SINTOMI E CONSUNTIVI (PROVVISORI)

Accade certe volte che un mutamento della situazione politica, o anche soltanto della moda politico-culturale, indipendentemente dal fatto che sia o non sia positivo, metta allo scoperto mutamenti di convinzioni teoriche che passavano quasi inosservati.

Di cio’ ha fornito segni evidenti il ricambio governativo da Berlusconi a Monti. Passaggio a mio giudizio estremamente dannoso per la situazione economico-politica e per la posizione europea dell’Italia, ma che comunque ha sottolineato un nuovo stato di fatto nella lotta tra le più o meno sincere fedi in gioco. I comunisti di tipo tradizionale, in questo mutamento che pure va a loro favore, hanno potuto misurare quanto si siano ridotti il peso della loro presenza sulla scena e l’importanza della loro «dottrina» (!?) politica. La consapevolezza, in loro, di questo declino dà ormai sintomi inconfondibili: e precisamente due, che si sono evidenziati nelle dichiarazioni in TV di Enrico Letta e della Anna Finocchiaro.

Entrambi questi attori del nostro teatro partitico si sono lasciati sfuggire, alla televisione, frasi del genere: «Il comunismo, al di là di tutte le polemiche e le sconfitte, ha dimostrato di contenere qualcosa di positivo… »; «non si puo’ negare che il marxismo, oggi tanto poco valutato, abbia portato con sé spunti ed idee importanti… », etc.
Ora, è doppiamente sintomatico che due persone non troppo craniolese, o craniolese solo quel tanto (quel molto) che basta per militare cosi’ a lungo in un baraccone di panzane e di crimini vasto e cigolante quanto quello marxiano -, dico persone oggi abbastanza normalmente ragionanti, si mettano a dire : «si, ma c’era del buono… » etc. Tutto cio’ mostra da un lato che le speranze di rivincita non sono affatto del tutto svanite, che il paesaggio staliniano d’un bel campo di concentramento non è per loro sufficiente, irreversibile motivo di rigetto; e dall’altro che la loro partecipazione al dibattito democratico è, come a noi è sempre sembrato, tutt’altro che sincera, priva di arrière-pensées. Ed è questo un modo obliquo di giungere ad un’altra constatazione: la mentalità marxista, come tutte le mentalità coatte del resto, non è un fatto di semplice convinzione dottrinaria, ma include e nasconde anche note caratteriali che sono le stesse e le solite: sfiducia nella libertà (degli altri, ovviamente), tendenza alla soluzione «forte» dei problemi della convivenza civile. E qui aggiungo un allarmato «non so se mi spiego!». Il ventesimo secolo è stata ampia, dolorosissima conferma del fatto che teorie politiche come il marxismo o il fascismo non possono non presupporre in chi le propugna note caratteriali che poco hanno a che vedere con un temperamento liberale.

Considerazione in parte simmetriche a queste vanno fatte a proposito delle ultime vicende del Pdl e di Berlusconi, suo leader. Ho già ricordato altra volta, e qui ripeto, che l’irruzione di Berlusconi e il suo quasi ventennio di presenza sulla scena politica italiana hanno sortito effetti che solo la malafede puo’ definire poco importanti o transitorî. Non dobbiamo mai dimenticare che Berlusconi apparve all’orizzonte ai tempi in cui si vaneggiava sulla «gioiosa macchina di guerra» delle sinistre. Si credeva ancora alla lotta di classe come unica motore del progresso sociale; alla vigenza puramente sovrastrutturale delle teorie tutte, politiche e non; al «senso» (meglio: al «senso unico»), della storia; peggio: al carattere addirittura «sacrale» di tale senso; al valore maieutico della violenza, al fatto che solo la riscossa del proletariato era idea degna di intellettuali degni del nome, intellettuali che ipso facto dovevano diventare tutti «organici»…, etc.etc.

Insomma: vi ricordate della noia e talora, quasi della disperazione, che produceva questa ininterrotta, ubiquitaria litania di minacciose panzane? A tali ragli d’asino e versi di pappagallo facevano da degna cornice le gioiose prospettive: abbattimento definitivo ed irreversibile delle ingiustizie sociali, progressivo avvento della libertà (« …di andare a caccia ed a pesca il mattino, di fare la critica-critica di sera»), profilarsi all’orizzonte dei contorni, sempre più nitidi, del «Regno della libertà»… Quando Berlusconi entro’ in scena, eravamo ancora a questo punto di bambinismo mentale. Ora che Berlusconi (spero temporaneamente) ne esce, ecco invece qual è il nuovo ideario marxista: matrimonio tra gay, possibilità di dare del «tu» ai professori dal liceo all’università, permesso di mostrare le pudenda in corteo, e scemenze consimili.

