UN PO’ TROPPO « SARKÒ »

Il laugh-in non poteva essere più appropriato. Ma perché è stato accolto da una cortina di silenzio ? Il « nano ipercinetico », il « pupazzetto dai fili tirati da Carla » – tutto cio’ è azzeccato, e non è nemmeno tutto qui. Mistero. Ma quel che è certo, ci vorrebbe qualche Ferrara in più.

Io credo che la Francia sia un singolare paese, per molti aspetti fortemenente « dualista » – si puo’ pensare già all’ambiguo simbolismo della « rose » nel romanzo di Guillaume de Lorris e di Jean de Meung -, e che Sarkozy pertenga al settore « no » del suddetto dualistico panorama. E, dualismo nel dualismo, non bisogna dimenticare che la sua allegra politica aggressiva, che fa erroneamente pensare ad Offenbach, è stata anche l’ispiratrice prima (e forse incauta, perché egli si attendeva un’adesione meno orrenda ? Non credo affatto) dell’orribile, ignobile tragedia libica, lo spettacolo offerto dell’assassinio di Gheddafi.

Cio’ anche per dire che Giuliano Ferrara prima ha fatto benissimo, e poi si è anche tenuto in limiti ragionevoli. E noi Italiani questa volta, a piazza Farnese e altrove, ci siamo condotti saggiamente, con elegante scherno; anche il generale Tricarico ha fatto quanto ci si doveva attendere da un degno pronipote del colonnello Gabriele Pepe (che come sapete sfido’ a duello Alfonso di Lamartine per certe frasi, invero innocue, sugli Italiani del tempo).

A Roma si è trattato di ridere, e molto, per dare una adeguata risposta al risolino piuttosto con di Sarkozy. Ma come gli è venuto in testa che si possa ridere cosi’, alla maniera goliardica, di chiunque, ed in particolare di noi ? Occorre fare qualche considerazione, frettolosa, sul buon gusto del personaggio e del suo entourage prossimo e meno prossimo.

Comincio dall’entourage meno prossimo, ovvero da certi aspetti generici. La Francia è la patria indiscutibile del buon gusto, ma non solo di questo. Lo è anche del gusto cattivo, e talora del pessimo. Ad esempio, tanto per toccare un tasto allegro, prendiamo il capitolo dell’eleganza, della « moda » : di questa la Francia è (o fu) patria indiscussa. Orbene, che ne dite voi delle scarpe rigorosamente giallo-ananas sotto il completo blu scuro o nero ? E delle cravatte arancione o rosse disseminate di anatroccoli, farfalle, ranocchie ? E dei sempiterni calzini corti (stile « mezza calzetta », appunto) ? Non sono forse, queste, istituzioni immancabili del vestire tipicamente francese ? E che dire ancora di certi usi spesso affioranti nelle classi medio-basse, come quello di affibbiare al disgraziato portatore di calzoni color blu-semivioletto una giacca color carota ? Ma lasciamo perdere il modo di vestirsi (secondo me significativo, ma che puo’ essere giudicato d’importanza periferica) e veniamo ad aspetti più impegnativi. Un accento sgradevolmente pétomane circola in questi gallici usi e costumi sociali (accertatevene gironzolando tra i locali pubblici parigini : nei vari « spettacolini », si usa ridere di temi alquanto « grossi » e grevi, sempre lievemente olezzanti a cacca, come ad es. il suddetto, e doppî sensi varî che « fanno scendere il latte nelle calzette »): cosa inspiegabile, perché poi è questa stessa anima gauloise quella che ha originato le psicologiche, le sardoniche, le malinconiche, le meditabonde finezze del temperamento francese. Le frasi idiomatiche di questa nazione, che pure ha dato i natali a Flaubert, a Proust, a De l’Isle Adam, sono sorprendenti. « Péter plus haut que son xxx » vien detto correntemente per dire « sopravvalutarsi » ; si allude al profumo dello « haut de la cuisse » per dire che un formaggio è « forte »; ti si apprende che « tu est chiant, tu me fais chier », per dichiararti che mi stai infastidendo ; se qualcosa è troppo costoso, troppo caro, lo si dichiara affermando che « ça vaut la peau du xxx » ; si usa esplodere in un « merde ! » ad ogni passo ; « pisser dans le violon » vale dire che si sta perdendo tempo… ; tutto cio’ ricorre spesso nelle conversazioni, e non soltanto in quelle campestri (il primo dei suddetti « sintagmi cristallizzati », incredibili dictu, l’ho appreso da una signora parigina della classe media). Certo, c’è di mezzo l’esprit gaulois, a cui spesso si accenna con compiacimento ; c’è la pregevolissima, sboccata tradizione di Rabelais ; il parlar libero di Villon e il disegnare franco di Daumier e di tanti altri… Ma è vero anche che François Rabelais, proprio lui, trovava opportuno che la libreria didattica di Gargantua includesse testi quali la Ars honeste petandi in societate, che diamine !
In ogni caso, « questa » Francia è la più apprezzata dai turisti mezze calzette, (in particolare quelli stranieri e italici, bisogna ammetterlo).

