Sembra che Berlusconi in questo mese di ottobre vada mettendo a segno parecchi punti a suo favore. La “fiducia” di pochi giorni fa ha finito col diventare un notevole successo. Le opposizioni stringevano tra le mani una bottiglia, lo champagne della vittoria, che poi è sgusciata via coma fa la saponetta nella vasca da bagno. Immaginare i ceffi contorti delle Sinistre è talmente agevole, che – come dicono i fisici – si puo’ parlare di “obiettività di secondo grado”, quella che è certa e sicura anche se manca la “prova di san Tommaso”. Immaginate ad es. la faccia di donn’Eugenio ‘a Macchietta (alias Eugenio Scalfari), scrittore nullo e filosofo fallito in cerca di consolazioni politiche. E che dire dei lineamenti del presidente Scalfaro, costretto a non digrignare i denti da causa di forza maggiore? E di Bersani, l’uomo degli argumenta ad pudorem (ricordate: “ma andiamo, ragazzi…!”)? E di Franceschini, che vedeva vicino l’avvento del suo dream, la “Repubblica degli Incazzati Neri Permanenti”? E di D’Alema, l’ Intelligente del giorno dopo, che sibila: “l’avevo detto io!” ogni qual volta accade il contrario di quel che aveva detto? E di Fini, che dovrà ancora accontentarsi di coltivare la risata sardonica a vanvera? E, tanto per dare uno sguardo anche nelle retrovie, d’un Della Valle, che continua a fare o guappo ‘e cartone ovvero quello che s’indigna e pontifica standosene pero’ sotto le gonne (cinesi) di mammà? Etc.
Secondo me Berlusconi ha “tenuto botta” in maniera perfetta. Non si è scomposto più di tanto, e il discorso che ha fatto prima della fiducia ha avuto sostanza e tono degni di un autentico statista. E’ la caratteristica dell’uomo, una caratteristica essenziale che qui sottolineo: durezza a tempo ed a luogo. Scherza, si concede, getta le braccia al collo, somministra barzellette tonte; ma al momento opportuno è come se si levasse la giacca e mostrasse bicipiti da lottatore. Questa capacità di cambiare pentagramma e musica al momento giusto è comune a tutti gli statesmen, gli uomini di Stato di cui si abbia notizia. Sono i tiranni – da baraccone, o tali “sul serio” – ad avere carattere e presenza monocordi: Mussolini, Stalin, Hitler. E i politicians di mezza tacca: la Bindi, il Franceschini, Veltroni,… sempre identici a se stessi. Un temperamento sempre identico, io credo, è il carattere tipico di coloro che non hanno carattere.
E’ dunque opportuno porsi, ancora una volta, l’attuale grande quesito italiano: “Se non lui, chi?” In effetti, è proprio lui Berlusconi, non si sa se per caso o per merito, l’uomo adatto che si è trovato al posto giusto nel momento giusto. Diciamolo chiaro e tondo: ci voleva proprio uno come lui, uno che apre l’ombrello e continua a tener duro senza spostarsi d’una virgola, sotto lo scroscio costante dell’uragano di querele, denunce, ingiunzioni, incriminazioni, intercettazioni, messo in opera da quello stuolo di persone intelligenti e utili al Paese che sono i nostri (30%, dicono) magistrati.
Si puo’ ormai affermarlo: la magistratura italiana ha dato ampia prova di saper fare egregiamente il proprio mestiere. In vent’anni di sforzi e di premiti, non è riuscita a espellere l’uovo, dico a mettere in galera l’uomo. Centinaia di migliaia di euro al vento… Ma bravi. Come diceva Antonio Villani dei professori che trasceglieva per il suo Istituto Universitario Benincasa: “Ottima professionalità, ottima professionalità!”
