose, saprebbe che la propria sicurezza condiziona quella degli altri e non accuserebbe i militari statunitensi della morte di Calipari, ma sé stessa.

C’è solo da sperare che la giornalista (sic!) rimanga ben al riparo della sua scrivania, al chiuso di una redazione ad immaginare un mondo che non esiste. Di certo non diventerà Salgari, ma almeno non metterà a rischio la vita di nessuno.


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