LA RICREAZIONE È FINITA

“Abbiamo affidato l’Italia ad un venditore ambulante” Questo è il titolo che campeggia sul Figaro di stamani, che ha raccolto le dichiarazioni di alcuni esemplari di razza italiana che, come me, vivono qui. Non so definirli altrimenti, giacchè vergarli del titolo di “italiani” sarebbe un insulto alla nostra storia, ai pochi che ci credettero, ai pochissimi che ancora ci credono.

Se esistesse una “santità civile” Silvio Berlusconi dovrebbe salire all’onore degli altari della patria per aver sopportato stoicamente la più virulenta e lunga campagna di denigrazione, di distruzione sistematica, di vanificazione dell’impegno che si sia mai vista dagli albori delle democrazie. Nessuno ha esitato a gettar secchi di fango sull’Italia e sulle sue istituzioni per anni. Ed è cosi’ che oggi non c’è stupore se lo spread invece di diminuire per incanto all’atto del fatidico annuncio di dimissioni, si sia ingrossato vieppiù. Cari Italioti, siete tanto accecati dalla vostra superba asineria che non vi siete accorti che vi siete sputtanati da soli.

Adesso che la ricreazione è finita ed il professore è uscito compostamente dall’aula assatanata dove lo troveranno un Giobbe che prenda il testimone e raddrizzi azione ed opinione? E quand’anche ci sia, ed abbia voglia di immolarsi, credete davvero che con queste regole e questi cervelli alla caseina con potere di veto potrebbe riuscirci? Nel dopoguerra l’Italia era piena di gentiluomini che alla men peggio si diedero da fare per ricostruire un’immagine a pezzi: poi c’era il comunismo e majora premebant: o si ragionava o si finiva in polpette. Esisteva la scuola, la letteratura edificante, la famiglia e tante belle cose di una volta che fanno la forza di un paese. Adesso abbiamo la cravatta rosa di Fini, le sopracciglia di Casini, il fondo tinta della Marcegaglia e della Carlucci, ucci, ucci e la lingua di Di Pietro risciaccquata nel Trigno. E poichè il Cav se ne va, non abbiamo nemmeno la speranza che quegli Eco, Asor Rossi e compagnia di giro, che minacciavano di fare le valige, se ne vadano davvero. Il vecchio presidente rosso dal sangue blu lo ha ben capito: la classe non è acqua, glorioso liceo Umberto – quella splendida Napoli di allora – fu impastato cosi’, ma neanche lui riesce a disciplinare la massa accecata. Anche un Presidente della Repubblica in Italia non puo’ dire un bel nulla di chiaro: se deve spiegare che la pastiera napoletana dev’essere cotta a 200 gradi deve usare un giro di parole incomprensibile. “È noto a tutti che la pastiera è dolce del tempo di Pasqua, ma non per questo si pensi che non possa essere consumata a Natale, oppure a Ferragosto, come aggrada ad ogni forza politica, ma sarebbe opportuno, se nessuno obiettasse e se la Corte Costituzionale avallasse, fatti salvi i diritti del Parlamento, che sia cotta alla temperatura dovuta altrimenti la pasticceria potrebbe rischiare di non venderne troppe, anzi essendo immangiabili o poco mangiabili, nemmeno una.” Naturalmente, poichè ognuno è libero di cuocerla come gli pare, e pure di mettere il sale e l’olio per mobili in quella degli altri, lo spread non puo’ che peggiorare. Coi condizionali non si cantano messe: ci vogliono gli imperativi.

Se Silvio Berlusconi non fosse stato un moderato, se fosse stato come tutti i ciucci presuntuosi che inalberano le loro imbecilli apodittiche certezze, avrebbe dovuto mandare l’esercito fuori del parlamento piuttosto che offrirsi, come vittima sacrificale, a mani vuote, davanti ai veri potenti d’Occidente prendendosi la colpa. Invece lui ha sempre avuto fiducia negli Italiani, nei compagni di partito, nella ragionevolezza. Aveva, ieri, lo stesso volto del giorno in cui fu ferito a Milano: stupito ed addolorato. Uno come lui, della sana vecchia guardia d’un mondo borghese e gentile ormai disintegrato può accettare tutto, dal dileggio alla statuina, ma non può prescindere dal rapporto umano, sentimentale con i suoi sodali. Avrà ripensato a tutti i momenti di sofferenza superati in nome della speranza, a quella schiera di avanzi di prima repubblica riabilitati per mano sua, che quella mano hanno azzannato, a quelle nullità ambulanti alle quali non faceva mancare neanche il regalino sotto l’albero. Il suo popolo è con lui. Solo che lui non lo sa più. Perché da troppo tempo tra noi e lui si è messa la partitocrazia. I cattivi suggeritori hanno preso a raccontargli cosa c’era fuori del palazzo senza mostrargli più nulla.

Questa democrazia va ripensata. Non può essere arbitrio, caos, improvvisazione, mancanza di cultura, strumentalismo, opportunismo. Se quattro o cinque mentecatti presuntuosi per rubare un effimero momento di gloria possono mettere in pericolo le sorti di una nazione, se è lecito denigrare la patria per distruggere la credibilità di un uomo, se ognuno crede che tutto vada riformato tranne il suo puzzolente orticello, la libertà non esiste.

Potremmo sperare che le opposizioni lascino approvare in pace la legge di stabilità? Lo scetticismo è d’obbligo, visto che nominati, innominabili, sorridenti fumatori di sigaro con sopracciglia folte sale e pepe, distruttori di sintassi, di cultura di governo e senso dello stato ne hanno men che zero. Tale è la paura che il puffo azzurro trovi il modo di sfuggire a Gargamella, che continueranno a ragliare per assestare altri colpi letali alla credibilità italiana.

Il Cavaliere ha fatto ciò che doveva. Resterà a tenere a bada il caravanserraglio finché è necessario, giusto per non mandare l’Italia a Patrasso, nei pressi della Grecia e poi li lascerà nelle telenovela a litigar per l’osso. Non ci piace quest’Italia, non ci piace nemmeno questa Europa. Ci piaceva lui. Perché troppi si son riempiti l’ugola della fantasia al potere. Lui, con un aiutino, l’avrebbe realizzata. Peccato.


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