Torno al clima di questo mezzo Ottobre. Sullo sfondo del qui sopra descritto sfondone antiberlusconiano, ecco apparire la confortante schiera degli Indignatos con il solito non richiesto supplemento dei Black bloc. Ancora una volta, eterogenesi dei fini: “il male finisce col generare il bene”, e intelligenti pauca. Qui le teorie sono state e sono molte: le sinistre estreme protestano contro i Black perché, sostengono, essi hanno stornato l’attenzione dal vero oggetto della manifestazione: il costante aumento del malessere sociale. Questo aspetto è manifestamente vero: disoccupazione. Ma restano rilievi che stupiscono. Napoli, ad esempio, è una delle città dove più grave si manifesta la mancanza di lavoro. Eppure io, che a Napoli ho molti amici appunto tra le classi più esposte, conosco ben tre casi di giovani che non solo hanno un lavoro, ma che anzi, per meglio arrotondare, ne fanno altri due oltre il lavoro principale: ad esempio una ragazza, amica di mia figlia, oltre a praticare nello studio di un avvocato (è laureata in legge), fa la baby-sitter e anche, negli intervalli, la postina. Di rimando, tuttavia, conosco in città varî casi di senza-lavoro veri: per la precisione, anche questa volta tre. Si tratta di figli di persone facoltose, che passano il tempo vuoi a Ibiza, ad Amsterdam etc. andata e ritorno (droga); vuoi in giro per le città italiane ed europee “a far danni”, talora danni da codice penale, come l’emissione di assegni a vuoto e firma di contratti falsi; vuoi innanzi al computer, comodamente assisi onde chattare tutto il santo giorno e successiva santa notte (chilometri di “Ciaoooo” – “Mi piace” – “Fico!!!!!!!!” – “Non so xché”, “Kissà” etc. etc.) Quindi: variegato panorama sia del lavoro che dei senza lavoro.
Un’altra teoria dice che in sostanza anche i Black bloc hanno ragione, perché “la rabbia è tanta e non se puo’ più”. Questa teoria, evidentemente sconnessa (il legame causa-effetto in essa è soltanto emotivo), presenta anche varietà meno criminali. Un giustificazionismo, in parte rientrato, è quello del nostro Draghi, e ce ne dispiace perché lo ritenevamo persona di molto più consumata acribia. Sarà in grado di pilotare con la dovuta maestrίa la grana e le grane dell’Europa tutta? A mio avviso è invece giusto quel che ha detto Polito a “Porta a porta”: “un diritto alla rabbia non esiste”.
Un rilievo molto interessante è il seguente: si constata che queste manifestazioni, sollevamenti e rivolte, almeno dagli anni ’70 a questa parte, hanno si’ vigenza “di massa”, diciamo cosi’ “popolare” -, ma c’è in esse tutte un permanente, persistente retrogusto di dottrinarismo, qualche cosa “che viene dall’alto”: in breve, il sospetto e più del sospetto che all’origine vi sia, o vi sia stata la spinta degli intellettuali. E, poiché ormai dire “intellettuali” significa dire organici, ovvero disorientati “intellettuali di sinistra”, in conclusione puo’ dirsi: si avverte una radice di sinistra, per cui le malefatte della “piazza” ce l’hanno sulla coscienza prevalentemente i partiti grandi e piccoli della sinistra, vivai di “organici”. Responsabilità grave, ma astutamente obliqua, ovvero indiretta: jetta ‘a pretella annascunn’a manella dicono da noi, scaglia la pietra e nascondi la mano. E magari deplora.
Innegabilmente le Sinistre hanno sulla coscienza, per precise gramsciane ragioni, e no le demos vueltas come dicono gli Spagnoli, quello che a nostro avviso è il motivo regio, il vero motivo, la vera spiegazione di quanto accadde nell’Italia dal 1968 in poi, a Genova e infine ad oggi. Ed è una spiegazione straordinariamente chiara e semplice, che dà ragione anche del carattere peculiare che questi impeti rivoluzionari assunsero ed assumono solo qui da noi, in Italia.
