Tempo fa, aggirandomi tra le strade del lato sinistro della Stazione Termini, a Roma, ebbi una specie di sinistra premonizione. Come è noto, il quartiere è invaso da turbe di commercianti cinesi, turbe che definire orrende è bello. Regna ovunque una sorta di palpabile prepotenza, un clima violento, insopportabilmente sozzo e rozzo. Le “commesse” dei “lumpenmagazzini” che si aprono ovunque sul marciapiedi polveroso, attendono forse solo di morire per essere subito disciplinatamente sostituite da signorinelle dal muso quadro, in tutto ad esse simili, sfuggenti ad ogni cautela di anagrafica identificazione.
Questa invasione cinese è l’ultima sonora smentita dell’idea sette-ottocentesca, piuttosto stolida, per la quale le concrete ragioni dell’economia, sostituendosi alle chiacchiere della politica, avrebbero finalmente impresso alla storia mondiale un andamento serio, ragionevole, equo, adeguato alle necessità di fatto del consorzio umano… L’economia oggi, in clima di consumismo, scopertamente mette a noi innanzi non più e non mai esigenze umane “concrete”, ma scadenti parodie di gadgets. E i Cinesi non se lo son fatto dire due volte.
Comportamenti comunque passabili, se non umanamente giusti? Ma no. Del resto, era stata da gran tempo eliminata dalla teoria economica ogni illusione e prospettiva ottimistica (vedi il “Laissez-faire”; la “mano invisibile” di Adam Smith; La favola delle api di Bernardo di Mandeville: “i vizi privati sono le virtu’ pubbliche”; l’uomo predisposto alla “armonia” perché dotato dell’organo del Senso morale, secondo Shaftesbury; il “Regno della libertà”, etc. etc.)
I mercanti cinesi! La nuova, sopravveniente mercificazione generale sarà probabilmente la legge del new brave World. Parafrasando von Clausewitz (“La guerra è la politica proseguita con altri mezzi”), puo’ dirsi che anche l’economia è un modo di far la guerra “con altri mezzi”, ma più energico e spiccio.
Passando dall’astratta teoria (o, meglio, dalle chiacchiere cretine) ai fatti concreti, e semplificando: il quartiere Termini di Roma ci manda un messaggio eloquente. Il panorama generale presentato dalla situazione mondiale sta sempre più meritando un nome riassuntivo. Questo nome probabilmente sarà; l’epoca della Cina. Cio’ è molto probabile, ed è inaspettato, se si pensa che parecchi decenni fa, quando Ferdinand Céline, riprendendo inconsapevolmente un vecchio timore di Adamo Smith, profetizzo’ l’imminenza del “pericolo giallo”, si penso’ trattarsi della sua ennesima esagerazione a carattere esclusivamente letterario.
(Tra parentesi: noi Italiani dovremmo aver finalmente imparato, una buona volta, che le intuizioni letterarie non sono affatto fanfaluche insensate. Si prenda il caso, clamoroso, del Processo di Kafka, che fino a uno o due decenni fa sembrava altro non essere che una gratuita esercitazione di pura fantasia. Oggi sappiamo invece, per ripetute constatazioni quortidianamente fatte quasi “sulla nostra pelle”, che imprigionare e possibilmente condannare a morte – o almeno alla morte civile – un innocente, è una pratica tribunalizia assai usitata, i cui misfatti quasi giornalmente adornano le pagine di tutti i nostri quotidiani. Kafka ormai è tra noi).
L’attuale pesante preminenza della Cina sul piano mondiale è ormai un fatto, ed è la più evidente riprova di quanto accennavamo all’inizio. Vuoi per facilità e quantità di produzione (produzione assai scadente, ma produzione), vuoi per peso demografico, la Cina è la più evidente portatrice mondiale di quella forza che è costituita da una economia in forte espansione. Ed anche qui, come sempre, spuntano profonde motivazioni di ordine culturale.
Si paragoni la Cina all’India, altro subcontinente oggi emergente sul piano mondiale. Quest’ultima è una terra di cultura ricca e polimorfa, una cultura per alcuni senz’altro degna di rivaleggiare con la nostra cultura d’Occidente: e cio’ al punto, che molta parte di questa nostra cultura si fa ragionevolmente provenire dalle tradizioni filosofiche e religiose indiane. Questo è dimostrato dal fatto che lungo i secoli l’India ha continuato a dialogare con l’Occidente, ed ancora oggi tra noi Occidentali vi sono spiriti che ricorrono alla filosofia indiana ed alle religioni indiane per arricchire o chiarire, talora per identificare gli etimi culturali dei nostri punti di vista culturali, delle nostre fedi, filosofie, vedute e convinzioni.