Intendiamoci: non sto affatto sostenendo che questo immenso regresso delle marronate di sinistra sia opera di Berlusconi. Dico solo che l’avvento di Berlusconi ha consentito che la situazione abbandonasse il piano d’insopportabilità cui era giunta e, oppurtunamente distratta d altri problemi, recuperasse almeno in parte una normale decenza. La febbre della follía collettiva cresceva (strutturalismo collaborante, ricordate ?); fu Berlusconi colui che ruppe il perfido incanto. Questo ci dà l’occasione anche per fare poche considerazioni «metapolitiche» sul berlusconiano tentativo liberale appena conclusosi. E’ sempre utile ricordare le idee che esprime in varie occasione Benedetto Croce, il liberale più acuto di cui l’Italia dispone. Tra le molte, hanno per me importanza primaria le tre seguenti :

1 – Per definire il liberalismo basta forse il convincimento che i problemi politici hanno carattere risorgente, non ve n’è alcuno che possa essere risolto una volta per tutte.

2 – il liberalismo non è identificabile con la teoria di un partito politico. E’ esso un modo di pensare, un «costume» della mente, il più civile a tutt’oggi disponibile, che sarebbe ausicabile potessero adottare tutti i partiti e tutte le dottrine politiche, ovviamente ad eccezione di quelle che, orientate contro l’ideale supremo della libertà, impediscono per cio’ stesso tale adozione. Ed a chi opponga che i sogni sono belli, ma tali restano, si puo’ ribattere che questo sogno avverato del «costume liberale» già esiste, è altrove vincente, ed è ad esempio (finché dura) la vita politica inglese. Si dirà, ancora, che è un costume ora al tramonto. Cio’ è vero, ma un’idea tramontante, o addirittura tramontata, non per questo è un’idea cattiva. Tutt’altro. Lasciamo ai cervelli volgari il credere che «chi vince ha sempre ragione». L’età di Pericle, o quella di Lorenzo il Magnifico, sono tramontate per cento ottimi motivi, ma non certo per debolezza dei loro rispettivi ideali, e idearî. E poi, spesso le grandi idee della storia sono state «ripescate» nel momento dell’apparente declino, forsanche meglio comprese nella loro importanza proprio quando si è profilata all’orizzonte la minaccia d’una sconfitta. E’ anche per questo motivo che il liberalismo è un’idea forte, non arrendevole né accomodante: va perennemente rimessa in gioco ed alimentata.

3 – Dal primo dopoguerra in poi, comunisti e cattolici si accapigliarono, ora sul serio, ora simulando ostilità allorquando la bilancia del dualismo a loro tanto utile piegava troppo dall’una o dall’altra parte. Fini’ come doveva sperarsi: con la vittoria del mondo libero e di Woityla, con cio’ dimostrando la stolidità della battuta di Kruscev («Quante divisioni ha il Papa?»). Ma Croce, anziché pensare che si trattasse soltanto di lotta per il potere, già aveva tenuto fermo al vero punto: la lotta era di idee. E lo disse: non il cattolicesimo (allora, la DC), ma il liberalismo era il vero nemico del comunismo, come dei totalitarismi tutti. Questa diagnosi, varie volte confermata nel corso degli anni, si riconferma ancora oggi: la vecchia democrazia cristiana e il veterocomunismo cercano di tornare in sella alleandosi ed accodandosi ai «poteri forti». Ed è anche sulla nausea generata da queste riproposte connivenze che Berlusconi puo’ fondare, ed io penso già fondi, la prospettiva di un suo ritorno in gioco. La sinistra l’ha già buttata gambe all’aria una volta, come più sopra abbiamo detto. Puo’ rifarlo.

Insomma, e infine, dire liberalismo significa dire: vivere la libertà. Esso non è né una parola, né un partito: è un modo d’essere.

P.S. – E’ il caso di ribadire cio’ che chi legge ha già capito da sé? Io resto berlusconiano for life, come i nuovi ricambi giapponesi per automobile, e cio’ per due motivi: 1° – perché sono liberale come il Cav., e il Cav. lo è come me. 2° – perché abbandonarlo in questo «frangente no» sarebbe lurido. Io non sono né un Italiano di tipo corrente, né una Carlucci qualsiasi.


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