Dopo Cortina e Portofino ecco che la Guardia di Finanza ha deciso di effettuare dei controlli nella zona della “movida” milanese. Nell’era della comunicazione globale il fisco ha messo su “on” la modalità mediatica, come ben spiegato da Attilio Befera, dominus di Agenzia delle Entrate ed Equitalia: «È necessario incutere un sano timore in chi evade il fisco e operazioni come quelle svolte […] sono un deterrente per […] scoraggiare gli evasori».
Più che un deterrente, questo tipo di controlli sembrano propaganda, terrorismo mediatico-fiscale, una delle poche armi rimaste alle fiamme gialle. Infatti l’organico è ridotto all’osso, le automobili di servizio sono obsolete e scassate, i computers sono degli scarti di magazzino e qualcuno, per poter lavorare, se li porta persino da casa. A questo stato di cose fa da contrappunto una generale eccellente preparazione e una elevata professionalità del personale di servizio. In un paio di settimane le Fiamme Gialle sono in grado di ricostruire un bilancio partendo da una analisi del cartaceo meglio di un qualsiasi commercialista, ma impossibilitati di farlo con sufficiente capillarità.
Questi blitz anti-evasione sono più fumo che arrosto e si fermano alla superficie del problema, limitandosi a tentare di accertare le infrazioni più clamorose, quelle grossolane e plateali, quali la mancata emissione di scontrini o la presenza di lavoratori non regolarmente iscritti. In realtà i veri evasori sono molto attenti agli aspetti formali e mai commetterebbero errori talmente palesi, facilmente segnalabili da chiunque, come quello di non emettere lo scontrino. Dispongono di altri strumenti e di altre tecniche, più subdole e che ben si possono nascondere nelle pieghe di un bilancio. Nulla che i nostri preparati Ispettori non possano scovare, avendo tempo e mezzi, ma essendo questi carenti ci si deve accontentare di queste azioni propedeutiche ai titoli dei quotidiani.
È molto preoccupante che a circa un terzo degli esercizi controllati siano state contestate irregolarità così clamorose come parrebbero quelle di Milano. È un dato che potrebbe indicare disperazione e totale lassismo: non riuscendo a pagare le tasse tanto vale evitare di emettere scontrini o ricevute, rinunciando anche a quel minimo di rispetto delle regole, anche solo formale, tanto l’alternativa è chiudere comunque. Ragionamento un po’ riduttivo, mi rendo conto, ma in mancanza di dati più dettagliati altro non si può pensare, anche perché è difficile credere che, in centro a Milano, un esercente su tre non emetta gli scontrini e quindi bisognerebbe conoscere più in dettaglio i tipi di infrazioni contestate. Attendendoci però a quanto reso noto le irregolarità sarebbero – per massima parte – classificabili in un tipo di evasione “povera”, per mancanza di alternative, ma ve ne sono almeno di altri due tipi.
Quella arrembante, consapevole e volontaria, che non esito a definire criminale, dove l’imprenditore o esercente, che ha la fortuna di imbattersi in un “filone” commerciale di successo, decide di massimizzare gli utili, non pagare nulla, e di sfruttare il sfruttabile fino a quando possibile. Generalmente due o quattro anni, poi chiuderà e riaprirà qualcos’altro, un’altra società, in un altro settore, via, città, con altri prestanome. In questa categoria si dovrebbero collocare pure le “truffe carosello”, le false fatturazioni, ecc. Qui gli ispettori della Finanza, con i mezzi che hanno possono poco, ma ancora, con un grosso impegno, riescono a contrastare il fenomeno.
Esiste poi il terzo tipo, quella più grave per dimensioni e complessità, dove l’evasione è solo la conseguenza di reati più gravi. Riguarda le grandi aziende, sono i casi Parmalat (14 miliardi di Euro) o Fastweb/Telecom Italia Sparkle (2,4 miliardi di Euro) e moltissimi altri, dove fondi neri, riciclaggio e paradisi fiscali s’intrecciano con la politica. Qui le Fiamme Gialle nulla possono e quando emergono gli scandali significa che la gallina dalle uova d’oro è ormai morta stecchita oppure che la guerra politica per il controllo di queste società – con annessi e connessi – è deflagrata a livelli non più occultabili.
Per gli organi di controllo è difficile esercitare una forma di contrasto all’evasione più evidente, complicato scovare l’elusione, assolutamente impossibile entrare nelle grandi società a meno che la politica non voglia.
Così a Befera non rimane altra strada di quella posta in essere: il clamore mediatico, propedeutico a tenere in piedi il teorema che se le tasse sono alte è per colpa dell’evasione fiscale e i chiassosi controlli servono a certificarlo. Ecco spiegato l’inedito battage, un tempo inesistente, pur mai mancando le attività ispettive. Peccato che in seguito a queste retate non vengano divulgati che dei generici dati, buoni per un titolo di giornale e nulla più.
Una cosa è certa: con gli attuali livelli di pressione fiscale nessuna azienda per sopravvivere può fare a meno di ricorrere ad ogni mezzo possibile se non d’evasione, almeno d’elusione fiscale. Se gli ispettori potessero indagare approfonditamente ogni attività scoprirebbero che il 100% di queste, poco o tanto, ricorrono a mezzi illeciti o quasi per sopravvivere. Solo a controlli superficiali e di aspetto formale non si verifica l’effetto di “un colpo, un centro”, e questo sta a significare che il sistema non funziona e che non basterà la retorica della legalità o criminalizzare alcune categorie per impedire la catastrofe del collasso del bilancio dello Stato.
Bisognerà attendere i dati dell’economia del prossimo anno per capire se le misure del Governo dei Professori saranno state efficaci. Per il momento il 2011 è stato l’anno record per cessazioni di attività (12mila solo per fallimento) e temo che il 2012, vista la strada intrapresa, andrà peggio. È così difficile comprendere che “il sano timore” – con questi livelli di tassazione, unitamente ad un mercato in recessione – invece di far pagare le tasse farà chiudere le aziende?
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