La cultura cinese invece, anch’essa ovviamente assai interessante, ha tuttavia sempre mostrato un profilo ben diverso. Fin dall’inizio con Marco Polo, e ancora quasi cinque secoli dopo con Matteo Ripa, e poi ripetutamente, mostro’ di costituire il serbatoio culturale del totalmente diverso. Vi prevalse un costante carattere praticistico, l’ innegabile tendenza verso una generale scienza del vivere,una sorta di “galateo” dello spirito o, meglio, una vera e propria sofrologia, o arte di indirizzare il pensiero al retto governo del corpo e della mente. Confucio insegna a pensare per vivere: la sua è una specie di ars vivendi eticamente arricchita, un sapiente “modo di condursi”. Questa mentalità raffinatamente etica è costante, ininterrotta, da 2500 anni e più, dal Tao-te-king e da Laotse ad oggi. Persino il buddismo, nella interpretazione cinese Chàn, acquisisce caratteri pragmatistici ad esso altrimenti estranei. Il Feng shui; lo Zen in versione cinese, etc., ribadiscono ancora e sempre questa generale tendenza. Risolvere una contesa di guerra mediante una gara a chi serve più graziosamente il thè è cosa ammirevole, ed a ragione il sinologo Marcel Granet cita fatti del genere per documentare questa singolare etica dell’utile rivestito di gentilezza. Perché occorre precisare: l’etica puo’ essere appunto una forma gentile dell’utile, e la Cina sembra esser stata ammestrata lungo i millenni da una sorta di immortali numi tutelari chiamati Baldassarre Castiglione e Baltasar Gracián.
In conclusione, il detto di Nietzsche (“la vita non è un argomento della verità”) non avrebbe molto successo in Cina -, mentre ne avrebbe, e come, presso gli Indiani. Per tali motivi la tradizione cinese, alla quale spesso sembra estranea una autonoma “curiosità” intellettuale, è restata alla periferia della nostra tradizione occidentale, che ben al contrario, da Platone in poi, pone la disinteressata curiosità intellettuale al primo posto ed alla radice degli interessi della mente. Questo naturalmente non è un giudizio negativo, è una constatazione. Anche perché bisogna fare attenzione al fatto che questo plurimillenario utilitarismo cinese non coincise mai con le rozze componenti negative del materialismo.
Tutto questo, alla prima, puo’ stupirci, perché noi Occidentali stiamo vivendo una trasformazione del tutto diversa: il nostro utilitarismo è diventato irreparabilmente materialismo puro, fatto di dilagante egoismo, volgarità a tutti i livelli della piramide sociale, perdita del senso dell’ umana qualità. Di giorno in giorno, il processo si aggrava e quasi prende alla gola: noi Europei, e noi Italiani in particolare, sentiamo quasi di non essere più in grado di presentare uno spettacolo decentemente e civilmente umano. La nostra scuola decade; i nostri atenei dimenticano sempre più, di giorno in giorno, l’importante avvertimento che Silvio Spaventa diede in un suo discorso parlamentare: l’università ha ben due missioni, non soltanto una. Certo, essa è a servizio della società, mettendo a disposizione di questa gli “intellettuali” ed i “professionisti” utili al suo sviluppo. Ma è anche a servizio dell’individuo, perché ha anche un altro compito, forse più importante: costruire non solo cittadini, ma persone colte, munite di buona qualità interiore. E’ lo stesso avvertimento che dava Massimo D’Azeglio quando sentenziava: la scuola deve produrre non solo cittadini, ma uomini. Ebbene, se e quanto la nostra scuola e le nostre università abbiano soddisfatto a queste esigenze minime di liberale, disinteressata civiltà, è sotto gli occhi di tutti. Il nuovo Europeo medio è di qualità assai dubbia; il nuovo Italiano medio è un vero disastro.
Spettacolo avvilente diamo anche negli altri aspetti rilevanti della vita in comune: mass media ed editoria scadono di giorno in giorno verso l’informazione grettamente praticistica, verso la pornografia e, nei casi migliori (?), verso… la gastronomia (ormai impuzzata da tanfi orientaleggianti).
Tanfo di cattiva cucina anche presso i nostri tribunali, che perdono il profumo e il senso della giustizia sostituendoli con i cattivi odori dell’interesse di parte. Il naso del nostro Capo dello Stato forse avverte l’inconfondibile, fetente aroma dello sconquasso giudiziario, ma il suo detentore non sembra disporre del coraggio necessario a raddrizzare il Narrenschiff, voglio dire la periclitante barca della nostra magistratura. Probabilmente il suo passato comunista ha reso un po’ troppo flessibile la sua colonna vertebrale. La “pazza” politica si è ormai comodamente assisa sul seggio che spetterebbe all’equità, con integrale scomparsa di quel senso della “terzietà” dell’etica indispensabile al vivere civile. “Turatevi il naso, e poi… turatevelo”, balbetterebbe il Montanelli, anche lui disorientato.
