CONNESSIONI ECONOMICO-POLITICHE DELLA CRISI

Mercati in fibrillazione e speculazione internazionale in grande attività: siamo in piena crisi economica. Da tutte le parti, capo dello Stato per primo, è partito questo allarme: Annibale è alle porte, Sagunto sta per cadere. Tutto per responsabilità di Berlusconi? Per l’opposizione la risposta è affermativa ed anche nella maggioranza è partito l’invito al premier a fare “un passo indietro” o, quanto meno, un “un passo a lato”. Bersani – ossessivamente, secondo la tecnica del lavaggio del cervello – già da qualche mese reclamava le dimissioni di Berlusconi, mentre gli altri dell’opposizione proponevano un Governo di unità nazionale, di salvezza nazionale (era irrilevante che l’Europa avesse giudicato attendibile il programma di risanamento dei conti pubblici entro il 2013): l’obiettivo era la resa dell’inviso Berlusconi; il quale, temendo l’implosione del Pdl (il vero motivo), ha deciso di lasciare, ma dopo che fossero state approvate sia la finanziaria che le misure anticrisi, già concordate con l’Europa.

In questa situazione, confusa e allo stesso tempo deprimente, che fare? il Presidente della Repubblica aveva da tempo in mente la soluzione, e ha dato inizio alla solita pantomima dell’audizione dei presidenti di Camera e Senato (a proposito è proprio certo che Fini rappresenta imparzialmente la Camera dei deputati?), Scartata l’ipotesi dello scioglimento delle Camere e quella di un Belusconi-bis, entrambe però più costituzionalmente corrette -, ha dato vita ad un bel Governo tecnico, soluzione questa, come già detto altra volta, scorretta perché inosservante della sovranità popolare sancita dalla Costituzione. Scorretta, e per lo stesso motivo, è stata anche la nomina, qualche giorno prima di conferirgli l’incarico a formare il nuovo Governo, il conferimento del laticlavio senatoriale a Mario Monti. E’ vero che l’art. 59 della Costituzione concede al Presidente della Repubblica questa facoltà, ma la nomina deve cadere su cittadini “che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Alla Costituente l’istituzione fu avversata da Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea, il quale aveva osservato che essa “urta contro il principio del rinnovamento del Senato” e che “ogni celebrità per quanto viva astratta dalla vita politica ha, in definitiva di fronte ai problemi politici un suo determinato atteggiamento che si rifletterebbe inevitabilmente sulla fisionomia politica del Senato quale risulta dalle elezioni”. Passò, però, la proposta dell’on. Alberti, il quale aveva osservato, da una parte, che con essa si intendeva assicurare “ai sommi, ai geni tutelari della Patria” una tribuna che essi non hanno e, dall’altra, che “i senatori di diritto, dato il loro numero esiguo, non potranno mai spostare il centro di gravità di una situazione politica al Senato”. L’esperienza di vita parlamentare di mezzo secolo ha dimostrato che Alberti aveva torto (nella scorsa legislatura, ad esempio, i senatori a vita, di diritto e di nomina, ebbero un peso non irrilevante nelle decisioni senatoriali, alcune volte decisivo). A me sembra, pertanto, ragionevole che il Senato, essendo per la Costituzione repubblicana, a differenza di quella regia, emanazione del popolo sovrano, non dovrebbe essere modificato nella sua composizione numerica da una decisione che non derivi dal popolo; tanto più se derivi dal Presidente della Repubblica che è, per definizione, irresponsabile (art.90 Cost.). Perciò i futuri riformatori della Costituzione dovranno ben riflettere: se mantenere, oppure no, l’istituto dei senatori a vita, che è relitto storico. Entrando nel merito della nomina, c’è da rilevare che, senza nulla togliere al valore accademico del professore bocconiano, questi non è un soggetto che “abbia illustrato l’Italia per altissimi meriti” (come, invece, un Antonino Zichichi e tanti altri scienziati o personaggi della cultura, tutti, in quanto insigniti da riconoscimenti internazionali, hanno dato fama al nostro Paese). Allora, mi sembra di poter dire che la nomina di Mario Monti a senatore a vita obbedisca – ma facendo violenza allo spirito ed alla lettera della norma costituzionale – ad una esigenza di natura esclusivamente politica, cioè quella di conferire al nominato un crisma da salvatore della Patria, per modo da renderlo accettabile dall’opinione pubblica. Non si comprende, però, il motivo per cui Berlusconi abbia consentito, con la controfirma, all’attuazione della nomina in questione che, chiaramente, era preludio alla sua defenestrazione: calcolo politico?, accordo occulto con il capo dello Stato?, stanchezza per il continuo attacco che ha dovuto subire? Sospendo sul punto il giudizio per attendere lo svolgersi degli eventi che chiariscano il giallo. Se dovessi esprimerlo adesso direi che, come Napoletano è stato inosservante della Costituzione, così Berlusconi è stato inosservante della volontà popolare. Invero, a mio avviso, Berlusconi non avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni, perché non poteva disporre del mandato conferitogli dal corpo elettorale: sarebbe potuto cadere per il tradimento di suoi parlamentari che si sono sganciati dalla maggioranza, ma allora sarebbe stato evidente chi ha tradito.

