FORCONI 2.0


A differenza di altre rivoluzioni le varie primavere arabe non hanno alcun ideale a guida delle masse. In nessuna di queste c’è un leader ben definito che si sia contrapposto al potere traballante in essere o appena caduto.

Una delle molle delle proteste è stata la corruzione che a Nord del Sahel era (ed è) endemica: dal funzionario di dogana, all’impiegato d’ambasciata, al poliziotto del traffico, al grigio travet di qualche inutile ufficio permessi e fin su, al vertice della piramide, nessuno ne sembrava esente.

Quindi si tratta di un problema culturale, che i giovani scolarizzati – i quali non vogliono più raccogliere datteri o pascolare capre come i loro padri – hanno individuato come freno principe alle loro ambizioni. La “rivoluzione del pane” è una balla che hanno raccontato a noi. La ribellione è stata fatta anche da gente che gira con scarpe firmate, usa due telefonini e che vorrebbe vivere come nella grassa Europa.

Peccato l’Europa non sia più grassa e il business si sia spostato proprio in Egitto, Marocco, Tunisia e stava per approdare pure in Libia. A Tunisi, per esempio, è in stato avanzato di costruzione il porto di Enfidha di ben 2 milioni di m2 e una movimentazione prevista – quando sarà a regime – abbondantemente sopra il milione di teu. Si immagini la capacità, in prospettiva, della massa di posti lavoro che si verranno a creare. Trieste, tanto per fare un paragone, si è fermata nel 2010 a circa 277mila teu. Non esiste niente di simile attualmente in costruzione in Europa, per dimensioni, impegno finanziario e ambizione.

In Tunisia, però, questa ed altre innovazioni non sono state viste (o non si sono sapute spiegare) per quello che a brevissimo saranno: una grande opportunità di crescita. Non si è saputo attendere quel poco tempo ancora necessario per veder nascere un altro Nord Africa – o non si è potuto. La corruzione dilagante – molto irritante per chi la viveva – è stata usata come miccia per dar fuoco alle polveri di una destabilizzazione che fa comodo a chi su questi interessi vuole mettere le mani. Cambierà chi sarà al potere – in alcuni luoghi è già cambiato -, non il metodo. Prima che possa mutare anche la malacultura, capillarmente diffusa in tutti gli apparati statali, ci vorranno intere generazioni.

Mutatis mutandi questo tipo di destabilizzazione ben si può applicare anche sull’altra sponda del Mediterraneo. In Grecia, Spagna e in Italia è impossibile non vedervi notevoli similitudini, se non medesima matrice.

In tutti i casi mancano leader ed ideali. Rimane solo una rozza rabbia indistinta nei confronti del potere costituito, guidata da una indignazione nei confronti dei privilegi della casta, delle ruberie e della corruzione. È l’alba inoltrata di un nuovo modo di fare le rivoluzioni, che si vorrebbe far credere spontaneo, guidato dai bit e amplificato dai mass-media tradizionali in un perverso circuito che si auto-alimenta. Le Tv raccolgono quanto trovano nella rete, lo distribuiscono anche a chi non ve ne fa uso per poi ritornare amplificati alla stessa rete. Così si rafforzano le convinzioni e si polarizzano le opinioni di milioni di persone. Così monta l’indignazione.

Credere però tutto ciò sia pure spontaneo è da ingenui. Il web “ombra” di Obama, i blogger veri o farlocchi che in lingua araba inneggiano alla democrazia sono solo la punta dell’iceberg di una strategia più complessa e capillare in atto da anni.

Attenzione quindi a lasciarsi andare ad istinti di piazza sull’onda di abili quanto anonimi SpiderTruman di turno perché si rischia in primo luogo di gettare il pargolo con l’acqua sporca (dopo “mani pulite” per ricostruire una classe politica appena un po’ capace di gestire la macchina dello Stato ci sono voluti anni) e in secondo luogo di prestarsi a far da pedine di un gioco del quale non si sa chi ne tiri le fila e che mire abbia. Difficile però credere l’occulto progetto sia il benessere dei popoli.

Le rivoluzioni senza ideali, prive non solo di un Herbert Marcuse, ma anche di un Mario Capanna di turno, offrono il grande vantaggio a chi ha avuto l’interesse di creare il caos di meglio controllarlo, senza ingombranti eroi né altrettanto scomode ideologie a cui dar conto o prestare coerenza. I sogni di qualcuno sono sempre degli incubi per qualcun altro. E in Europa questi incubi sono ad un passo dal divenire cronaca quotidiana.

Paolo Visnoviz, 19 luglio 2011
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)


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