Dite che è in vista un declino degli Stati Uniti? Se cio’ fosse, o sarà, andrebbe o andrà anche peggio: l’ egemonia degli Stati Uniti non è mai stata simile, almeno nelle forme, al “quia nominor leo” della antica favola: “voglio e faccio cosi’ perché mi chiamo leone”. Gli Americani, voi dite ancora, erano e sono commercianti, mercanti, materialisti per antonomasia, e per giunta anche ipocriti? Certo, ma, come dice La Bruyère, l’ipocrisia è un omaggio obliquo alla virtu’. Se le cose continueranno a questo modo, forse verrà giorno in cui rimpiangeremo l’ipocrita supremazia americana. I Cinesi della Stazione Termini non sono ipocriti, sono brutali -, punto e basta.
In ogni caso, da noi continua ad imperare il vuoto “buonismo” imposto da un maliteso collettivismo democratico. Buonismo che consiste, alla Veltroni, nella lividamente invidiosa coltivazione di cattivi sentimenti travestiti con finti, melensi sorrisi. Sotto le vuote chiacchiere dell’attuale multitudinaria piccola borghesia, spunta la legge fondamentale dell’Universo, enunciata in forma classicamente scultorea da Anassimandro, e poi in forma esplicita da Hobbes, e infine da Darwin: la legge della dura sopravvivenza, la concretissima realtà del ciclo biologico, per la quale ogni essere vivente, per vivere, deve cibarsi di materiale organico e dunque divorare un altro vivente. E’ la legge che spunta addirittura senza veli in alcune specie animali, e che certi biologi chiariveggenti, ovvero pessimisti, chiamano, se non erro, cainismo. Stiamo parlando solo di animali? Ma no. La storia degli uomini, avvertiva Walter Benjamin, fu e resta tale finché disobbedi’ e disobbedisce (o, almeno, finge di disobbedire) alla dura legge biologica (“l’uomo civile – dice quasi letteralmente Benjamin – è tale perché avverte la vergogna della propria natura”). Stiamo dunque parlando proprio di uomini, che dovrebbero disobbedire alla imperante universale animalità. Quando si dice che essere uomini è difficile…!
Bene. Si provi ora ad immaginare che cosa accadrà quando la Cina, predisposta dalla sua millenaria storia ad una visione e valutazione praticistica della vita, abbandonerà ogni raffinatezza e – bando alle chiacchiere! – passerà anch’essa, come è prevedibile, ad un utilitarismo non più “poetico”, ma brutale e diretto, come il nostro. Sei o otto miliardi di esseri umani lasciano prevedere, d’altronde, che difficilmente non prevarrà il peggio. Tra gli stracci appesi a precarie stampelle, sotto gli sguardi criminali delle muscolose “guardie” del mercato cinese, ho sentito sulla pelle un brivido. Sembra di avvertire il crollo della qualità umana del nostro umano consorzio. O forse sto esagerando?
Ho cercato, con gli occhi della disperazione, tra le sciorinate mercanzie parodianti i peggiori prodotti del nostro Occidente, qualcosa di non strettamente utilitario, qualcosa di dissennatamente “umano”… e si’, qualcosa ho trovato. Ho trovato qualcosa di “inutile”…, ma si trattava dell’ utilità dell’inutile (forma che esiste, anche se sembra un ossimoro): quella triste, macabra utilità costituita dal superfluo, che ormai prevale e popola i mercati dell’intero universo: camiciole di finto lino, migliaia di multicolori calzoni e mutandine da donna con apposite finestrelle porno, calze traforate, slip d’ogni foggia, scarpe inutilizzabili (finto cuoio, materiali addirittura ustionanti) ma alla moda per altezza smisurata di comici tacchi, profumi dal nauseante olezzo da “casa chiusa”, creme di bellezza di quart’ordine, cosmesi di pessimo gusto e (dicono) dannosissima alla salute, ciglia finte, lacche per unghie azzurre, blu, marron scuro, nere (è questo lo “stile donna-cadavere-in-decomposizione”, oggi dilagante), … Ecco, mi riconosco: siamo noi, proprio noi, rimandati indietro, a suon di baiocchi, dagli astuti Cinesi. E mi sono detto: si’, “la Cina… la Cina è vicina”! Sta imparando da noi, e ci rivende a caro prezzo le nostre lezioni di vita, le nostre carabattole e scempiaggini assortite. Da autentici fessi, ricompriamo quel che vendemmo, e che ora ci meritiamo. “Cosi’ impariamo!” – è proprio il caso di dire.
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