Lo sputtanamento mediatico del Cav, mediante magistratura, ha raggiunto dei livelli inaccettabili anche per un Paese da terzo mondo. Per la celebre intercettazione di Fassino «Ma allora abbiamo una banca?» sono finiti nei guai Paolo Berlusconi, Il Giornale, Maurizio Belpietro, l’imprenditore Fabrizio Favata (già condannato a 2 anni e 4 mesi) ed è stata disposta pure l’imputazione coatta del Premier. Questo per vari e graduati presunti reati, tra i quali spicca la rivelazione del segreto d’ufficio in quanto detta intercettazione, quando venne pubblicata da Il Giornale, non era ancora a disposizione delle parti non essendo nemmeno stata trascritta.
Vicenda per alcuni aspetti analoga ad un’altra intercettazione, questa volta a danno del Premier, che ha campeggiato per un paio di giorni sulle prime pagine di ogni quotidiano: “Lavitola, non tornare”. Analoga perché pure questo stralcio di telefonata era finito sui quotidiani al 9 di settembre, dopo essere stata pubblicata da L’Espresso, ben prima venisse trascritta. Accortosi della gaffe, in un intervista su Il Mattino, Giovandomenico Lepore confermava con noncuranza l’esistenza della telefonata e che se non era ancora stata trascritta lo sarebbe stata presto. Cosa puntualmente avvenuta. Al di là del fatto che la trascrizione completa fornisce una lettura ben diversa dai voli pindarici immaginati da La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e varia stampa “veramente libera e democratica”, ma il reato, ovvero la rivelazione del segreto d’ufficio senza che l’intercettazione fosse nemmeno a disposizione delle parti, non sarebbe forse lo stesso? Perché quindi, da una parte, si assiste addirittura all’inflessibilità di una imputazione coatta impugnata contro la richiesta d’archiviazione del Gip e, dall’altra, solo all’apertura formale di un fascicolo cui, siamo certi, nessuno si premurerà mai di dare veramente corso d’indagine?
Non solo, ma rimane apertissimo l’interrogativo posto da Osvaldo Napoli su come «i pm potevano avere il numero di cellulare di Lavitola avendo egli un’utenza nuova e non intercettabile? Quindi i pm stavano intercettando Lavitola oppure stavano intercettando, senza autorizzazione del Parlamento, l’utenza telefonica del premier?»
Domande che, siamo certi, non otterranno risposta alcuna, oppure queste giungeranno talmente in là nel tempo da risultare perfettamente inutili. Nel frattempo non c’è donna avvicinatasi al Premier che non si ritrovi bollata con lettera scarlatta della prostituta, e su questo bisognerebbe aprire un capitolo a parte. Perché in uno stato di diritto, del corpo, del proprio corpo, ognuno deve poter farne quel che meglio crede e l’indignazione che si vuole sollevare su presunti immorali comportamenti del premier è semplicemente ributtante. La cessione di favori sessuali in cambio di denaro, mantenimenti o altri benefici materiali è vecchia quanto il mondo. È — a non voler essere scioccamente falsi puritani — il mestiere più antico e nessuna legge mai riuscirà non solo a sradicarlo, ma neanche a limitarlo. Non si vede, quindi, perché non si elimini questa immane ipocrisia legalizzando la prostituzione una volta per tutte. Non si vuole fare un’apologia del meretricio, ma si tratta semplicemente di prendere atto dello status quo, senza falsi perbenismi.
Il moralismo strumentale, usato per distruggere l’immagine pubblica di un uomo, è un abominio. E lo è soprattutto perché alimentato da una magistratura che ormai ha perso ogni contatto con la funzione principe che dovrebbe ispirarla: la Giustizia. Che giustizia, infatti, vi può essere nello sbattere alla gogna un individuo per comportamenti privati? Nessuna, è solo l’opera di piccoli burocrati che si nascondono nelle pieghe di leggi, leggine e cavilli che nulla hanno a che fare con la ricerca della verità e dell’equità.
Una vicenda talmente nauseabonda – camuffata da atto dovuto a tutela del Premier, parte lesa (sic!) – da far passare in secondo piano altri preoccupanti aspetti. Infatti delle 100mila (100.000!) intercettazioni raccolte (beh, ma le più ignobili di tutta la messe erano queste? Mettendo sotto controllo la parrocchia del Gesù Divino Operaio probabilmente si potrebbe sentire ben di peggio), quante di queste riguarderanno, invece, vicende di carattere prettamente politico ed altri più delicati aspetti che potrebbero toccare la sicurezza nazionale? Molte, immaginiamo, data la funzione istituzionale dell’intercettato. Vista l’assoluta incapacità delle procure di difendere nell’opportuna segretezza quanto ascoltato, chi potrebbe garantire che alcune di queste conversazioni non finiscano sulle scrivanie di qualche segreteria politica di partiti di opposte fazioni o prendano altre, chissà quali e più inquietanti strade?
Tutto ciò nella totale impotenza del ministro della Giustizia e con l’assordante – quindi complice – silenzio del Csm e del suo massimo esponente: il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
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