L’eroe della Befana è Alessandro Rimassa, balzato agli onori delle cronache per aver denunciato al 117 un panettiere per la mancata emissione di alcuni scontrini. È interessante il suo ragionamento perché dall’episodio che lo ha visto protagonista giunge a fare i conti in tasca al pizzaiolo notturno, calcolandogli un guadagno non dichiarato annuo pari a 308mila Euro. Non si ferma qui, ma facendo volare la fantasia ed affermando che «l’evasione si propaga in maniera esponenziale» giunge alla conclusione che detto reato – se il panettiere avesse anche solo un emulo per provincia – movimenterebbe un’economia sommersa pari a 33milioni di Euro. Ovviamente il ragionamento è completamente sballato, e l’unica cosa che è riuscito a dimostrare è di non avere idea di cosa sia un registro dei cespiti ammortizzabili e, più in generale, di come funzioni una azienda; ma non è questo il punto. L’eroe della Befana è uno scrittore e come tale dovrebbe essere in grado di mettersi nei panni della varia umanità che incrocia il suo destino, possibilmente comprendendola; perlomeno dimostrando minor scontata fantasia, uscendo dall’ovvio e dal prevedibile.
La caratterizzazione del pizzaiolo che Rimassa tratteggia è perfettamente in scia al mainstream dell’informazione e al clima generale di caccia all’evasore, nemico della società, causa principe di ogni italico disastro: il furbetto si mette in tasca almeno 300mila Euro in nero, certamente guida un Suv e le ferie le passa a Cortina, entrando solamente in negozi, alberghi e ristoranti che non rilascino regolare scontrino; mentre a noi qui tocca soffrire e pagare, pagare e soffrire anche per lui. Ovvero descrive un personaggio mitologico, utile parafulmine per attirare l’ira degli italiani che altrimenti si scatenerebbe su chi sta massacrando il Paese di tasse. La Repubblica, al governo ci fossero altri, definirebbe l’autore “servo” e quanto da lui scritto “stampa di regime”. Absit injuria verbis, non stento a credere che la reazione di Rimassa sia scaturita da un moto insopprimibile e spontaneo, ma ciò rende il fatto ancora più preoccupante e ben delinea il clima da caccia all’untore che pervade il Paese.
In realtà, da quanto comunicato da Princi – società proprietaria di una catena di panetterie di successo, tra cui anche quella denunciata da Rimassa -, si evince che la verità sarebbe più banale e non conterrebbe alcun tratto di esempio sociologico, né di educazione morale per le masse: potrebbe trattarsi soltanto di un banale caso di dipendente infedele che ha pensato bene di arrotondarsi lo stipendio.
In letteratura un episodio reale serve da spunto ad una narrazione; è una molla che innesca delle concatenazioni prima solo latenti nella mente dell’autore, non è cronaca. Quindi pur non conoscendo in dettaglio il caso in questione, né la realtà della panetteria chiamata in causa – anzi proprio per questo – si può tentare di aggiungere alle due ipotesi appena esposte pure una terza lettura, contribuendo a costruire l’iperromanzo.
In questo caso il panettiere è il titolare del negozio e gli affari gli vanno sì bene, ma non tanto. Ha una marea di spese aziendali e personali. Ha due figli, due mogli, due case di cui in una non vi può nemmeno metter piede, mentre per l’altra paga ancora il mutuo. Possiede una automobile bella – anche se non un Suv – acquistata in leasing. La crisi lo ha messo in difficoltà e ha cercato di farvi fronte aumentando le ore lavorate. Tiene aperto anche di notte. Guadagna, a conti fatti, meno di un suo dipendente. Ha un fido in banca che raschia perennemente il fondo, anche a causa delle immense rate dei macchinari nuovi che ha dovuto acquistare per tentare di rimanere competitivo sul mercato. Al 9 di gennaio dovrà portare in banca ben più di qualcosa: oltre ai mutui e alle ricevute bancarie dei fornitori si sono sommati oneri, competenze e interessi. Tanti, visto che è sempre in rosso. La prima moglie minaccia di andare dall’avvocato. Cerca quindi di emettere meno scontrini che può: ormai è divenuta una questione di sopravvivenza. Lavora con angoscia, da anni, e maledice il giorno che non ha ascoltato suo padre che lo voleva spensierato impiegato alle Poste.
Fantasia? Nel caso delle panetterie Princi sicuramente. Ma quest’ultima narrazione è un ritratto piuttosto fedele della realtà quotidiana di molte aziende, piccole imprese ed artigiani massacrati da una pressione fiscale sul reddito che è giunta a sfiorare il 70%, che per soprammercato ignora molte voci di spesa considerandole indetraibili, di un sistema bancario avverso e di tanti altri balzelli nascosti nelle pieghe dell’amministrazione.
E si vorrebbe pure che chi combatte per la sopravvivenza si preoccupi della morale fiscale, per portare oro alla Patria, ad uno Stato divenuto vessatorio e nemico, che in cambio dà poco e male e solo chiede pur di continuare a garantire abnormi privilegi alle sue oligarchie e corporazioni? Buoni sì, patrioti pure, fessi chi può. E a chi non può Equitalia, ver-gogna e berlina digitale.
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