Lo scorpione è un animaletto interessante. A Torella, la mia casa ne ospita parecchi, di neri lucidi scorpioni, coinquilini che tutto sommato amo e coi quali convivo serenamente, determinato quale sono a neminem ledere, a non nuocere a nessuno, e tanto meno ad uccidere. (So bene che questa divisa che, se assolutizzata, porta al vegetarianismo, all’anemia ferropriva o a qualcosa di simile, fa ridere: perché vivere senza uccidere è letteralmente im-pos-si-bi-le. Ma io mi limito a « ridurre i danni ». Se debbo uccidere, come infatti debbo, ebbene cerco di uccidere poco, e rida chi vuole).
Gli entomologi sanno che dopo (certe volte anche durante) l’accoppiamento lo scorpione-femmina mangia il maschio. Questo fatto, che da bambino mi terrificava, ha fatto si’ che, ancora oggi, quando mi imbatto in uno scoprione, lo squadro con rispetto. No, non equivocate. Lo guardo con rispetto perché esso mi scopre uno degli aspetti della vita. Le nostre mogli lentamente ci mangiano? Probabilmente si’, ma peggio: ci sbraniamo tutti l’un l’altro; a volte sembra quasi che si debba fare un certo sforzo, per non eseguirla, questa… «danza dello scorpione».
E poi c’è un altro insetto che ci rivela e ribadisce come in realtà stanno le cose: la mantide religiosa. Qui la va peggio, perché è vero che la mantide mangia con gusto il proprio marito, ma poi – giusta punizione -, viene a sua volta divorata dalla numerosa prole (una trentina di piccoli delinquenti ad ogni « parto »).
Ma via, si tratta di insetti! – direte voi. Ebbene, no: i biologi sanno che anche i piccoli squali, ancor prima di nascere, si mangiano tra di loro (cainismo), i più forti i più deboli, per realizzare una sorta di selezione naturale già prima di venire al mondo.
Ho l’impressione che qualcosa di molto triste doveva usualmente accadere anche tra noi umani, migliaia di anni fa… Il cannibalismo residuo, che oggi rende orribile la realtà di alcune tribù sopravviventi non so più dove, dev’essere stato molto, molto diffuso, se ancora nel 1400, in Italia, era praticato da certi guerrieri fiorentini – sia pure in via ormai del tutto sacrale, a modo di rito propiziatorio -, come racconta la Cronaca dei Baglioni.
Ma non è questa malinconica ricerca antropologica lo scopo di questo presente scritto. Voglio indagare altrove, e cioè nelle nostre anime. Indago come segue: pensereste voi di emettere un giudizio morale negativo, di condanna, nei confronti dei poveri scorpioni, delle povere mantidi, dei tristi pescicani? Ovviamente mai più: essi non fanno che eseguire gli ordini (malinconicissimi ordini, ma tali solo secondo la nostra umana sensibilità) ad essi impartiti dalla Natura, o da qualcun altro, Demiurgo o Diavolo che sia, a noi del tutto ignoto. Noi possiamo provare un psicologico senso di freddo, meditando sugli usi e costumi, infine sui destini, di questi animali, ma non certo emettere nei loro confronti condanne morali. Non c’è colpa ad essere come da qualche parte è stato deciso che si sia.
Cento volte più forte e ben più rivoltante la stessa situazione di orrore, di desolazione, ma in definitiva non di condanna morale, si è prodotta in me, assistendo in TV all’orrendo assassinio di Gheddafi. Si’: assassinio. Tutto vi è stato orribile: ovviamente il fatto in sé, ma poi i particolari di tripudio degli assassini assiepati all’intorno, l’insistenza nel tormentare il cadavere, gli spari di giubilo, le grida di estrema sofferenza dell’assassinato e di osceno tripudio degli esecutori e degli astanti. E non dimentichiamo, poi, l’insistenza insensata delle telecamere di tutto il mondo, che hanno fatto il possibile per tradurre il fatto di sangue in un spettacolo certo adatto a questo pubblico di Sarkozisti e di Obamoidi, di mezze calzette, di impiegati statali, di commercianti, di sfaccendati e di altri umani spesso privi di sensibilità che noi tutti siamo diventati o stiamo diventando. Alain Finkielkraut, di cui la volta scorsa vi ho parlato, ha dimenticato questo particolare che completa il suo non lusinghiero quadro: l’incivilimento ci migliora, si’, ma lo fa spingendo giù, nel fondo di noi stessi, nel baratro delle nostre anime, cio’ che fummo e che quindi copertamente siamo. Io ho constatato ancora una volta, come già avvenne nei casi di Saddam e in dieci o cento altri, quale sia il carattere, la nascosta datità della mia, e della nostra, natura umana. Noi uomini siamo nascostamente fatti cosi’,sotto la provvidenziale vernice di presentabilità che ci abbellisce (?) e ci rende (abbastanza) sopportabili agli occhi di noi stessi e di quei noi stessi che sono « gli altri ». Piazzale Loreto docet. E siamo talmente cosi’, che spesso gli spettacoli che diamo di noi agli altri « noi », è come se inibissero il giudizio morale, il necessario giudizio morale. Siamo nascostamente talmente fatti cosi’, che, simili a scorpioni, a mantidi, a squallidi squali, inibiamo il giudizio morale. Come giudicare, come applicare il giudizio morale di « buono » o « cattivo » a cio’ che si limita ad essere quel che è ? La natura è insensibile al dolore del singolo. Cio’ sposta forse il giudizio? Non lo sappiamo, e comunque questo è un altro discorso.
Non mi vergogno di dirvi la fine di questa mia piccola storia, o meditazione, fatta di insopportabile disgusto di me stesso e di noi. Di noi? Si’, di noi, ma esclusi gli uomini di buon cuore. Ho scoperto di nuovo, proprio in questi giorni, che solo la bontà puo’ redimere me, voi, tutto. Per me, il tremendo caso dell’assassinio di Gheddafi non è stato che l’ultimo, più recente capitolo di un processo in corso. Dovete sapere che io sono munito (o forse « affetto» ?) da un forte sentimento religioso. Me ne sono andato in una chiesa qui vicina, monumento di silente bellezza, e mi sono inginocchiato a pregare. « Dio è grande », comunque lo si chiami. Non ridete; oppure ridete: fa lo stesso.
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