La spiegazione è la seguente: la mai intermessa denigrazione del liberalismo; la continua polemica “antifascista” (quasi il fascismo fosse un endemismo sempre in agguato, e lo fosse lui solo); la continua retorica sfiducia nei “valori”, considerati dalle teorie di sinistra strumenti per truffare le classi deboli; e insomma la interessata diffusione dell’idea che tutto, tutto nasconda in sé l’odio di classe e la costante spoliazione dei deboli… -, tutto cio’ ha portato a negare la necessaria disinzione tra i due concetti di “forza” e di “violenza”.
In questa interessata confusione, che menoma sia il sentire che il pensare, la magistratura ha avuto ed ha una grossa parte di responsabilità. Uno stato degno del nome deve essere forte: questo lo si sa ovunque, tranne che in Italia, dove lo stato forte sarebbe immediatamente definito stato violento, stato fascista. E’ questa nefasta identificazione tra forza e violenza il segreto, direi addirittura l’unico segreto, della differenza e dello svantaggio italiani. In Italia, unico paese d’Europa e, immagino, del mondo, lo Stato non puo’ usare la forza.
L’ha detto chiaro e tondo Aznar a “Ballarό”, anche se l’ha detto con il tatto ispanico e la gentilezza del gentiluomo: il problema dell’Italia non è Berlusconi. Berlusconi – ha detto chiaro e tondo Aznar – ha tutte le capacità e doti necessarie al caso; cio’ che manca, è la forza indispensabile ad attuare le necessarie riforme. Tutto qui. Si esamini la situazione, del resto denunciata dallo stesso Berlusconi (“qui il presidente del Consiglio non ha la possibilità di decidere e di fare un bel nulla”). Egli ha promesso, ma ogni volta la onnipotente e onnipresente zavorra dell’italico (“democratico”) vizio di discutere a vanvera si è messa in mezzo; la macchinosa realtà dei partiti ha puntato i piedi. Ogni qual volta si è prospettato un qualcosa, ecco subito la dichiarazione contraria. Spaccare il capello in quattro, e stop! Ponte sullo Stretto? No. Via le Province? No. Ridurre il numero dei deputati e dei senatori? No. Semplificare i vari titoli della tassazione? No. Completare la ferrovia transeuropea? No Tav! Energia nucleare? No. Incineritori? No! Imprigionare i responsabili di questo o di quel crimine, di questo o quell’attentato alle nostre proprietà, alle nostre finanze, alla nostra sicurezza, alla nostra vita? No, no e no (Sono i no della nostra laboriosa, utile magistratura: e se poi qualcuno “riesce” ad andare in galera, ecco che dopo tre giorni viene rimandato a casa con le debite scuse, rimborso spese e mazzo di fiori.
Ma questo gioco finirà col diventare pericoloso, perché se si continua cosi’, si finirà ad esempio col pigliare a calci nel sedere anche il Tabacci, a rompere a randellate anche la zucca del nostro Presidente della Repubblica. Prospettive orribili, che Dio ne scampi! No, no; tutto, ma non questo!
Si puo’ lavorare cosi’, tra tanti bastoni messi ad arte tra le ruote, in un Paese già tristemente noto, e azzoppato, per la sempiterna tiritera delle croniche “tavole rotonde”, discussioni, analisi ed esami “democraticamente condotti”, etc., che posticipano e nullificano ogni provvedimento, ogni impeto o speranza di cambiamento? Proprio qui! Nel paese dei troppi galli che pretendono di fare chicchirichi’, mancavano i “no” sistematici dei nostri oppositivi capponi.
Il bello è che questa vergognosa situazione viene poi definita “debolezza del Parlamento, inefficienza del Presidente”. Prima il danno, poi la beffa. Dunque, è utile tenerlo a mente: in uno Stato liberale degno del nome, la forza non è violenza. E’ precisamente a causa di questa esiziale, voluta confusione tra i due termini, che stiamo andando tutti a carte quarantotto. Questa, non altra, la misteriosa “differenza” di noi Italiani.
Si tratta d’un riflesso generato dal “passato ventennio”, e utilmente perpetuato dalle Sinistre. Come ogni buon liberale già sapeva e prevedeva, il fascismo ha finito col dare una mano alle sinistre.
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