L’ambiente più « presidenziale », per dire tutta la verità, ha toni aggravati da una addizionale dose di mezzocalzettismo italiano : quello, volgaruccio assai, della egemone Carla. Ignoro quanto c’entrino i Bruni, ma i Debenedetti, ad esempio, non è che siano finissimi. E’ roba « stile Agnelli », la cui finezza post-fascista è sempre contesta di simpatia-per-il-miliardo (di euretti). Qui basti una rispettosa ma significativa dolente nota : l’impagabile « se son rose fioriranno » sfuggito alla elegantissima signora Marisa (ignara del Roman de la rose, a quel che pare !) Signora Marisa ? No, prego : « Marysa », perché chez i Bruni, a quel che pare, una « y » è molto più elegante di una normale « i », anche se dal punto di vista grafico-linguistico è soltanto uno strafalcione piuttosto emetico. Bravo Sarkozy, complimenti, si è accasato bene, Lei. A suon di chitarra.

Si dirà : ma questo è cattivo gusto italiano, non gallico ! Si’, ma anche no, perché è stato accolto alla corte del nuovo Re Sole, e un po’ ovunque, senza fare una piega, anzi con certo entusiasmo.

Un vago sentore di copertoni d’automobile (« pneus ») tramanda anche il metodo di impadronirsi del gasolio facendo a pezzi una nazione, la Libia, e lasciando che ne consegua l’orribile episodio Gheddafi. Naturalmente non si vuol dire, qui, che tra l’orrenda mattanza e la coppia presidenziale vi sia un rapporto diretto. Ma « le stelle inclinano, non destinano », o viceversa inclinano e destinano? Politique d’abord ? Non so.

Per conto mio, penso che occorre sempre dire (e si deve dirlo, ci mancherebbe altro !) che la cultura francese è pane quotidiano di tutte le persone appena appena colte, e che è tale da costituire quasi un indispensabile lessico, un « linguaggio » per chiunque voglia parlare di cultura, europea e non europea. Dico, essa è una sorta di inevitabile « dizionario » del parlar colto : che, come si sa, oltre un certo primo limite diventa ellittico e allusivo. Voglio dire : che invece di dire o scrivere mezza pagina di paragrafi, basta dire « Baudelaire » o « Balzac », « Stendhal » o « Martin du Gard » o « Céline » per capirsi quanto occorre. Anche in negativo : « Hugo » ; « Viollet le Duc », e persino – in dimensione molto più piccola – « Eugène Sue », valgono ciascuno un intero discorsetto di « cio’ che non… » etc.

In questo vocabolario di termini comodissimi perché adoperabili « alla svelta », ora abbiamo un vocabolo in più : potremo dire « sarkozy » per dire « cio’ che non… » etc. Un vocabolo pagato un po’ caro, a dire il vero, perché in esso il rapporto qualité-prix, che sta tanto a cuore ai francesi acquirenti, risulta un po’ troppo sbilanciato a favore del secondo termine. Ma tant’è. Per esempio : il signor Tal dei Tali ha un garbo un po’ troppo « sarkozy », a paragone del quale quello forse rustico, ma generoso, di Berlusconi è chickissime ; vorremmo vedere in giro signore meno politicamente corrette e dal portamento un po’ meno « carlà ». Etc. etc.; tutti capiscono subito a quale altezza della « scala del digeribile » siamo. I risolini aggiuntivi qui ci stanno bene ; e se sono superflui è solo perché la cosa si deride da sé.


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