Resta, ora, la questione se il Governo tecnocratico che Napolitano ha imposto agli italiani sia idoneo a risolvere una crisi economica-finanziaria che affonda le radici in un humus gravido d’implicazioni non esclusivamente economiche: una crisi che, peraltro, viene da lontano, nello spazio e nel tempo. Come si può pensare, ad esempio, di ridurre la pletorica burocrazia prescindendo da scelte che sono necessariamente politiche, relative alla organizzazione dello Stato? E se si vuol sostenere, come si va sostenendo, che il Governo Monti dovrà realizzare le riforme (ambiguamente chiamate “strutturali”), non si legittima forse così l’invasione del campo della politica, che è funzione sovrana? Certamente che si! Il Presidente Napolitano porta il peso di una grave responsabilità, quanto meno morale, di fronte al popolo. Ma – si dice – egli ha agito in stato di necessità, al fine della salus rei pubblicae; sennonché non è ben chiaro il pericolo che corre l’Italia oggi e, soprattutto, quale ne sarebbe la causa. Su questo vi è una insufficiente comunicazione pubblica, tanto che si arriva a dire che il Governo tecnico è stato voluto da Napolitano per esaudire richieste di potenti partners europei (supposizione improponibile perché, se così fosse sarebbe esposto anche all’accusa di alto tradimento); oppure che la crisi economica è anche conseguenza di deficit di credibilità del nostro Paese per il colossale debito pubblico, addebitato a responsabilità di Berlusconi (ed anche qui si potrebbe rimproverare al capo dello Stato di non essere intervenuto a difesa dell’istituzione e… della verità; ed ha assistito senza muovere un dito alla persecuzione giudiziaria del capo del Governo ed alla di lui denigrazione da parte del Presidente della Camera dei deputati). Insomma in mancanza di dati veritieri sulla reale situazione, si è allarmato il Paese che deve subire, in conseguenza, una mazzata economica: arriva l’Ici ed altre gabelle. Inasprimento fiscale che, però, a mio modesto avviso, non servirà a riportare l’abnorme debito pubblico in limiti normali, risultato che richiederebbe, invece, un deciso e robusto taglio alla spesa corrente ed ai costi altissimi della politica (e delle numerose e fameliche caste). Vi sono provvedimenti che potrebbero essere adottati in concomitanza alla leva fiscale, come la riduzione a metà degli emolumenti di tutte le cariche pubbliche, a cominciare da quelli del capo dello Stato e, via via, dei deputati, senatori e personale (economicamente) assimilato; si potrebbero pure abolire subito le spese non assolutamente necessarie e, comunque, gli sprechi di denaro pubblico. Ma, vedrete, non se ne farà niente, salvo l’inasprimento fiscale. Per un lapsus froidiano Monti ha detto che andrà a fondo: l’unico a trarne beneficio certo è lui, il professore bocconiano, che si è visto proiettato in una situazione di tutto rispetto e che potrebbe essere trampolino di lancio ad maiora
.
Si dice – non a torto – che il Governo tecnico sta a dimostrare la sconfitta della classe politica, incapace di far fronte alla emergenza economica (anche per l’ineliminabile contrasto culturale tra le forze politiche che la esprimono). Effettivamente in una vera democrazia maggioranza ed opposizione avrebbero fatto fronte comune per risolvere o, per lo meno, attenuare la grave crisi: nelle democrazie evolute ed efficienti, infatti, l’opposizione, pur non tradendo il proprio ruolo, collabora con la maggioranza se è in gioco l’interesse della collettività. D’altronde in democrazia la maggioranza ha il dovere di ascoltare la minoranza e, quando ne è il caso, di accoglierne le opinioni ed i suggerimenti, purché, ovviamente, la minoranza si comporti correttamente (secondo le regole del gioco), vale a dire rinunci alla menzogna ed alla violenza, verbale e fisica, come arma politica per costringere la maggioranza a capitolare (la spallata), fuori cioè della competizione elettorale. La nostra, però, non è vera democrazia, perché l’attuale minoranza (composta in prevalenza da comunisti e democristiani) non è veramente democratica. Bersani avrebbe avuto tutto il diritto di presentare una mozione di sfiducia del Governo, come aveva minacciato, ma che si è guardato bene dal fare perché la mozione di sfiducia deve essere motivata e votata per appello nominale. Ed egli, fuori della capacità meramente propagandistica, non aveva validi argomenti da far valere.

Crisi economica e crisi della politica sono connesse e risalenti, formando un nodo non facilmente eliminabile. E non c’è Governo tecnico che possa porvi rimedio. Il Presidente Napolitano s’illude che l’attuale classe politica possa convergere su posizioni in teoria condivisibili: eppure dovrebbe ben conoscere i suoi compagni! Per ora è tregua armata tra destra e sinistra. Vedremo presto che l’ascia di guerra sarà dissotterata.

Per consolarmi mi dico: Monti, ce lo siamo meritato, come del resto ci siamo meritato tutta la classe politica: noi, egoisti che pensiamo solo al nostro piccolo orto, nel quale non spuntano mai forti ideali. Scriveva Alexis de Tocqueville, nel suo noto saggio sulla Democrazia in America, che il principio della sovranità popolare per essere effettivo esige un uomo dotato di esperienza ed educazione pratica alla vita politica, abituato a considerare la res pubblica come l’orizzonte costitutivo dei propri interessi. Invece, l’Italia è il Paese delle mille città, che si suddividono in mille rioni, e questi in milioni di famiglie, che però anch’esse vanno frantumandosi: ognuno pensa per sé, tutti reclamano diritti, tutti all’arrembaggio delle casse dello Stato (è la versione italiana del Welfare). Conclusione amara la mia? No! È solo un invito ai giovani a pensare il proprio futuro in termini realistici senza miraggi e senza lasciarsi ingannare da falsi profeti o da demagoghi. Non si possono promettere mari e monti. II Paese, caro Presidente, ha bisogno di verità, anche se scomode, che facciano riflettere, senza di che non si salverà.


Pubblicato

in

da

Commenti

Lascia un commento