Mettiamo che lo dica. Perché vorrebbe dirlo, se solo non lo guidasse la responsabilità che ebbe la dabbenaggine di assumersi, tanti anni fa. Ma mettiamo che ora, la misura è colma, la noia avanza, i polli in festa, la giostra parlamentare fuori controllo, lo dica: “mi avete rotto le scatole, ciao ciao bambini.”
Subitaneamente la borsa schizzerebbe verso l’alto, ormai non c’è bisogno di essere del ramo, lo sappiamo. Corradino Mineo camminerebbe sull’acqua per qualche metro, Fini si affaccerebbe dal balcone della casa di Montecarlo con la sciura Tulliani ex-Gaucci salutando i monegaschi distratti, Scajola pure si affaccerebbe dalla casa di Roma, ma a sua insaputa. Nelle piazze ci sarebbe una gran festa viola e De Capitani officerebbe il Sabbah. E poi?
La fronda dei morti avanza. Gongolano, nella notte nera, non sanno che al primo raggio di sole saranno ridotti in polvere. Avessero mai in questi diciassette lunghi anni, dato un flebile cenno di avere minerva. In testa avevano una cosa sola: liberarsi di quell’atipico buontempone che voleva rompere tutte le dannate catene di Sant’Antonio che ricattano l’Italia. Il bipolarismo piace agli elettori, non agli eletti. Il bipolarismo è contro le parrocchiette e le spartizioni: va abbattuto. La riforma della giustizia non s’ha da fare. Fa comodo a tutti l’andazzo: ai politici furbi, che se la cavano sempre amoreggiando con le procure e contrattando impunità contro tradimento, ai magistrati che continuano a fare il bello ed il cattivo tempo, super-privilegiati, unti, presuntuosi e pretestuosi, ai criminali che se la spassano indisturbati, e a molti cittadini. Causa civile? Campa cavallo. Penale? Uguale. Per non parlare degli avvocati, nero a tutta birra ed incarichi eterni. Liberalizzazioni? E perché? Liberalizzare vuol dire dare possibilità, cedere quote di potere a qualcun altro, non se ne parla. Contrattazione diversificata? E perché? I finti industriali da salotto dal connubio con i sindacati ricavano gloria e profitti. Mica lavorano loro. Lavorano rumeni, cinesi, neri, e loro a straparlare con le sciarpette firmate e i braccialetti. Il popolo dei privilegiati è maggioritario. Include insegnanti, sovrintendenti, giornalisti, confindustriali, ordini professionali, uscieri, segretari comunali, portaborse, finte vittime della mafia, pentiti da operetta. L’elenco è troppo lungo, ma ci siamo capiti. Peggiori, molto peggiori dei giacobini, che se non altro erano mossi da fanatismo ideologico, non da puro strumentalismo. Questa massa becera che brama il caos per restare in sella, che non conosce scrupoli e che aborre la cultura e la meritocrazia non vuole che ci sia Italia.
L’avranno vinta. Certo. Ma quando finalmente avranno assaltato il palazzo e abbattuto “il tiranno”, cosa accadrà? C’è una minoranza silenziosa, sparsa in ogni contrada dello stivale, di brava gente che lavora di giorno, di notte, in silenzio, che non conosce malattia, al Nord ed al Sud, costretta a pagare il pizzo, a fare il nero-per-forza e che produce ricchezza e rispettabilità. Uomini senza ribalta televisiva, donne con le mani screpolate, bravi ragazzi. Gente di cui Marcegaglia, Montezemolo, Casini, Scajola, non conoscono l’esistenza asserragliati nei loro salotti, sulle poltrone di velluto. “Garzoni di bottega”, divenuti epiteto per offendere i gentiluomini. Da De Amicis a Della Valle ne abbiamo fatti di passi indietro, verso il precipizio. Loro stringevano la mano al Cav, ultima speranza. Che faranno questa volta? Assentiranno mogi, oppure prenderanno i martelli, le scope, le colle, la pittura, i bastoni dirigendosi composti verso Montecitorio? Sono loro che tengono in piedi l’Italia, mica questi tamarri dei vips. Solo che non lo sanno. Lo sapeva il Cav che in fondo era uno di loro, virtù e vizi, “il teatrino” lo chiamava. Scomparso lui, resteranno le marionette. Povera Italia.
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